«Ma dove vai bellezza in bicicletta, così di fretta pedalando con ardor» cantava nel 1951 Silvana Pampanini, portando al successo un brano radicatosi nella cultura pop come pochi altri. Meno noto è il fatto che la canzone fu scritta per celebrare un evento straordinario accaduto nel 1924, quando Alfonsina Strada, prima e unica donna a farlo, corse il Giro d’Italia insieme agli uomini: bicicletta da 23 chili, niente cambio, copertoni di scorta indossati attorno al tronco, sterrato, pioggia, buche, salite, sassi, 12 giorni di corsa e di inferno, per un totale di 3613 chilometri.

Poté farlo perché il regolamento non lo vietava: prima di allora a nessuno era venuto in mente che sarebbe potuto accadere. Nessuno aveva ancora fatto i conti con le solide motivazioni, la forza dell’animo e del fisico di Alfonsina. Di tappa in tappa la sua fama cresceva e il pubblico femminile pure, consapevole del fatto che, sotto le sue ruote, scorreva la strada verso l’emancipazione.

Nella tappa L’ Aquila-Perugia, ruppe il manubrio ma quella bicicletta doveva assolutamente continuare la sua corsa: in ballo c’era la parità, la libertà, il futuro di tutte le donne. Allora Alfonsina, esperta nel fare di necessità virtù, si fece dare il manico di una scopa da una delle tante casalinghe che per vederla in azione si affacciavano sulla strada lasciando per un attimo i lavori domestici; lo legò con dello spago, riprese il controllo del suo mezzo e pedalò verso la storia.

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Il regolamento si affrettò ad aggiornarsi per proibire la partecipazione mista mentre il ciclismo femminile, lentamente, iniziò a prendere forma. Si dovrà attendere fino al 1988 affinché nasca il primo Giro d’Italia per le donne arrivato oggi, tra cambi di nome e di gestione, all’edizione numero 35. Quello appena concluso è stato il primo con la stessa organizzazione del Giro maschile; è stato il primo chiamato Giro d’Italia Women; è stato il primo vinto da Elisa Longo Borghini.

Elisa ha 32 anni e molti successi alle spalle: 2 Giri delle Fiandre, 1 Parigi-Roubaix, 12 titoli nazionali e 4 medaglie di bronzo importanti, 2 vinte ai Campionati del mondo (2012-2020) e 2 ai Giochi olimpici (2016 e 2021). Le mancava l’affermazione al Giro d’Italia: dopo tante partecipazioni e 2 piazzamenti sul podio, la cercava, la voleva e ce l’ha fatta. Si è affermata nel modo più perentorio che potesse immaginare, indossando la maglia rosa dalla prima all’ultima tappa ma con un duello serrato consumato sul filo dei secondi con la campionessa del mondo Lotte Kopecky.

Una sfida dal risultato incerto fino all’ultimo traguardo: un confronto acceso che ha reso onore al centesimo anniversario dell’impresa di Alfonsina. Un secolo dopo, certo, tutto è cambiato e forse il ciclismo su strada, così come il calcio, sport tradizionali intrisi di patriarcato, sono arrivati a un bivio in cui è la strada imboccata dal movimento delle donne a segnare la via della modernità. Nella sobrietà ed essenzialità che caratterizza gli equivalenti femminili dei grandi eventi maschili, la popolarità è più fresca, più social, più di addetti ai lavori informati anziché di tifosi irrequieti.

Per dirla in maniera figurata, per il Giro femminile non si asfaltano le strade, non si ferma il traffico per ore, non ci sono ali di folla  sulle grandi salite né agli arrivi, non ci sono titoloni in prima pagina né notizie sui Tg. Per contro, il sito dedicato alla corsa (www.giroditaliawomen.it) ha fatto registrare 3 milioni di pagine viste per un totale di 200mila visitatori. Sui neonati canali social si è registrata una copertura totale di 20 milioni di utenti unici. Le pubblicazioni online sono salite del 24%. Il ciclismo come tutto lo sport femminile ha un pubblico più competente che cerca la notizia, che trasforma qualitativamente la popolarità ma certo, per superare gli stereotipi e le discriminazioni c’è bisogno dell’attenzione da parte dei canali ufficiali, quelli dell’informazione che arriva a tutti. Da questo punto di vista, la corsa iniziata nel 1924 con Alfonsina, arriva al successo di Elisa con ancora tante tappe da percorrere.

Sarà che lo sport lo ha vissuto prima ancora di nascere nel grembo della madre Guidina Dal Sasso, sciatrice di fondo con tre partecipazioni olimpiche, cinque vittorie alla Marcialonga, un’infinità di titoli nazionali. Sarà che lo sport lo ha introiettato per osmosi ogni giorno in famiglia grazie anche a papà Ferdinando, tecnico di sci di fondo e al fratello Paolo, ciclista professionista e lo respira anche oggi nella quotidianità di coppia, avendo sposato Jacopo Mosca pure lui professionista.

Sarà per quell’affascinante connubio di geni e di opportunità, di talento e applicazione che Elisa non sbaglia un colpo, salvando spesso le spedizioni azzurre ai grandi eventi delle corse in linea. Lo ha fatto ai Campionati del Mondo del 2012 a Valkenburg, ai Giochi olimpici di Rio 2016 e poi a Tokyo 2021. Azzurri non pervenuti dietro a mille giustificazioni. Lei poche parole e sempre sul podio. Senza fare pronostici, basta leggere le statistiche per comprendere che anche agli imminenti Giochi di Parigi sarà una delle favorite. Correrà entrambe le competizioni su strada (corsa in linea e prova a cronometro), una parte del più ampio programma che il ciclismo olimpico offre e che include anche pista, mountain bike e bmx.

In totale sono 24 gli azzurri e le azzurre che parteciperanno alle prove di ciclismo e 12 sono i pass conquistati dall’Italia per la partecipazione alle Paralimpiadi. Le aspettative maggiori sono rivolte ai campioni olimpici del quartetto su pista trascinato da Filippo Ganna, tra i favoriti anche nella prova a cronometro su strada. Pure Elia Viviani, già campione olimpico nell’Omnium a Rio e bronzo a Tokyo (nonché portabandiera) sarà diviso tra strada e pista con ambizioni di riconferma. Le donne pistard sono molto competitive e c’è davvero da augurarsi che arrivi almeno una medaglia da un settore che registra un vuoto lungo 24 anni, da quando a Sydney Antonella Bellutti vinse il suo secondo oro olimpico.

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Il ciclismo fa parte del programma dei Giochi fin dalla prima edizione. Per le donne però l’esordio è arrivato novant’anni dopo, ai Giochi di Los Angeles e solo a Londra, nel 2012, il programma ha previsto esattamente 9 specialità maschili e 9 femminili, distribuite sui 4 settori (strada, pista, mtb, bmx). La novità per la squadra italiana a Parigi è che il numero delle cicliste sarà maggiore di quello dei ciclisti (13 vs 11). Ma si sa, la parità va oltre i numeri e le quantità, è questione di cultura. Nel contesto a 5 cerchi, l’unico forse in cui le medaglie contano indipendentemente dal colore e dal genere si vive la rara sensazione di uguaglianza, difficile se non impossibile da trovare in altre manifestazioni. Non importa se la magia dura solo 15 giorni: gioiamo dei progressi consapevoli che, l’inseguimento iniziato da Alfonsina è ancora lungo e continua sulle gambe delle tante donne che, anche grazie a lei, sono libere di correre.

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