- L’altro giorno ho scritto su Twitter che se fossi una liceale, in questi giorni, col caldo che c’è, mi presenterei a scuola in costume da bagno (va bene, forse anche col pareo). Il tweet in verità raccontava una fantasia anarchica, non era da prendere alla lettera.
- Del liceo ricordo la sensazione quotidiana di non sapere come vestirmi ogni mattina. Un’immensa seccatura. Ogni tanto sognavo che una legge imponesse la divisa scolastica. Ma attenzione, non una divisa mortificante.
- C’è un territorio intermedio dove abita la lotta fra le aspettative dei tuoi pari, cioè gli adolescenti, e l’atteggiamento degli adulti nei tuoi confronti. Dove abita la moda, da un lato, e l’ipocrisia del decoro, dall’altro. Entrambi sono sistemi di regole sottilmente opprimenti.
L’altro giorno ho scritto su Twitter che se fossi una liceale, in questi giorni, col caldo che c’è, mi presenterei a scuola in costume da bagno (va bene, forse anche col pareo). Era un richiamo ironico a quegli episodi di ragazze con la maglietta corta che vengono rimproverate da qualche preside o insegnante. Rimproverate è un eufemismo, spesso vengono più o meno umiliate. Ho ricevuto qualche like e qualche commento negativo. Il tweet in verità raccontava una fantasia anarchica, non era da prendere alla lettera, ma viviamo in tempi in cui l’uso smodato dell’avverbio “letteralmente” deve aver deformato la realtà.
Se a 15 anni mi avessero detto che potevo presentarmi a scuola in costume da bagno oppure con un abito informe lungo fino ai piedi, avrei scelto senz’altro l’abito informe lungo fino ai piedi. In questo credo di non dire niente di eccezionale, anzi, credo di essere una persona media. Ci si dimentica di come a quell’età la condizione più diffusa sia il pudore (e spesso la vergogna). Un pudore costantemente messo alla prova dalla necessità di rispettare i codici delle mode adolescenziali. Delle mode in generale.
Vestirsi ogni mattina
Del liceo ricordo la sensazione quotidiana di non sapere come vestirmi ogni mattina. Un’immensa seccatura. In teoria mi era andata anche bene, erano gli anni Novanta, un’epoca facile per chi non vuole pensare ai vestiti: Kurt Cobain, i cardigan. In pratica erano anche gli anni delle modelle heroin chic (si diceva così, ma sul serio): colorito pallido, aria emaciata, fisico androgino. Uno stile non facilissimo.
Ricordo di aver provato varie strategie: decidere gli abiti la domenica per la settimana, decidere gli abiti la sera prima, non decidere niente e vestirsi a caso, andare invece a comprare qualcosa di nuovo che mi rendesse felice. Ma non c’era nulla da fare, ogni mattina arrivava il momento di prepararsi e montava in me la sensazione che tutto fosse sbagliato. E lo ripeto, in questo sono abbastanza sicura di essere stata la ragazza media. La ragazza media preferirebbe non dover pensare troppo ai vestiti, preferirebbe occuparsi di altro, usare il tempo per dedicarsi a faccende più interessanti. Io sento di potervelo garantire.
Ogni tanto sognavo che una legge imponesse la divisa scolastica. Ma attenzione, non una divisa mortificante, come i terribili grembiuli. Intendo una divisa elegante come quelle inglesi, la camicia, la giacca, tutto predeterminato fino ai calzini. Che senso di libertà, pensavo, svegliarsi la mattina e mettere quegli indumenti e sapere che va bene così. La testa sgombra da inutili preoccupazioni.
Lotta fra aspettative
Il tweet sul costume da bagno, una provocazione, evoca però un’idea di assoluta libertà. Fra l’assoluta libertà (andare a scuola in tenuta da spiaggia) e la divisa (che è un vincolo, ma come tutti i vincoli può liberarti) c’è un territorio intermedio dove abita la lotta fra le aspettative dei tuoi pari, cioè gli adolescenti, e l’atteggiamento degli adulti nei tuoi confronti. Dove abita la moda, da un lato, e l’ipocrisia del decoro, dall’altro. Entrambi sono sistemi di regole sottilmente opprimenti, e sono peggio di una divisa, soprattutto perché interagiscono in modo perverso e ambiguo. Non sai cosa fare.
Le aspettative degli altri adolescenti sono quel complesso di norme non scritte, ma evidentissime, in base alle quali devi comunicare con il tuo abbigliamento l’essenza del tuo tempo e della tua generazione. Devi essere un’icona. Questa la teoria. La pratica è che non devi sembrare una – perdonatemi – sfigata. Da adulti tutto è più semplice, e forse è per questo che certi si dimenticano delle difficoltà dei quindicenni, o forse non se le dimenticano, forse pensano davvero di poter combattere quelle difficoltà dicendo a una studentessa frasi umilianti.
L’ipocrisia del decoro è quella di certi educatori, perlopiù cinquantenni, che essendo in verità a disagio con la presenza dei giovani e dei loro corpi mortificano ogni tanto qualche ragazza o ragazzo per cercare di coprire, con un’idea di ordine, i loro problemi.
Non si sforzano di educare, di trovare maniere meno violente e perverse di costruire un ambiente adatto allo studio. Non cercano di capire il pudore di quell’età, e i suoi esiti paradossali (stare con la pancia di fuori proprio per gettare alle ortiche quel pudore che tanto non ha spazio per esistere). L’aspetto interessante è che fra l’ipocrisia degli adulti e le brutali regole delle mode giovanili non c’è dialogo, ma c’è una stramba alleanza naturale in nome dell’oppressione. Il risultato più vistoso è farti sentire costantemente in difficoltà e farti perdere montagne di tempo mentale.
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