- H.D. è nata in Pennsylvania e ha attraversato gli inizi del Novecento sperimentando l’imagismo e conoscendo Freud. Ha mescolatov immagine poetica, cinema e inconscio. Tutto ciò alla ricerca di una femminilità fuori dalle convenzioni e dagli scemi tradizionali.
- Questa è una nuova puntata di “Una donna che scrive”, che è in partnership con Muri di Versi, nato come festival di socialità poetica a Bologna nel 2015.
- L’obiettivo è «portare la poesia fuori dagli ambienti accademici, sfruttare il suo potere di collante sociale e culturale, restituire la poesia alla gente»; dal 2018 Muri di Versi è pure associazione culturale.
«Noi, fatti per discernere i colori dell’arcobaleno lunare».
Hilda Doolittle, scrittrice e poeta, nasce il 10 settembre 1886 a Bethlehem, Pennsylvania. La razionalità di suo padre, professore di astronomia, ben si amalgama con lo spirito artistico e religioso della madre – modello al quale da bambina cercherà di aderire, per scoprire presto di non essere adatta a quei confini strettissimi che una certa morale femminile imponeva.
E questo strabordare dai limiti delle convenzioni sarà proprio un suo tratto distintivo: William Carlos Williams, suo amico e poeta, dirà che Hilda le confessò di aver cominciato a scrivere poesie spruzzandosi l’inchiostro su tutti i vestiti. Perché? «To give her a feeling of freedom and indifference»: e dunque, per sentirsi libera!
A quindici anni Hilda conosce il coetaneo Ezra Pound e come lui, qualche tempo dopo, si stabilisce a Londra. È qui, nella sala da tè del British Museum, che prende forma il movimento poetico dell’Imagismo e Hilda Doolittle rinasce nel nome di H.D. Imagiste. Nel circolo di poeti che si ritrova nel museo londinese, la giovane poeta incontra Richard Aldington, che diventerà suo marito nel 1913.
L’imagismo
Ma il movimento imagista, che cos’era? Le caratteristiche della poesia imagista furono messe per iscritto da Ezra Pound e F. S. Flint e prevedevano un trattamento diretto dell’oggetto poetico, senza orpelli e astrazioni: quello che doveva essere messo in poesia era semplicemente una “immagine”, intesa come «complesso intellettuale ed emotivo in un istante di tempo». Attraverso una lingua naturale, priva di artificiosità, si imprimono sulla pagina immagini nitide.
Ed è quello che accade in Sea Garden (1916), la prima raccolta di poesia di H.D., in cui è alla natura che la poeta si ispira per trarre immagini visivamente precise. Su un paesaggio di coste rocciose si stagliano fiori e piante che ci ricordano la Grecia antica – spazio culturale di grande interesse per Hilda – ma che in realtà risalgono alla memoria del giardino di sua madre. In una versione modernista del trascendentalismo americano, gli elementi della natura diventano simboli per esplorare la coscienza, una sorta di “correlativo oggettivo”, prima che T.S. Eliot lo teorizzasse.
Una femminilità non allineata
Infatti, per quanto la poeta si celi enigmaticamente dietro le iniziali, per quanto possa sembrare una figura impersonale e disincarnata, in realtà le poesie di Sea Garden sono anche poesie sull’identità. Da questi versi emerge il suo desiderio potente di fuggire dal luogo protetto del giardino materno per esplorare una dimensione selvatica che viene qui celebrata: «Oh cancellare questo giardino / dimenticare, trovare nuova bellezza / in qualche luogo terribile / torturato dal vento». È nell’asprezza della natura selvaggia che Hilda nega quella femminilità tradizionale a cui non vorrà mai aderire.
Poco tempo dopo dall’uscita di questo suo primo volume, il matrimonio con Aldington finisce e Hilda conosce Winifred Ellerman – detta Bryher, una ricca industriale con cui condividerà il resto della vita. L’amore tra le due donne è intensissimo e permette ad Hilda, ancora una volta, di esplorare un lato della sua femminilità non allineato alla norma sociale dell’epoca. Questa ribellione torna nel secondo libro di H.D., The God (1913-17). Tra le tante poesie è significativo ricordare Euridice in cui la poeta decostruisce il mito classico raccontato tradizionalmente da voci maschili, riproponendo la divinità in un atteggiamento di furia e indifferenza rispetto all’amore di Orfeo: «Almeno io ho i fiori per me stessa / e i miei pensieri, nessun dio / me li può prendere».
Il cinema e l’incontro con Freud
Nel 1926 H.D. conosce un giovane artista, Kenneth Macpherson, con cui sviluppa da subito un legame intenso. Si crea così una singolare famiglia formata da Kenneth, Bryhes, Hilda e Perdita (sua figlia, avuta da una relazione extraconiugale). Aldilà del legame affettivo, erano tenuti insieme anche da una forte affinità artistica: fondarono una casa cinematografica, una rivista di cinema e lavorarono ad alcuni film. Importanti quanto il cinema furono le influenze della psicanalisi: nel 1933 Hilda conobbe personalmente Freud, che ebbe un peso importante per la sua indagine personale e poetica. Parallelamente allo studio della psicanalisi Hilda si immerse in un percorso ermetico, trovando nella numerologia, nei tarocchi e nelle sfere di cristallo un accesso all’inconscio.
Questa esplorazione del sé più profondo e celato ritorna nelle poesie degli anni Quaranta, in particolare nella sua Trilogy (1944-46): un’opera in tre volumi inizialmente pubblicati separatamente, che Hilda scrisse durante la Seconda guerra mondiale. Qui l’io poetico si muove nelle terre d’Egitto (visitate con Bryher nel 1923) in cerca di una verità ancestrale che universalizzi la coscienza personale nell’esperienza comune, per «recuperare il segreto di Iside / per cui: c’era Una / all’inizio, Creatrice, / Nutrice, Sempiterna, Generatrice».
L’inconscio e il linguaggio visionario
L’opera si presenta sin da subito come viaggio visionario, guidato da varie presenze che si collocano entro un quadro fortemente sincretico: in Trilogy gli apostoli coesistono con le antiche divinità egizie, il sapere religioso si mescola con quello alchemico, ma l’io poetico mira ad un’unica tendenza spirituale. Nel suo impianto l’opera sembra aderire al modello tripartito della ricerca, in cui la persona poetica si muove dall’inferno al regno dei cieli (come accade e Dante nella sua Commedia!).
Hilda muore il 27 settembre 1961 a Zurigo, dopo un lungo periodo di malattia. La sua ricerca poetica da alcuni anni è stata reinterpretata dagli studiosi: grazie soprattutto alla critica femminista e psicoanalitica possiamo apprezzare l’opera di H.D. anche aldilà dell’imagismo, ricollocandola nella storia letteraria sotto un profilo più ampio. Di Hilda Doolittle ci resta proprio questo suo strabordare oltre l’orizzonte pensabile, questo suo sforzo di entrare nell’enigma per scogliere gli imperativi dettati dal presente, facendosi così guida per «noi, fatti per discernere / i colori dell’arcobaleno lunare».
Giglio di mare
(da Sea Garden, 1916)
Giunco,
squarciato e strappato
ma doppiamente ricco –
le tue grandi cime
fluttuano sui gradini del tempio,
ma tu sei spezzato dal vento.
La corteccia del mirto
è punteggiata da te,
le squame sono distrutte
dal tuo stelo,
la sabbia spezza i tuoi petali,
lo solca con lamina dura,
come selce
su pietra brillante.
Eppure benché il vento
frusti la tua corteccia,
sei sollevato,
sì – benché sibili
per ricoprirti di schiuma.
Euridice (VII)
(da The God, 1913-17)
Almeno io ho i fiori per me stessa,
e i miei pensieri, nessun dio
me li può prendere,
ho il fervore di me stessa per presenza
e il mio stesso spirito per luce;
e il mio spirito con la sua perdita
sa questo;
benché piccola contro il buio,
piccola contro le rocce informi,
l’inferno deve spaccarsi prima che io sia perduta;
prima che io sia perduta,
l’inferno si deve aprire come una rosa rossa
per far passare i morti.
[31]
(The Walls Do Not Fall, in Trilogy, 1944)
Nostalgia, esaltazione,
nocciolo d’infuocate elucubrazioni,
appunti scritti in margine,
palinsesto indecifrabile, coperto di scarabocchi
con troppe emozioni in conflitto,
ricerca d’una definizione finita
dell’infinito, scivolando
in vaghe asserzioni cosmiche,
in facili sentimenti,
pratica di conto corrente spirituale,
con il dare-avere troppo nettamente marcati,
ridda d’immagini incontrollate,
appunti numerici d’equazioni psichiche,
rune, superstizioni, evasioni,
invasione della super-anima in una coppa
troppo fragile, in un vaso troppo angusto,
troppo poroso per contenere il traboccare
dell’acqua-che-sta-per-divenir-vino
alle nozze; ricerca sterile,
arroganza, certezza, penosa reticenza,
presunzione, intrusione d’allusioni
improprie, forzate;
illusioni di dei perduti, di démoni;
gioco d’azzardo con l’eternità,
iniziata alla saggezza segreta,
sposa del regno,
miraggi, ritorno d’antichi valori,
interessa perduta, pazzia.
[1]
(Tribute to the Angels, in Trilogy, 1945)
Ermete Trismegisto
è patrono degli alchimisti;
suo dominio è il pensiero;
scaltro, creativo, curioso,
suo metallo è il mercurio;
poeti, ladri e oratori sono i suoi clienti;
ruba, quindi, Oratore
e saccheggia, o Poeta,
prendi quel che l’antica chiesa
trovò nella tomba di Mitra,
candela, scritture, sonaglio,
prendi quel che la nuova chiesa ha disprezzato
rotto e frantumato;
raccogli i frammenti di vetro infranto
e col tuo soffio e il fuoco
fondi e integra,
re-invoca, ri-crea
opale, onice, ossidiana,
ora dispersi in schegge
calpestate da tutti.
[9]
(The Flowering of the Rod, in Trilogy, 1946)
Non è fantasia poetica
ma realtà biologica,
è un fatto: sono un’entità
come l’uccello, l’insetto, la pianta
o la cellula d’alga;
io vivo; io sono viva;
sta attento, ignorami,
rinnegami, non riconoscermi,
evitami; perché questa realtà
è contagiosa – estasi.
FONTI
H.D. Trilogia, a cura di Marina Camboni, Salvatore Sciascia Editore, 1993
H.D. Poesie imagiste di Hilda Doolittle, a cura di Giorgia Sensi, Interno Poesia, 2021
*NOTA – POETA O POETESSA?
In generale, spiega Vera Gheno in “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole”, i linguisti consigliano di non utilizzare il suffisso -essa, in quanto storicamente usato per designare “la moglie di”, oppure per conferire una connotazione dispregiativa. È anche vero che è rischioso intervenire sui termini che sono già pacificamente nell’uso, come poetessa, appunto. In ultimo, tra poeta o poetessa, Alba Sabatini consiglia di utilizzare poeta (accompagnato dall'articolo femminile), in quanto foneticamente legato al genere femminile sin dalla sua origine latina, e in quanto associabile per analogia ad altri nomi femminili o epiceni (es: atleta). Si veda Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, estratto da “Il sessismo nella lingua italiana” a cura di Alma Sabatini per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna, 1987. La questione non ha una risposta univoca, importante è utilizzare queste parole consapevolmente.
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