Possiamo goderci i quadri, i romanzi e le composizioni di autori che nella loro vita hanno fatto cose orribili? Ci sono persone neglette che hanno reso grande la storia della cultura. Ora c’è chi suggerisce di dimenticarli
Nel 1885 un Benedetto Croce appena diciannovenne recensiva il volume di un filosofo francese, Arte e morale. Il libro, di un tale Constant Martha, è completamente dimenticato, e la recensione può interessare solo gli studiosi di Croce. Ma il titolo della recensione è sintomatico: Una vecchia questione.
Proprio così: già alla fine dell’Ottocento quella del rapporto tra arte e morale poteva apparire una questione datata. E lo era, effettivamente, nel senso più letterale del termine, dato che si poteva senza fatica farla risalire addirittura a Platone.
Il quale, nello stato ideale che descrive nella sua opera La Repubblica, non ne vuole sapere dei poeti, anche grandi, anche eccellenti nella loro arte, perché potevano avere un influsso negativo su quelli che li leggevano (o, all’epoca, ascoltavano), specialmente sui giovani, dato che rappresentavano per lo più comportamenti riprovevoli, e non esitavano neppure ad attribuirli agli dèi, che venivano descritti rissosi, violenti, corrotti, preda del vizio e della concupiscenza. Perciò Platone scacciava i poeti dalla città ideale.
Opera e biografia
La cosa singolare è che questa questione così antica, e che sembrerebbe adatta soprattutto a qualche disputa accademica, sembra tornata di sorprendente attualità. Il libro di Claire Dederer non ancora uscito in Italia Monsters. A Fan’s Dilemma, che ha suscitato un fiume di discussioni negli Stati Uniti, la mette giù nel modo più piano, che è anche quello più bruciante: possiamo (ancora) apprezzare i film, i libri, la musica, di artisti di cui sappiamo che hanno fatto cose terribili?
Possiamo ammirare, o anche solo guardare, Chinatown o Frantic, dopo aver saputo che il loro regista, Roman Polanski, è stato condannato in America per lo stupro di una tredicenne, avvenuto nel 1977? Possiamo entusiasmarci per Io e Annie o per Manhattan di Woody Allen, sapendo della storia di Allen con Soon-Yi Previn, la figlia adottiva della sua compagna Mia Farrow?
O, più tradizionalmente, possiamo ascoltare la musica di Wagner sapendo che l’autore del Lohengrin è anche l’autore del libello antisemita Il giudaismo nella musica? O leggere i Cantos di Ezra Pound sapendo della propaganda del poeta americano a favore del fascismo?
L’artista e la morale
Si potrebbe osservare che, a rigore, qui la questione non è più arte e morale ma l’artista e la morale. In tutti questi casi, citati da Dederer, è in questione il comportamento dell’uomo (artista) più che i contenuti della sua arte.
Ma – e questo è proprio uno dei motivi per cui la questione arte e morale è tornata così attuale – il discrimine è ancora così netto? Quanto conta la biografia dell’artista per la sua arte? Dederer non ha certo torto quando scrive che è impossibile separare la poesia di Sylvia Plath dal suo suicidio. E questo vale per molti autori contemporanei.
È vero che viviamo in un periodo biografico, che la massa di notizie che conosciamo sugli autori, sulla loro vita privata, sui loro amori si mescola irresistibilmente a quello che sappiamo della loro opera, dalla loro opera.
Come separare Pier Paolo Pasolini dalla sua vita, o dalla sua morte? Quello che però vale per i contemporanei (e vale moltissimo per l’arte di massa, per i divi del pop, per attori e registi) diventa singolare e quasi grottesco applicato agli artisti di un passato più lontano.
Che Jonathan Franzen dichiari di sentirsi a disagio davanti a un quadro di Caravaggio perché sa che è un assassino, che ha ucciso un uomo in duello, o che Joseph Conrad esprime una mentalità colonialista (ma avrà letto Cuore di tenebra?) ci sembra curioso; anzi, ci sembra un brutto segno di confusione.
La verità è che spessissimo non sappiamo quasi nulla dei grandi artisti del passato, e non è raro scoprire che artisti che hanno dipinto quadri piissimi erano dei gran libertini. Filippo Lippi dipingeva madonne ma fuggiva con la suora che gli aveva fatto da modella, la bellissima Lucrezia Buti.
La biografia nelle opere
Torrenziale, brillante ed estremo, Monsters ti trascina nella lettura ma non direi che metta ordine nelle questioni che affronta, se non implicitamente. Per esempio, leggendolo le analisi di Dederer, emerge una notevole differenza tra i film di Polanski, che non sembrano avere alcun rapporto con le azioni per cui è finito in tribunale (ma ne avranno, eccome, con altri aspetti della sua vita, dalla infanzia segnata dall’Olocausto all’assassinio di sua moglie Sharon Tate) e la rappresentazione dell’amore di un uomo maturo con una ragazzina in Manhattan di Woody Allen, che può esser letto in relazione ai comportamenti dell’autore nella vita privata.
Ma, di nuovo, il disagio che Dederer esprime a proposito della relazione tra Allen e Soon Yi (disagio strettamente psicologico e morale, dato che nel caso non c’è stato nulla di penalmente rilevante) sembra ignorare che il tema del rapporto che può nascere tra persone legate da legami che dovrebbero altamente sconsigliarlo è un evergreen di tutte le letterature, declinato sia al femminile (Fedra) sia al maschile (Don Carlos), fino al Danno di Josephine Hart, trasposto al cinema da Louis Malle.
La realtà è che sul terreno dei rapporti tra arte e morale le cose sono un po’ più complicate di come certe granitiche convinzioni possono indurre a pensare. Se volete cominciare a mettere un po’ d’ordine, a partire proprio dai film, consiglierei il libro di Mario De Caro ed Enrico Terrone, I valori al cinema. Una prospettiva etico-estetica (Mondadori 2023).
La domanda su quanto il comportamento di un artista può influenzare la valutazione dell’opera è ben diversa da quella sul contenuto dell’opera stessa. E la valutazione del contenuto non può essere posta in astratto, ma deve sempre tenere conto dell’atteggiamento dell’opera (che può essere diverso da quello dell’artista che ha prodotto l’opera) nei confronti di ciò di cui parla.
Certamente, se la produzione di un film ha comportato maltrattamenti di animali o vessazioni o violenze sugli attori o sulle attrici saremo giustificati nella nostra decisione di non andare a vederlo. Ma si può dare benissimo il caso di artisti con idee aberranti che non trapassano nella loro opera artistica.
Louis-Ferdinand Céline ha scritto un pamphlet antisemita, ma Viaggio al termine della notte non incita all’antisemitismo e perfino l’ascolto di Wagner, al contrario della celebre battuta di Woody Allen, non deve per forza farci venire voglia di invadere la Polonia.
Buona e cattiva arte
Quanto ai contenuti, prima di condannarli occorre riflettere sulla prospettiva dalla quale sono traguardati. Anche Dederer riconosce, ad esempio, che Lolita di Nabokov fa emergere chiaramente come il rapporto della ragazzina con Humbert Humbert, che potrebbe essere suo padre e che nella costruzione da lui architettata si fa passare per tale, finisca per sottrarre totalmente a Lolita la sua gioventù.
Molto spesso le critiche di tipo moralistico a film famosi si basano proprio sulla convinzione che l’autore non stigmatizzi abbastanza il cattivo della storia: così è stato rimproverato ad Alfred Hitchcock per il protagonista di L’ombra del dubbio, un cattivo da manuale, ma troppo poco mefistofelico, o a David Lynch per Velluto Blu, in cui le perversioni del gangster che umilia Isabella Rossellini sarebbero assolte dalla ironia postmodernista che circola in tutta la pellicola.
O ancora Quentin Tarantino è stato accusato di non affrontare il tema della schiavitù dei neri americani con la dovuta serietà, diluendo la durezza di alcune scene di Django Unchained con l’andamento narrativo di uno spaghetti-western.
Ma non bisogna dimenticare che il compito dell’artista non è dare lezioni di morale. È rappresentare quello che accade o può accadere, e i grandi scrittori sanno che i cattivi pensieri e le cattive azioni albergano anche nelle persone che ne sembrano più lontane, figuriamoci nei perversi.
Guai se l’artista, in nome di una correttezza morale troppo soggetta ai mutamenti dei costumi e delle società, rinunciasse a farci vedere le cose come sono. Significherebbe rinunciare a metterci in contatto con quel che esula dalla nostra tranquillità e dai nostri comportamenti irreprensibili. Non per nulla, l’arte edificante è quasi sempre cattiva arte, come è stato detto con qualche verità, è con i buoni sentimenti che si fa la cattiva letteratura.
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