- In appena un anno e sei mesi, prima rovesciando 280 consigli comunali e poi mettendo in atto la marcia su Roma, lo squadrismo distrusse la democrazia italiana».
- Il nuovo libro dello storico britannico John Foot ricostruisce l’ascesa del fascismo con un’attenzione partidolare all’aspetto della violenza e dell’impunità.
- Una violenza organizzata e politicamente mirata, mai caotica. Le squadracce fasciste non si muovevano a caso, colpivano dove volevano colpire: giornali, organizzazioni, case dei socialisti.
Un altro libro sul fascismo? Sì, ma è un libro diverso da tutti gli altri. Perché lo racconta da un punto di vista spesso tralasciato dalla storiografia: quello delle microstorie. Che in Gli anni neri. Ascesa e caduta del fascismo (Editori Laterza) rivelano quello che secondo l’autore, lo storico britannico John Foot, è il tratto costitutivo essenziale del fascismo: la violenza.
Una violenza espressa attraverso lo squadrismo, analizzato capillarmente nel suo svolgersi, in particolare durante il biennio 1921-22, fino alle deportazioni e alle carneficine della Repubblica sociale.
Docente di Storia moderna e contemporanea italiana all’Università di Bristol, Foot è l’ultimo frutto di quella scuola storiografica britannica che ha posto l’Italia al centro della propria attenzione: tra gli esponenti più noti è sufficiente citare Denis Mack Smith e Paul Ginsborg. Proprio di Ginsborg (scomparso lo scorso maggio, il libro è dedicato a lui) è stato allievo Foot.
Il fascismo è una specificità italiana che da sempre appassiona gli inglesi: non fosse altro per il trauma della guerra che vide il Regno Unito schierato in Italia e Africa del Nord contro un Mussolini a suo tempo oggetto di grande ammirazione anche oltre Manica.
Il senso della violenza
Il fascismo ha nella violenza, secondo Foot, il suo tratto originario e originale. «Ne sono assolutamente convinto – afferma – non solo per la violenza in sé, ma soprattutto per il modo in cui venne compiuta: una violenza organizzata e politicamente mirata, mai caotica. Le squadracce fasciste non si muovevano a caso, colpivano dove volevano colpire: giornali, organizzazioni, case dei socialisti.
In appena un anno e sei mesi, prima rovesciando 280 consigli comunali e poi mettendo in atto la marcia su Roma, lo squadrismo distrusse la democrazia italiana».
La scintilla all’origine di questo libro è una circostanza tutta familiare. Ma questa volta riguarda lo stesso autore. Scrive infatti Foot nel preambolo di un racconto del padre, militante della sinistra radicale, a proposito di una riunione familiare a casa dei nonni in Cornovaglia.
«Una famiglia imbevuta di politica – scrive – Quattro Foot si erano candidati alle elezioni del 1945, anche se uno solo era risultato eletto. In tre erano stati parlamentari in vari momenti. Mio nonno era un diplomatico di carriera, abituato ad avere a che fare con uomini politici e partiti. Nella casa c’erano foto di lui con Churchill, con la regina e con Yasser Arafat».
A un certo punto, così nel racconto del padre, la discussione attorno al tavolo imbandito da nonna Silvia si era animata, con accuse di “appoggio al fascismo”.
Ma a quel punto ecco la vocina della bisnonna, Aurelia Lanzoni, natali in Turchia ma origini italiane: all’inizio del Novecento era vissuta a Bologna ed era stata testimone oculare delle scorribande delle camicie nere. E scrive Foot che la bisnonna, nel racconto del padre, a sentir parlare di fascismo, disse così: «Ah, il fascismo, che meraviglia!».
L’efficacia dello squadrismo
Da qui parte Foot per il suo viaggio alle radici della violenza squadrista prima e di regime poi, centrando un punto spesso sottovalutato: l’adesione di ampie parti della popolazione al nuovo ordine imposto a bastonate, colpi di rivoltella, bombe, manganelli e olio di ricino, dopo la tensione del “biennio rosso” segnato anche da violenze dell’altra parte politica.
Ma a differenza di socialisti e comunisti, lo squadrismo fascista si caratterizzò per la sua efficienza ed efficacia. E prima di Mao e delle Brigate Rosse, lo slogan “colpirne uno per educarne cento” si sarebbe potuto coniare proprio per le camicie nere, visto che gran parte delle violenze avvenivano in pubblico.
Con l’implicito messaggio: vedete? Noi possiamo fare tutto e voi zitti. «La violenza nera non arrivò dal nulla – spiega lo storico britannico – c’era anche quella rossa, di strada e sociale, con grandi scioperi. Se ne deve tener conto per comprendere la popolarità che riscosse Mussolini nelle capitali europee, dove si diceva: se l’Italia cade, il comunismo arriverà fino a noi».
E la marcia su Roma, a lungo rubricata come parata quasi da operetta, per Foot fu un passaggio chiave della storia mondiale: «Fu una vera insurrezione, con l’uccisione di cinquanta persone. Senza quella marcia, in Germania i nazisti non sarebbero saliti al potere. E la seconda guerra mondiale non ci sarebbe mai stata».
Lunghe ricerche negli archivi (soprattutto quello Centrale dello Stato a Roma, in particolare la documentazione dell’Ovra, la polizia politica del regime) hanno fruttato a John Foot una messe di biografie di vittime delle violenze fasciste.
E così Gli anni neri si presenta come «una storia narrata attraverso episodi, frammenti massacri e processi, momenti di violenza e di fuga, sconfitte e vittorie, silenzi e frastuono, retorica e realtà».
Tanti uomini e donne perseguitati per anni, costretti all’esilio: vite spezzate o traumatizzate dalle ferite, fisiche e psicologiche. Fratelli e coniugi mai più rincontrati, pestaggi, uccisioni dimenticate: è un rosario di dolore quello che si sgrana tra pagine spesso angoscianti, perché riportano alla luce nomi e cognomi la cui memoria davvero raramente è stata coltivata. Perché?
«Perché la guerra ha poi portato migliaia di vittime e la memoria della Resistenza è diventata quella dominante – spiega Foot – le vittime dello squadrismo sono così state lasciate in secondo piano, anche da parte dei ricercatori. Gli storici per quegli anni parlano di violenza soprattutto in astratto, al massimo a livello statistico. Ma che cosa significa dire che venti persone un tal giorno sono state bastonate? O che un altro giorno dieci sono state uccise? Io ho voluto parlare in concreto della violenza sui corpi, sulle psicologie, sulle vite devastate di tanti italiani, proprio perché nei libri di storia è un elemento sempre tralasciato. E infatti quell’orrore, nella sua concretezza, lo si capisce meglio attraverso i romanzi».
Il ritorno
Una storia per tutte: quella dell’operaio Enio Gnudi, socialista massimalista, per un’ora sindaco di Bologna prima dell’assalto fascista del 21 novembre 1920 a Palazzo Accursio, sede del consiglio comunale. Una vicenda mai fino in fondo chiarita, che però lasciò sulla piazza una decina di vittime e un’undicesima, di cui poi il fascismo si “appropriò”, all’interno dell’aula consiliare.
Gnudi che, dopo ripetuti arresti, lasciò Bologna e l’Italia, in fuga per mezzo mondo (Europa, Stati Uniti, Messico, Argentina, Unione Sovietica) da cui scrisse lettere strazianti ai familiari, fino al ritorno a guerra conclusa e alla morte pochi anni più tardi.
Una figura tragica ricordata nel cimitero monumentale della Certosa di Bologna da una tomba suggestiva, con una scultura di figure di operai che ne reggono il corpo: «Ma è è una tomba – commenta amaro Foot – dove oggi nessuno porta più fiori».
Esiste il pericolo di un ritorno di quel fascismo? Nel libro Foot non elude la questione, sempre d’attualità (rigurgiti squadristi dalle cronache nazionali non sono in effetti mai scomparsi), ricordando come tre volte l’anno Predappio diventi meta di qualcosa di più di una scampagnata: il 28 aprile (morte di Mussolini), il 29 luglio (la sua nascita) e il 28 ottobre (marcia su Roma). Per dire insomma della persistenza di un culto non semplicemente nostalgico.
Ma Giorgia Meloni, afferma, «non è fascista: ha sempre operato in una democrazia, così come lo ha fatto il partito dalla cui tradizione proviene, il Movimento sociale, seppur tra tante ombre. Certo, la nostalgia la si avverte: basta pensare al presidente del Senato Ignazio La Russa e al suo museo casalingo di simboli del ventennio».
«Ma non rivedremo squadristi come allora, la storia non ritorna mai nello stesso modo: da Orbán a Trump, c’è però un odore di autoritarismo a cui si deve fare attenzione. Ma invece di parlare di allarme fascista sarebbe meglio lavorare sulle politiche che questa destra sta mettendo in atto, ad esempio sull’aborto. Sono comunque curioso di vedere che cosa dirà Meloni il prossimo 25 aprile».
© Riproduzione riservata