Esiste un problema apparentemente piccolo che però coinvolge moltissime persone in modo molto profondo: che ne facciamo dei libri che non riusciamo più a tenere? Non si tratta soltanto delle librerie sature degli acquisti fatti per anni, ma soprattutto delle eredità di genitori, nonni, vecchie case da cui dobbiamo traslocare o che dobbiamo svuotare dopo la morte di una persona cara. Che ne facciamo di quelle biblioteche, spesso ricchissime, amate, che spesso sono un correlativo oggettivo della stessa storia, o di un pezzo di storia, di chi non c’è più?

Chiunque lavori con le politiche culturali sa che è una domanda che deve affrontare in continuazione. «È morto mia madre/mio nonno/mio fratello/un mio amico professore senza eredi e noi abbiamo una casa piccola. Non sa se per caso c’è una biblioteca dove posso portare tutti i suoi libri, non li vorrei buttare?».

La risposta a questa domanda è spesso negativa: non esiste questo posto. E il destino più frequente per questi libri è la pattumiera o il macero. Le biblioteche, nelle grandi città, sono in genere sature, e prive di spazi e di personale che sappia o abbia il tempo di cernere e catalogare.

Sulla carta in molti si dichiarano disponibili, ma nel concreto è molto impegnativo prendersi cura di montagne di libri di valore disomogeneo; anche chi se ne occupa in biblioteca rischia di farlo di propria iniziativa. E chi con buona volontà si offre di prenderli, facilmente si scoraggia, e l’eliminazione rischia di essere solo rimandata.

Libri dispersi

Le biblioteche pubbliche a cui si pensa poter destinare quelle domestiche a loro volta sono non di rado in dismissione: quelle scolastiche, quelle universitarie. La manutenzione, la conservazione dei libri in Italia non è una priorità per la spesa pubblica.

Dirigenti e insegnanti lo sanno, e quando ascoltano Meloni che promette una nuova biblioteca a Caivano, già intravedono il futuro di una struttura che senza un investimento massivo in un personale formato e nella cura degli spazi, sarà un altro cadavere urbanistico. Non sono pessimisti, ma hanno coscienza che nelle scuole le biblioteche sono spesso strapiene di volumi, acquisizioni massive che magari risalgono a venti o trent’anni fa, che oggi vengono raramente consultati, e per cui mancano bibliotecari che sappiano catalogarli o offrirli al prestito studentesco.

Le ipotesi possibili non mancano. Sono di carattere pubblico, volontaristico e privato. Il pubblico – la rete delle biblioteche funziona soprattutto nei piccoli centri, in aree di quell’Italia vuota raccontata dal recente libro di Filippo Tantillo, dove magari ancora esiste una biblioteca civica, ma dove i fondi per le acquisizioni sono azzerati da anni. Alcuni comuni, magari dopo il terremoto o un’alluvioni, cercano proprio questo genere di donazioni. È accaduto recentemente a Faenza o Fardella. O in Umbria, per esempio, esiste una rete tra biblioteche di paesi nata su iniziativa di Giuseppe Bearzi, che si chiama Libri Salvati.

Le invenzioni

Le persone ci tengono ai libri, vorrebbero fossero ponti tra i vivi e i morti, tra famigliari e sconosciuti. In molti casi questi fondi vengono indirizzati alle biblioteche delle carceri, e servono effettivamente a svecchiare le dotazioni per i detenuti. A Roma non è facile farlo, ma Rebibbia ha due biblioteche che su appuntamento ricevono chi vuole donare.

A Bologna la libreria Ulisse li porta al carcere della Dozza. Negli spazi delle associazioni di sostegno ai senza fissa dimora si creano spesso delle piccole biblioteche con fondi donati (un esempio a Milano è quello di Libri in ronda).

Similmente accade in contesti sociali complicati. Ad Aversa, la libreria Il dono si è rieinventata come “libreria sociale”: partendo dalla redistribuzione dei testi scolastici, negli ultimi dieci anni ha redistribuito 100mila libri tra carceri, parrocchie, scuole, famiglie più povere.

Marilena Zacchini a Firenze ha messo un progetto pilota, battezzato Bookbox, che si propone di realizzare in diverse città italiane una piccola biblioteca nelle sale d’attesa di luoghi frequentati da bambini e adulti – studi medici, farmacie, centri estetici, saloni: ha avviato anche una convenzione, in via sperimentale, tra l’associazione Autismo Firenze onlus in collaborazione con l’Asl 10.

La libertà dei libri

Anche gli ospedali o i centri anziani li ricevono, anche qui dipende dal momento o dal singolo referente di buona volontà, e ovviamente dallo spazio. A Brescia un’associazione che si chiama Amici di Sam li raccoglie e li rivende per finanziare un progetto di un ospedale pediatrico a Nairobi.

A Tarquinia l’associazione Semi di pace li prende e cerca di rivenderli per il finanziamento di iniziative solidali. A Roma Book-cycle si pone come espressamente come libreria di scambio, baratto, acquisto solidale, a Bologna esiste un’iniziativa simile: Libri Liberi. Sempre a Bologna la libreria Equi-libristi cerca e seleziona tra i fondi che devono andare al macero, organizza mostre-mercato.

E poi ovviamente ci sono le mille meritorie librerie dell’usato, storiche come La fronda a Roma o famose come quella del Professore – a piazzale Flaminio a Roma, o librerie itineranti come quella di Monica Maggi “la libraia felice” (sempre Roma, terzo municipio), Bookowski a Genova, tra mercati e mercatini del terzo municipio…

A cui si aggiungono le librerie virtuali che si fondono con i gruppi Facebook di scambio, anche se i tentativi di creare app, software, cataloghi diffusi, “Vinted dei libri”, sono ancora embrionali e poco diffusi. C’è per esempio gnunet, che vuole essere una rete di biblioteche domestiche.

Rimpianti

Ma al pulviscolare entusiasmo che corrisponde a una sterminata repubblica di appassionati lettori, bibliofili, educatori, non corrisponde una ipotesi che metta a sistema questa ricchezza.

Ci vorrebbe un opac organizzato dal pubblico o in forma di bene comune (su modello di Wikipedia), dove catalogare e monitorare le biblioteche regalate e ambite, senza che questi libri finiscano nel migliore dei casi dagli svuotacantine.

Qualche idea di questo tipo esiste in Italia: Filippo Maria Paladini, per esempio, sta lavorando da anni a un progetto di "aggregatore di biblioteche personali e domestiche" come strumento per il rilancio di aree di media montagna culturalmente e socio-economicamente depauperate. Funzionerà?

Chi si occupa di questi temi come ricercatore o esperto è purtroppo scettico. Anche se amiamo tantissimo i libri, forse riconosciamo che quest’amore è un po’ novecentesco, e vive molto di nostalgia e di rimpianto più che di speranza.

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