Nell’estate del 1992, Giorgio Umberto Bozzo, ventottenne in vacanza a New York, inciampò in un libro che sembrava destinato a lasciare un segno. Era Making History: The Struggle for Gay and Lesbian Equal Rights, 1945 to 1990 del giornalista Eric Marcus, un compendio di un decennio di interviste a omosessuali americani, condensate in sessantina di testimonianze che dipingono il movimento lgbtqi+ come una serie di battaglie individuali che si snodano da Manhattan a Berkeley.

Rieditato nel 2002 come Making Gay History e trasformato in un podcast di successo nel 2016, il libro, costruito su capitoli intitolati ai futuri attivisti, è un tributo al potere del singolo nel cambiare la società.

La ricerca

Un anno dopo quel viaggio, nel 1993, Bozzo inizia anche lui a raccogliere interviste e video in Italia. Incontra giornalisti, scrittori e testimoni delle vicende di chi ha sfidato l’eteronormatività dominante. Trenta anni di ricerche dopo, e avendo accumulato un archivio senza pari, Bozzo decide di presentare il suo materiale in ordine inverso rispetto a Marcus.

Nel 2021, lancia Le radici dell’orgoglio, un podcast affascinante che ricostruisce i primi cinquant’anni della storia della comunità lgbtqi+ italiana. (Come punto inaugurale, Bozzo ha scelto il 1971, anno di nascita del Fuori!, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano.)

Con 19 episodi già pubblicati, il podcast ha appena superato la metà degli anni Ottanta (siamo a Sotto il vestito niente di Carlo Vanzina, se siete di quelli che scandiscono la vita a ritmo di film), ma è già diventato un progetto editoriale: una serie di cinque volumi, uno per decennio, in cui Bozzo arricchisce le narrazioni con dettagli tagliati in sala di registrazione.

Il libro

Recentemente è infatti uscito il primo volume di Le radici dell’orgoglio: La storia del movimento e della comunità LGBTQIA+ in Italia (GUB, 2024) dedicato al periodo tra il 1960 e il 1972.

Il libro è tutta un’altra storia rispetto al podcast. Bozzo si prende quattrocento pagine a raccontare dodici anni che nel podcast vengono sintetizzati in meno di tre episodi. Ma non lasciatevi spaventare dalla lunghezza: lo stile è coinvolgente e il livello di dettaglio è essenziale.

Per decenni, infatti, chiunque in Italia non si conformasse ai canoni della sessualità dominante non solo veniva bollato come (e spesso finiva per credersi) deviante, ma doveva anche fare i conti con l’isolamento. L’isolamento non è una questione secondaria: l’idea di far parte di una devianza è intrinsecamente legata alla percezione di appartenere a un minuscolo gruppo di persone.

È sui numeri che si costruisce il senso di inferiorità, è per via delle statistiche, che ti arrivano in testa chissà da dove e non escono più, che molte lesbiche, gay, bisessuali e persone transessuali non hanno risposto a violenze, agli insulti o anche solo alle risatine: sentono che nessuno li verrà ad aiutare.

Pride

Una storia ricchissima

Come evidenzia Bozzo, però, questa convinzione era per lo più una costruzione artificiale. Già dagli anni Cinquanta, in tutta Italia c’erano “froci” a bizzeffe. Ma si autocensuravano, contavano i passi e non avevano neanche una spalla su cui appoggiarsi. Eventi legati a loro accadevano ogni mese, ma nessuno lo sapeva.

Il vero trionfo dell’omofobia italiana non è stato semplicemente discriminare persone lgbtqi+, convincerle che le loro azioni fossero peccaminose e le menti piene di orrori. No: il vero successo è stato, ed è tutt’ora, farle sentire smarrite e disorientate. Gente senza storia perché ritenuta indegna di averne.

E la stampa di destra ci riuscì, affermando, paradossalmente, che il fenomeno fosse in crescita, come se l’Italia fosse sorta, pura e incontaminata, da acque battesimali e solo di recente avessero fatto capolino i “deviati”. E i deviati erano da subito già troppi, il che giustificava i toni accusatori e le misure per mantenere il loro isolamento. Così, prima di poter organizzarsi in un vero e proprio movimento, le minoranze italiane dovevano semplicemente smettere di sentirsi sole.

Affiancando l’archivio Bozzo a studi di attivisti come Myriam Cristallo e Maria Schiavo nonché le ricostruzioni di ricercatori tra cui Gianni Rossi Barilli, Giovanni dall’Orto e Andrea Pini, questo primo volume rivela come tanti italiani abbiano iniziato a prendere coscienza e a formare reti di solidarietà. Bozzo, rinomato autore e regista teatrale, mostra una particolare attenzione agli eventi culturali che hanno avuto risonanza nazionale: film, spettacoli e, in finale, un programma televisivo (il primo servizio a tematica omosessuale in Italia risale solo al 1972).

La vera star di questo volume non sono gli eventi in sé, che, per quanto numerosi ed emozionanti, furono spesso minuscoli, come la presentazione del 1965 in una libreria di Torino del libro Jukebox all’idrogeno di Allen Ginsberg da parte di Fernanda Pivano. No, la vera protagonista è la stampa, quel motore che trasforma banali episodi provinciali in spettacolari scenari mediatici.

È la stampa che ha tramutato festini privati omosessuali a Brescia nei famigerati “balletti verdi”, fittizie orge con spaccio di droga, tratta di ragazzini svizzeri e immaginifici coinvolgimenti di celebrità. È sempre lei che ha preso l’orrendo omicidio di Ermanno Lavorini a Marina del Vecchiano nel 1969 e lo ha confezionato in un’ossessione omosessuale, servita con cura alla boccuccia dell’Italia piccolo-borghese.

Compton’s

All’estero

Bozzo non si limita a scrutare il deprimente panorama locale, ma allarga lo sguardo ai paesi stranieri. Ispirato da un viaggio negli Stati Uniti, riconosce quanto l’estero abbia giocato un ruolo cruciale nell’espandere la mente di molti italiani e nutrirne la speranza.

Massimo Consoli si trasferì ad Amsterdam, dove creò testi che divennero pietre miliari per il movimento lgbtqi+ italiano. Mariasilvia Spolato, pioniera della liberazione omosessuale, andò a Parigi per immergersi nell’attivismo locale, mentre Mario Mieli, dopo il diploma nel 1971, fece rotta per l’Inghilterra.

È chiaro: l’evoluzione di molti italiani sarebbe stata tutta un’altra cosa senza questi sguardi oltre confine. E come non capirli? In Danimarca, già nel 1951, esisteva un’organizzazione per i diritti delle persone omosessuali con oltre 1300 membri e riviste a tema nelle edicole.

In Francia, nel 1958, l’amministrazione ammetteva la transizione di genere. In Italia, invece, il primo caso arrivò solo nel 1971, con Giuliano Rolando Casciotti, che poté finalmente essere riconosciuta come donna solo più di quindici anni dopo essersi operata a Casablanca.

Ma questa è solo la storia degli anni Sessanta, perché, come emerge nel finale, con la nascita del Fuori!, l’Italia inizia a camminare con le proprie gambe. E non possiamo che essere grati a Bozzo per aver ricostruito, in questo e nei prossimi quattro volumi, il percorso per la conquista dei diritti e del rispetto che ancora oggi mancano a tante persone in Italia.

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