In veste di critica cinematografica stronca l’ultima fatica del regista newyorkese. «Se avessi avuto io 15 milioni, sarei riuscita a fare meglio». Un giudizio che riaccende la memoria del suo capolavoro, la web serie “The Lady”, gemma incastonata nella storia italiana del web, tra meme, citazioni e parodie. Monumento di umorismo involontario, se avesse avuto più budget non sarebbe stato lo stesso
Un colpo di fortuna, quello che serve ogni tanto affinché un’opera di rappresentazione diventi un culto. Ci sono serie televisive, film, programmi su cui si spendono milioni e rimangono invisibili, giganteschi sprechi di energie fisiche e mentali, i cosiddetti flop. Poi ci sono pellicole su cui non si investe nulla, e per qualche strano giro del caso, o del destino, se vogliamo porla su un piano più teleologico, diventano classici intramontabili.
Clerks, la commedia in bianco e nero degli anni Novanta, costò circa trentamila dollari, eppure rimane un caposaldo dell’umorismo di quel decennio. Rocky, costato appena un milione, ne ha incassati 225, oltre ad aver conquistato un posto nel cuore e nella mente di chi prova a fare jogging motivandosi come Sylvester Stallone, magari facendosi scappare un “Adriana!” alla fine della scalinata della villetta comunale. E poi, che dire di Io sono un autarchico, il film d’esordio di Nanni Moretti, girato in Super8 con amici e parenti, set casalinghi, doppiaggio casereccio, tre milioni di lire come budget, sale d’essai stracolme, passaparola, pista di decollo perfetta per Ecce Bombo.
Quindici milioni di dollari è il budget di Coup de Chance, il cinquantesimo film del maestro della commedia colta all’americana, Woody Allen. A fornici questa informazione, in leggero contrasto con quanto sostengono altre fonti sul web – pare siano 20 i milioni, poco più –, è Lory Del Santo. «Se avessi avuto i 15 milioni di euro che è costato l'ultimo film di Woody Allen penso che sarei riuscita a fare meglio. Anche se non sempre i soldi fanno la differenza», scrive sul suo profilo Facebook, che è una sorta di museo iconografico del Novecento.
Ci sono foto in bianco e nero dei suoi genitori, umili lavoratori veneti ritratti dubbiosi all’inizio degli anni Sessanta, lei bambina che impara a nuotare, lei con Gassmann, Troisi, Clapton, Arbore. E poi ci sono i suoi post, brevi trattati pieni di aforismi, pregni del suo pensiero: «Creare e realizzare storie è molto difficile ma anche appagante. Volevo imparare e capire sul campo tutte le difficoltà che si devono affrontare in un set. Guardare e basta non dà la dimensione del progetto. Per imparare e migliorarsi bisogna mettersi alla prova», dice.
Parla del suo The Lady, un progetto prodotto, scritto, diretto, interamente partorito in ogni suo dettaglio dalla Lady of Verona ormai quasi dieci anni fa, nell’autunno del 2014.
Fu un colpo di fortuna a trasformare The Lady in un vero e proprio cult da milioni di visualizzazioni su YouTube. L’inizio degli anni Dieci del Duemila era l’era della post-ironia che trionfava su internet insieme ad altri concetti come post-verità, filter-bubble ed echo chambers. Sono passati poco più di dieci anni dall’esplosione capillare e pervasiva dei social network, eppure sembra un’era geologica; c’era più ingenuità, molto meno controllo, decisamente troppa libertà.
In questo brodo primordiale fatto di filtri su Instagram e tweet problematici di celebrità poco lungimiranti, le web series erano un terreno vergine. In Italia ci avevano provato gli youtuber più brillanti con Freaks!, senza generare troppi entusiasmi, risucchiati dai fenomeni comici The Pills, The Jackal e Il terzo segreto di satira, unica formula dal basso in cui il genere si esprimeva con successo. Poi è arrivato The Lady, e luce fu.
Luci abbaglianti, rigorosamente artificiali, visi levigati da spessi strati di trucco. La peculiarità di The Lady è che ogni scena sembra l’intro di un film porno italiano, di quelli caserecci e scadenti, pieni di dettagli fastidiosi, brutti divani, mobili in truciolato. Solo che, invece di liberarsi dell’incombenza narrativa che è la contestualizzazione della scena di sesso, Lory Del Santo mette in scena un coito interrotto, un preludio al nulla che diventa speculazione filosofica sul senso stesso della bellezza; la scuderia di Lele Mora che incontra la Critica del giudizio di Kant, per rendere l’idea.
Tutti i suoi attori sono uomini palestrati, depilati, fustacchioni riconducibili al canone estetico di cui David Beckham fu principe all’inizio degli anni Zero, il metrosexual, una mascolinità così tanto pronunciata da tendere al femmineo, leziosa e delicata. Costantino Vitagliano, il primo e indimenticabile tronista d’Italia, già protagonista di un altro capolavoro di comicità involontaria, o di opera trash in termini labranchiani, che è stato Troppo belli, in coppia con Daniele Interrante, torna sullo schermo nei panni di Luc, fidanzato di Lona, la lady attorno cui gira tutto questo universo delsantiano fatto di profumi scadenti e ambientazioni da locali di scambisti al confine con la Svizzera.
La donna, dal canto suo, è mistero, intrigo, vanità, flirt, ma anche business, moda, impegni, telefonate. Tutto in questo mondo popolato da donne vestite come le olgettine al tribunale di Milano e uomini seminudi esibiti come statue greche usate per arredamento di night club si esprime con una lingua sconnessa, ma in qualche modo comprensibile. I dialoghi sono palleggi deliranti tra aforismi sui massimi sistemi, un frasario da business bocconiano e lessico da alta moda, tutto declinato in una versione sintetica e parodistica, priva di contenuto, puro formalismo.
Poteva rimanere un tesoro sommerso, e invece è diventato un cult. Un passaparola che lo ha trasformato in un involontario classico dell’umorismo, producendo tutto ciò che serve per rimanere nella – brevissima, chiaro – storia di internet, tra meme, citazioni, parodie. Un coup de chance che, un po’ come il film di Woody Allen, ha a che fare con intrighi, bellezza – ciascuno secondo i propri canoni –, vite altolocate, grandi città, misteri, tradimenti.
«Sceneggiatura decisamente insufficiente, montaggio discutibile, musica relativa, messaggio povero. Insomma non all'altezza di una valutazione positiva secondo la mia valutazione», commenta Lory Del Santo nelle vesti di critica cinematografica, delusa dall’ultima fatica del regista newyorkese.
Non sappiamo cosa direbbe Allen guardando The Lady, se ne rimarrebbe altrettanto deluso o se invece griderebbe all’opera d’arte. Di certo però, se Lory Del Santo avesse avuto quindici milioni di euro nel 2014, il risultato non sarebbe mai potuto essere lo stesso. Perché certi capolavori, sia del bello che del brutto, sono capolavori proprio perché nascono dal nulla e poi diventano qualcosa, anche e soprattutto grazie a ciò in cui li trasforma chi diventa spettatore per caso, inaspettatamente, per un colpo di fortuna.
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