Un anno è composto di cinquantadue settimane, giorno più giorno meno. Arrivata al cinquantesimo numero, questa newsletter ne conta in realtà proprio cinquantadue – basta contare il numero zero, dedicato alle collane e ai soldi, e quello di rilancio dopo il ciclo “in estiva”, che apriva la serie sulla bromance. Spalmata su due anni accademici dunque, su quattro semestri, questa collezione conta sufficienti lettere per corrispondersi settimanalmente lungo un intero anno solare.
Chi di voi ha scorso l’indice del libro che ne ho tratto sa che lo spirito di geometria mi appassiona, anche se so bene che porta un po’ sfortuna. A Boccaccio, agli autori e ai compilatori delle Mille e una notte, riuscì di fare cifra tonda, ma nella tarda modernità il trucco non si combinò per Pirandello, che morì prima di raggiungere le 365 Novelle per un anno, e poi per Parise, che fu abbandonato dalla poesia prima di concludere l’alfabeto dei suoi Sillabari, interrotti alla lettera S. Si rischia sempre, insomma, quando si punta a certe arbitrarie completezze.
Noialtri però ce l’abbiamo fatta, e dunque non mi sono granché rammaricato quando la nuova direzione di Domani, la testata che ha ospitato i nostri scambi così a lungo, mi ha comunicato che, proprio con questo cinquantaduesimo numero cinquanta, al compimento di un ideale anno e di un’esatta quinta decina, bisogna chiudere la newsletter. Alla redazione mancano le risorse per tenere aperto questo nostro canale, che si dovrà trasferire su più personali connessioni: vi invito dunque a scrivermi all’indirizzo in calce e ad adoperare i miei social, su cui continuerò a segnalare le uscite di Cose da maschi. La rubrica infatti non smetterà di uscire, una settimana sì e una no, sul giornale, sempre con le magnifiche illustrazioni di Didier Falzone, sempre di sabato sul cartaceo in edicola (o, per chi si abbona, a casa).
Sfoglio l’ormai sterminata sezione del sito di Domani riservata all’archivio delle nostre newsletter, ai pezzi miei e di altrə usciti nella rubrica, e ripenso ai molti passaggi intensi di queste cinquantadue settimane. Al Covid naturalmente, con le riflessioni sul naso e sulla cameretta che scrivevo appunto dalla cameretta nella casa romana in cui sono cresciuto, ritrovandomi in quarantena durante le vacanze. Allo scoppio della guerra in Ucraina che portò i versi di Franco Fortini nella newsletter, e che aprì una strana sequenza di cose da maschi (fiori, scrivania, piedistallo, e poi le cose dei guerrieri e dei cavalieri, tutte da disinnescare). Ai numeri di stagione su Babbo Natale e su Spotify Wrapped, a quello un po’ commosso per l’uscita di Cose da maschi con Einaudi.
Durante le presentazioni di quel libro sono tornato spesso ai primi numeri, che hanno informato i capitoli sulle cose da guardaroba: cravatte, camicie, canotte, tute. Ma ripercorrendo ora la sequenza di articoli indugio soprattutto a quel che hanno scritto altre persone nella rubrica: dalle penne letterarie di Jhumpa Lahiri e Liv Ferracchiati a quelle accademiche di Giordano Maifreda, Martina Piperno, Emanuele Lugli, Eugenio Refini e Ida Campeggiani.
Ricercatori scanzonati e giornaliste, vaticanisti, curatrici, studenti, attrici e bambolaie mi hanno inviato articoli spesso generati direttamente dalla lettura della newsletter, e ho potuto ospitare contributi di menti che amo come quelle di Maria Luisa Frisa, Monica Huerta, Rosalba Nodari e Andrea Capra. La ricchezza di questo condominio dedicatosi, lungo molti mesi, alla coscienza e autocoscienza di genere è un raggiungimento di cui sono particolarmente orgoglioso.
Sempre per spirito di geometria mi pare perciò elegantissimo chiudere il ciclo con la stessa firma ospite che compariva al numero #1: quella di Luca Fontò, brillante giornalista culturale dai mille talenti, art director e illustratore, collezionista senza scrupoli e ormai mio bro.
Da diverse settimane Luca mi diceva di voler scrivere di premi, e in particolare del perché i grandi premi del cinema occidentale rimangono impervi alle donne persino dopo il presunto cataclisma del metoo. Se il cinema in sé non è davvero una cosa da maschi, lo restano in gran parte le statuette che si assegnano per acclamarne i maggiori successi.
Luca parte da una disamina dell’ultima edizione dei David di Donatello per arrivare alla vittoria di Triet a Cannes, nella sua solita girandola di fatti serrati e densi, e punta l’occhio non tanto sulle candidature, quanto sui piedi che effettivamente travalicano il golfo mistico per salire davvero sul palco a ricevere qualcosa durante le cerimonie. Ma soprattutto ricorda le grandi fondatrici di Hollywood, che prima dell’avvento del sonoro inventavano quel che sarebbe diventato il cinema occidentale.
La sua prosa, così meno pensierosa e arzigogolata della mia, fa capire subito il punto, ed è un piacere leggerla. Trovate quest’ultimo articolo ospite qui su Domani online.
Dal canto mio, per quest’ultimo lancio via newsletter vi propongo il primo di una serie di ragionamenti sugli spazi condivisi dai maschi (e, di regola, solo di maschi) in certi luoghi pubblici. Vorrei dedicarmici su Domani in questi mesi estivi, sempre una settimana sì e una no, esplorando il bagno dei maschi, il reparto uomo, lo spogliatoio maschile, l’isola del confino e di altre distopie (o utopie) di genere, da Ariosto a Marinetti al regime fascista.
In limine a questa sequenza metto, oggi, la doccia: spazio in sé unisex ma stranamente connotato (come mostro nell’articolo a partire dalla plastica con cui si confezionano i bagnoschiuma “for men”) sul versante della virilità.
L’idea mi è venuta a Yale, nel corso dello show&tell organizzato dal programma di studi rinascimentali per celebrare l’uscita del libro. Ho chiesto a colleghə e studentə di portare un oggetto “da maschi”, e di ragionare insieme sul perché lo fosse. Una dottoranda ha esibito una particolare marca di sapone, e per quasi mezz’ora ci siamo interrogati sulla presunta maschilità di quell’articolo da bagno, ragionando di odori e fragranze, colori degli incartamenti, identità di chi fa la spesa, e altre questioni più o meno materiali di costruzione dell’identità di genere da parte del mercato e del consumo.
Il sapone è ora nel mio ufficio, assieme ad altri reperti collezionati all’evento – tra cui spicca una fetida boccia di AXE, portatami da Evren Savcı, geniale professoressa di Studi di Genere e Queer. E il suo enigma (quello del sapone, non dell’AXE) è al cuore di questo articolo, che trovate qui su Domani online e che sabato sarà come di consueto in edicola sul giornale.
Al solito, Didier Falzone mi legge nel pensiero e adotta capitelli antichi e prospettive pittoriche per immaginare, nei dettagli straordinari del suo collage, una doccia condivisa: non di quelle in cui si canta o si ragiona tra sé e sé, ma di quelli in cui il sé è un corpo presente, al cospetto di un altrettanto immanente altro sé. È infatti a quella confidenza un po’ spaventosa (almeno per me, forse un tantino troppo pudico) che dedico l’affondo introspettivo e l’augurio finale dell’ultima cicalata che vi invio per lettera.
Vi saluto con gratitudine, invitandovi a ringraziare a vostra volta mentalmente, mentre leggete, la straordinaria Serena Vitale, che dalla redazione di Domani ha curato Cose da Maschi sin dal primo numero. Vi invito anche a continuare a seguire il lavoro delle molte penne che magari avrete incontrato per la prima volta su queste schermate, come quella di Lorenzo Gasparrini e di altri attivisti capaci, come so che cerca di fare chi ha seguito questo spazio, di fare della maschilità non un nemico da abbattere in sé o un inganno da smascherare per sempre, ma un’identità più multiforme e accogliente, più varia e consapevole di quanto non voglia farci credere il patriarcato.
Ora che lascio le vostre caselle di posta, spero di continuare a trovarvi: in rete (dove sono sempre @giammei), in edicola (ogni due sabati), e di persona. Abbraccissimi. E, davvero, grazie.
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