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Il 12 giugno 1981 usciva per la prima volta nelle sale I Predatori dell’Arca Perduta, il primo film sull’archeologo più famoso di tutti i tempi. Il film guadagnò 385 milioni di dollari e vinse cinque premi Oscar, a conferma della sua capacità di essere universale.
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Una formula irresistibile, perfetta per ogni età, imitata nei decenni a venire da innumerevoli produzioni, ma ineguagliata per la magistrale capacità di Spielberg di risvegliare nel pubblico la curiosità e la fantasia adolescenziali.
- I Predatori dell’Arca Perduta non diventò una stella nel firmamento della cinematografia a suon di budget o di pubblicità, ma perché vi era un’idea, creatività autoriale, rispetto per il pubblico.
Sono passati quarant’anni da quando I Predatori dell’Arca Perduta uscì in sala per la prima volta.
Di certo nessuno allora poteva prevedere che il personaggio interpretato da Harrison Ford sarebbe diventato l’eroe cinematografico più popolare di sempre, capace di unire intere generazioni nel corso degli anni. Il film guadagnò ben 385 milioni di dollari dell’epoca e vinse cinque premi Oscar, a conferma della sua capacità di essere trasversale e universale.
I Predatori dell’Arca Perduta omaggiò i romanzi di Jules Verne e H. Rider Haggard, i serial cinematografici degli anni Trenta come Buck Rogers o Spy Smasher, utilizzando in modo magistrale e creativo gli effetti speciali. Il risultato finale, fu quello di una pellicola capace di produrre un impatto con pochissimi precedenti, rinnovando profondamente la narrazione cinematografica.
Il che, a pensare quanto in realtà fosse connesso all’“old style”, al passato, piuttosto che alla fantascienza (il genere che più imperava in quel periodo soprattutto grazie a Lucas) non si può che restare meravigliati per il successo ottenuto in quel 1981, dove fu leader al botteghino.
George Lucas progettava il film fin dal 1973, al tempo del suo American Graffiti. Nel 1977, trovò un aiuto concreto nell’amico Steven Spielberg, fresco del successo di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, che accettò la regia dal momento che (per sua stessa ammissione) da sempre sperava di dirigere un film su James Bond.
A volere infatti capire perché I Predatori dell’Arca Perduta risultò fin da subito familiare al grande pubblico, occorre partire da un semplice dato di fatto: Indiana Jones era l’alter ego di 007.
Il mio nome è Jones
Idiana Jones e James Bond erano molto simili. Entrambi uomini dal passato misterioso, anticonformisti, amanti dell’avventura, dell’imprevisto, rappresentavano l’antitesi al modello di vita borghese.
L’archeologo e la spia con licenza di uccidere erano due solitari armati di sex appeal, carisma, dinamismo, capacità di improvvisare e soprattutto, di una tuttologia a dir poco disarmante, per quanto declinata in modo assolutamente opposto.
Jones era un uomo con una missione: recuperare la conoscenza, il sapere, scoprire la verità sepolta da secoli e difenderla dalle grinfie di chi l’avrebbe usata per scopi malvagi. Bond invece era “semplicemente” un super-agente che salvava il mondo tra un flirt e un Martini agitato, per il quale il sapere era uno strumento di lavoro o seduzione.
Se poi da un lato anche il Jones di Harrison Ford era un “maschio alpha” come lo erano stati Sean Connery o Roger Moore, dall’altro aveva sicuramente molta più umanità, nonché una massiccia dose di imperfezioni. Ford seppe donare calore, simpatia ed empatia al suo personaggio, molto meno freddo e infallibile di come 007 per tanti decenni era stato dipinto, mentre guidava con maestria mezzi improbabili, cimentandosi in fatiche di Ercole senza neppure scompigliarsi i capelli o sgualcirsi l’abito.
Indiana invece, fin dal primo film, rischiava la vita in deserti e giungle da cui si salvava quasi per caso. Il rapporto di entrambi con il genere femminile poi, non avrebbe potuto essere più diverso.
Una nuova eroina
I Predatori dell’Arca Perduta, ci donò infatti oltre che un nuovo eroe, anche un personaggio femminile davvero intrigante e rivoluzionario: la Marion Ravenwood di Karen Allen.
La sceneggiatura curata da Lawrence Kasdan la caratterizzò rendendola una donna adattabile, perfettamente indipendente, autosufficiente e dai modi sovente ruvidi per non dire rozzi.
Bevitrice incallita, manesca, ammantata da uno humor cinico e irresistibile, sancì la più totale cesura rispetto alle donne che proprio la saga di Bond aveva spesso ridotto a meri orpelli della mascolinità predatoria, meravigliose compagne di talamo a uso e consumo della vanità machista.
Indiana Jones in lei aveva una complice, astuta e temeraria, ma anche una compagna energica, che pretendeva di essere trattata alla pari, che non esitava ad agire di testa sua.
Qualcosa di assolutamente nuovo, non tanto in relazione a quegli anni (il Tenente Ripley di Alien e la Principessa Leia in fondo erano già storia) quanto sul fatto che il tutto, fu declinato all’interno di un complesso rapporto di coppia.
Marion si distaccò dal cliché della fanciulla in pericolo o della femme fatale, anche perché connessa a un’azione sovente critica verso il protagonista, con continui battibecchi e discussioni.
I Predatori dell’Arca Perduta spezzò fortemente quindi una narrazione in cui l’uomo era infallibile o giustificato nei suoi comportamenti verso l’altro sesso, parlando della necessità di osservare il mondo da un diverso punto di vista.
Rispetto per il pubblico
Harrison Ford, a quasi ottant’anni, sta per tornare a far schioccare la sua frusta per la quinta volta.
Per quanto tale eventualità possa risultare fuori tempo massimo, occorre ammettere che a quel personaggio siamo tutti legati in modo unico.
I Predatori dell’Arca Perduta in quel 1981 creò un mix inedito di avventura esotica, fantasy, spy story, commedia, e nel finale abbracciò anche le sfumature dell’horror. Una formula irresistibile, perfetta per ogni età, imitata nei decenni a venire da innumerevoli produzioni, ma ineguagliata per la magistrale capacità di Spielberg di risvegliare nel pubblico la curiosità e la fantasia adolescenziali.
Il primo capitolo delle avventure del professor Jones, girato tra mille difficoltà, con un cast afflitto da dissenteria e tempeste di sabbia, affascinò il pubblico di tutto il mondo anche grazie agli straordinari effetti speciali curati da Richard Edlund e Steve Gawley.
Fu la conferma di quanto la tecnologia avrebbe dominato da quel momento in avanti la settima arte, ed è giusto anche interrogarsi sugli effetti non esclusivamente positivi che il film ha prodotto da questo punto di vista. Hollywood da quel 1981 infatti, ha sempre più scambiato il mezzo con il fine, declinato la creatività non tanto all’unione tra uno script intrigante, una regia fantasiosa e artisti dell’illusione, ma al mero accumularsi di stimoli visivi e sonori verso il pubblico.
I Predatori dell’Arca Perduta non diventò una stella nel firmamento della cinematografia a suon di budget o di pubblicità, ma perché vi era un’idea, vi era creatività autoriale, rispetto per il pubblico. Qualcosa che oggi il cinema ha completamente rinnegato, o quasi. Ecco perché seguiremo sempre Indiana Jones: per il sapore di un’avventura degna di essere vissuta.
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