Davvero un giorno di luglio del 1981 Lucio Battisti entrò in una libreria di Rimini, dov’era in vacanza, con la famiglia cercando Verità e metodo del filosofo Hans Georg Gadamer? Donato Zoppo, uno dei “battistologi” più stimati, autore del volume Lucio Battisti. Scrivi il tuo nome su qualcosa che vale (Aliberti), lo rivela ricostruendo la genesi di E già (1982), il primo album del cantante senza i testi di Mogol.

Ma attribuisce il curioso aneddoto al collega Francesco Patrizi (Lo spleen di Lucio: guida agli album bianchi, ed. Arcana): in quella libreria il cantante "tutto preso a sbirciare un volume corposo" sarebbe stato avvicinato da un avventore che lesse il titolo. Possibile? La prima edizione di Gadamer, 582 pagine tradotte da Gianni Vattimo e uscita per F.lli Fabbri, era del 1972. Sarebbe potuta ancora essere tra gli scaffali o addirittura sul bancone di una libreria a Rimini?

«Non era ancora disponibile», taglia corto Donato Zoppo che preferisce immaginare una semplice richiesta e il possibile scambio col libraio: «Mi perdoni, ma non lei è?», «Magari! Me lo dicono tutti che je somiglio». Di Verità e Metodo uscì la ristampa da Bompiani l’anno successivo.

In definitiva, l’aneddoto riproporrebbe a parole la medesima incertezza delle (poche) foto sfuocate dell’ultimo Battisti, rotondo coi ricci ingrigiti, e tutto il mistero dell’apparato biografico anni Ottanta del cantante che, esasperato dai paparazzi, aveva deciso di cancellare la sua immagine.

«La verità è solo un’immaginazione/ che una certezza propria non ha», canta in E già con l’inconfondibile falsetto (e i tic melodici di tutta la sua produzione) sopra una base di suoni gelidi e clap elettronici. «Ti puoi avvicinare/ E questo servirà/ Ma è sempre un’interpretazione/ Finché il contrario non accadrà», e si fa il coro da solo. Nel verso successivo compare la parola “metodo”. Il mistero si infittisce.

Impresa di famiglia

Chi parlò a Battisti di Gadamer, della Verità e del pensiero debole? Quali libri di psicologia e filosofia aveva letto veramente, quanti ne aveva millantati nelle interviste ai rotocalchi, ripagando con la stessa moneta l’attenzione ossessiva che questi riversavano su di lui? E quella incredibile iscrizione alla facoltà di matematica di cui c’è solo un accenno fatto da suo padre?

Nelle note di copertina dell’album E già compare un elenco di amici ai quali il cantante attribuisce un ruolo di consiglieri spirituali, con le loro materie rispettive.

Al discografico della Rca Francesco Fanti, l’«illuminismo». A un certo Brambilla le «religioni indiane», al cognato Mario Veronese il «fantastico-tecnico», a uno dei suoi maestri di tastiere elettroniche Dario Massari «la possibilità monotonale» e così via.

D’altra parte una canzone filosofica come E già ci ricorda che l’anno prima Franco Battiato aveva disseminato i testi della Voce del Padrone di citazioni del maestro Gurdjeff, e prima in classifica finì la sua canzonetta in cui si inneggiava allo «shivaismo tantrico e il senso del possesso che fu prealessandrino».

Ma tra Battisti e Battiato i rapporti sono sempre stati gelidi: ferocemente iconoclasta il primo, di postmoderna ironia l’altro. «Accademico», con sempre indosso «il grembiulino di scuola» secondo la cattiveria di Pasquale Panella, il paroliere degli album bianchi, astratti e ultrakitsch.

Registrato tra gli studi Rca di Roma e i Trident Studios di Londra nell’estate 1982 con l’aiuto del solo arrangiatore Greg Walsh, E già fu un album interamente suonato su strumenti elettronici. Niente musicisti, niente paroliere.

Interrotto il rapporto con Mogol per una questione di quote e diritti, come autrice compare accanto a Battisti sua moglie Grazia Letizia Veronese con lo pseudonimo Velezia. I battistologi sono in realtà propensi a interpretare l’espressione “canzoni di” come una maschera, una protezione dai fan cannibali. Il varo di un’impresa di famiglia.

Elettronica e metacanzoni

Oggi, come si sa, Grazia Veronese è impegnata in un’aspra battaglia con Mogol e la casa discografica Sony per il controllo dell’eredità artistica di suo marito. Un caso di complessa giurisprudenza – e lettere aperte, l’ultima acidissima il mese scorso con il perentorio invito a «separare il tuo nome dal suo» – che esclude dalle piattaforme digitali gli ultimi album cosiddetti bianchi (per via delle copertine) coi testi di Panella, i quali portano anche la sua firma, proprio come E già.

Non ha mai riscosso particolari simpatie popolari, Velezia. Viene avvicinata a Yoko Ono nel più gentile dei casi.

Però dal volume di Donato Zoppo apprendiamo che uno dei primi incontri tra i due freschi innamorati avvenne a Milano nel 1968 alla proiezione del film La revolution n’est que un debut di Pierre Clementi, attore feticcio di Bertolucci e Bunuel. Si trattava di un montaggio di materiali girati durante gli scontri del maggio francese. Lo mettiamo sull’altro piatto della bilancia del “fascio” Battisti e passiamo oltre.

Del resto la curiosità di E già sta nel fatto che l’album, a differenza di tutta l’altra discografia coi testi di Mogol oppure Panella, aprirebbe uno squarcio sul pensiero privato del suo autore in quell’inizio di anni Ottanta. Epoca tumultuosa ma allegra per il paese, di mondiali di calcio, tv a colori, canzonette. Vagamente malinconica per il quasi 40enne Battisti alle prese con la più classica delle midlife crisis.

Faceva footing e andava in windsurf sul lago di Bracciano. Passione ispirata e condivisa col cantante Adriano Pappalardo che aveva incontrato a Roma, dove era tornato a vivere dopo anni tra Londra e Milano, però in un comprensorio lungo la via Cassia. Da qui la saltellante Windsurf: «Veleggia e va/ portami lontano da questa rumorosa città», sopra una pulsazione in stile Kraftwerk.

Della stessa pasta emotiva sono canzoni come Non sei più solo, una corsa in macchina dalla città per dialogare con l’immensità del mare. E Rilassati e ascolta «non ha più freni la tua mente/ arriva fino al mare», dove si fa il nome di Jacques Mayol, l’uomo-delfino la cui rivalità con il destrissimo Enzo Maiorca era uno dei dualismi politico/filosofici del momento. Altro punto contro la teoria del Battisti fascio.

Con la stessa applicazione il cantautore studiava i nuovi strumenti elettronici, i sintetizzatori e le drum machine usate nell’album, il Fairlight Cmi che era lo strumento del futuro, visto negli studi inglesi lavorando dirimpetto a Peter Gabriel. Frequentava le lezioni di Dario Massara e Pasquale Minieri per apprenderne i segreti. Curioso però che tra le (meta)canzoni del disco, Registrazione si riferisca a un’idea della “creazione” che appartiene a un’epoca d’oro. La sua: «I musicisti sono pronti il microfono in posizione/ una voce il nastro gira/ Registrazione».

I battistologi traggono proprio da un’inciso di Registrazione altre indicazioni. «Ho sempre amato Jagger e gli Stones/ I Beatles un po’ meno insieme ai Beach Boys/ Forse perché hanno il nome che comincia per B». B come Battisti. «Da Paul McCartney ho imparato a cantare», continua. Se c’è un lavoro al quale E già si può avvicinare è in effetti l’album II che McCartney registra in solitudine (con sua moglie Linda) nel 1980, con la voce truccata e i sequencer, album trainato dal megasuccesso Comin’ Up.

Difficile, con tutta la buona volontà, confrontare E già con gli album del nascente elettropop inglese – Depeche Mode, Human League, Yazoo – che Battisti conosceva e apprezzava ma in forma del tutto teorica, priva di ogni fluidità erotica e del ruolo pubblico/politico rivendicato da quei giovanissimi ex punk entristi (come amava dire la critica) nel sistema del pop inglese.

Anti-intellettuale

«Senza intellettualismi dagli sfogo/ Al tuo talento alle tue qualità», ripete il cantante in Registrazione. Sempre per i battistologi E già aprirebbe uno squarcio, una dimensione parallela del pop italiano che sarà rappresentata compiutamente dagli album bianchi di Battisti-Panella. Un’idea finalmente impolitica, anti-intellettuale, persino anti-commerciale della canzone.

Detto sommessamente, un po’ di destra. Centro-destra. Fatto per essere suonato nel comfort adulto dell’Hi-Fi («Un’ora di relax con l’alta fedeltà le luci basse per cominciare/ Un posto comodo la cuffia stereo il disco ha fatto pochi giri si insinua il piacere»), un disco come E già conquistò il nemmeno malvagio 14esimo posto in classifica nell’anno dominato da Battiato con i suoi compiaciuti intellettualismi, e da Riccardo Cocciante che si era preso nel frattempo i testi (orrendi ma irresistibili) di Mogol. Cara celeste nostalgia, eccetera.


Donato Zoppo ha raccontato la genesi di E già in Lucio Battisti. Scrivi il tuo nome su qualcosa che vale (Aliberti 2023, pp. 145, euro 15,90)

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