I due cantanti non potrebbero essere più diversi tra loro. Ma i loro dischi Sulle ali del cavallo bianco e Icon hanno qualcosa in comune. Entrambi aprono uno squarcio nuovo nel prima della sensibilità e dello sgretolamento degli uomini di oggi
Due album italiani usciti negli ultimi due mesi – e una rispettiva serie di date in programma quest’estate – ci danno la possibilità di un’immersione nel complesso prisma della sensibilità e nell’educazione sentimentale maschili d’oggidì abbastanza rare.
Molti sono i diritti sono ancora da acquisire per le donne italiane. Eppure “fine del patriarcato” è ormai una dicitura che è come gomma da masticare in bocca a stand up comedian ed entertainer – persino Chiambretti da Fagnani l’ha pronunciata – oltre che alle tredicenni che la sbandierano fiere ma in modo casuale. Ma la “fine” è vera, e speriamo.
Tanti uomini oggi sembrano spettri. Spettri che camminano tra noi. Gli album – e le apparizioni pubbliche, stories incluse – che girano intorno agli apparentemente contrapposti Sulle ali del cavallo bianco di Cosmo e Icon di Tony Effe qualcosa ci raccontano – in modo bipolare – di questa mascolinità ectoplasmatica (che può essere, come tutti i fantasmi, assai pericolosa) e rimpicciolita.
Ci raccontano – in modo diametralmente opposto – di un essere uomini che si è afflosciato. Cosmo e Tony (che più diversi di così non potrebbero essere) sono gemelli eterozigoti che si pensano agli antipodi (e hanno sicuramente orrore l’uno dell’altro) ma che stanno invece per ritrovarsi entrambi sulle sedie di terapeuti che ormai scoppiano di pazienti (maschi, oltretutto).
Che Italia. Roba da Censis.
Malinconica provincia
Da queste parti, così festose da tanti anni, è approdata a sorpresa una certa malinconia. In parte ne abbiamo capito le origini grazie alla non casuale uscita chic in contemporanea su Mubi di Antipop, eccellente documentario di Jacopo Farina che descrive nei dettagli la stranissimo percorso (arrivato in modo quasi hollywoodiano quando tutto sembrava inceppato) di Marco Jacopo Bianchi. Vediamo tutto, e vediamo Ivrea – sempre presente e fedelissimo luogo di partenza e ritorno del nostro – in tutta potenza malinconica e fin troppo ex olivettiana (altro fantasma ormai trito, rievocato da 50 anni).
E vediamo la speranza e la disperazione e la solitudine e il divertimento tra quattro gatti, tutte cose che da sempre fanno provincia. Da lì è partito tutto – dal racconto di sé, e dei propri amori, e dei posti pubblici – e lì si è sempre ancorato, Cosmo.
La consapevolezza – e le lotte per la libertà durante e dopo il periodo covidico, e a tutela della categoria degli artisti in assoluto – lo avevano portato a mandare fuori l’incandescente La terza estate dell’amore seguito da un’infinita tournè con lui a torso nudo che ballava per tre ore e a volte in aftershow per tutta la notte. È la stessa performance che è stata riprodotta – con lui biancovestito e sexy weird – al concerto del primo maggio, con tanto di bandiera palestinese, inevitabile.
Una nudità comunque di squisita matrice tribal-fricchettona (da rave che finisce al Tg1) che, insieme a quella di alcuni video, abbiamo sempre apprezzato.
Un album fragile
Tuttavia deve essere successo qualcosa. Probabilmente le vendite non altissime di quell’album antecedente, che del resto felicemente tirava la corda. Questo ha forse generato una paura anche lavorativa che ha portato alla negazione di questa stessa preoccupazione nel nuovo album, oltretutto rivendicata dalla scelta di una produzione più azzardata come quella di Not Waving (Alessio Natalizia).
Sentimento che viene proprio dichiarato in interviste sparse (“non sarò tra quelli che perdono la brocca se il mio disco non vende”) tanto da finire nel dubbio opposto, come la psicanalisi dei libretti dell’edicola ci insegna. In realtà la produzione è semplicemente fatta di un pop aggiornato, non avant, che costruisce canzoni fatte e finite. Cosmo ha fatto persino uscire una lista dei riferimenti, ma a Battisti c’eravamo arrivati fin da prima della svolta di popolarità.
Quello che invece è interessante è come il precedente racconto della bellezza della vita di coppia, coi figli che ballonzolano da tutte le parti, non si possa più fare. Eh no. Qualcosa è successo e qui ci sono più presenze: una lei, forse un lui, una lei di nuovo, un “noi” che cerca di essere più largo possibile. Ecco (e torniamo in edicola): il poliamore!
Il delirio collettivo si spegne per fiondarsi dentro la ristrettezza di un colpo di fulmine, che o è esploso altrove o è stato ritrovato o tutte e due. La voce di Marco si è fatta come un pochino sbriciolata: sicuro guizzo di produzione, ma pure incrinatura che sembra fare intuire la consapevolezza di una sofferenza sentimentale. E hai voglia a questo punto di andare alle feste con gli amici di Ivreatronic.
Emergono i 40 anni e ci si guarda intorno a casa, a Talponia (il pezzo più bello dell’album, insieme a Un abbraccio, entrambe ballad, non a caso). Una vena – anche da Cosmo più classico- che tra l’altro emerge anche altrove, nell’ottima perla Strano Deserto incastonata nell’impeccabile nuovo lavoro di Mace.
In sintesi, la possibilità di volare sul “cavallo bianco” non c’è proprio (ai più vecchi ricorda pure un vecchio carosello Vidal). Si sente la frana del divertimento prolungato troppo a lungo e delle sue conseguenze. Qualcosa di oscuro filtra in modo quasi impercettibile tra i raggi troppo luminosi dell’artwork. Per questo l’album è molto strano e molto bello. Perché è fragile. Perché è preoccupato. Come noi.
Cosmo sarà in concerto ad Ivrea il 22 giugno, a Legnano il 30 giugno, a Sesto al Seghena il 3 Luglio, a Legnano il 5 luglio. Seguiranno altre date.
Un’altra debolezza
Ben altro tipo di debolezza nella rappresentazione della mascolinità trova il suo centro straordinario nella nudità fisica e emotivamente estrema di Tony Effe, da tempo uno dei re assoluti della scena italiana.
Negletto, schifato, tossico. Ok. Guardiamo meglio. Basso, proporzionatissimo, fisico megamodellato dalla boxe. Una delle facce italiane più belle degli anni Duemila, neorealismo romano in assoluta purezza novecentesca, ricciolini compresi
Tutti sanno la storia triplosette risalente al decennio scorso della Dark Polo Gang, figliocci di riccastri – e non – di Roma centro («dove non ce stanno solo i ricchi»). Tutte le stronzate sullo spaccio erano e sono idiozie da bambini. I consumi invece, uff mamma mia (uno di loro) se ne stava per andare al creatore.
Erano precursori del bling comico della successiva quarta onda dell’hiphop italiano, bidimensionale e fumettistico. La stessa cifra ha caratterizzato la lenta ma micidiale riemersione di Tony. Solo più tornita, con una consistenza da Fifa/Gta, quindi fantasmatica, come quella di un già-morto (e del resto a tirar la corda, seppur per finta..).
E un’idea nuova, ma poi no: riattivare il funky classico nei sample. Viene fuori un sound corposo (beh..), che in questo caso è disegnato da Drillionaire e dallo storico Sick Luke in modo ineccepibile, abbastanza oscillante per consentire al cantante di dare il massimo negli svogliati toni bassi bellissimi della voce che sono Tony, tanto quanto le collanone 7 e gli anelloni Sosa.
Le crepe
Icon, come ha detto a destra e manca TF, è il disco dove il giovane uomo si è messo più nudo. Del resto, il riccetto dagli occhi tristi ci doveva arrivare prima o poi, una volta raggiunta la vetta da Festivalbar 2023 della spaventosa Taxi sulla Luna (ma anche qui la sua voce era irresistibile, esilarante, come nella trionfale Effe dell’anno prima, e pure in Boss). «Non volevo ma lo sono/Tony, Icon, Iconico/ Bitch», dove l’epiteto femminile è troppo vicino a quello maschile per non aprire una possibilità penetrativa, dei generi.
Si apre una voragine tra rappresentazione di sé e qualcos’altro, in mezzo ai chili di bamba, alle grandi bottiglie e hotel e le boutique, i macchinoni, i culi e le tette, le performance sessuali magnificate. Troppo. Si intravede l’amarezza, la fragilità, la nostalgia per l’infanzia (con pallone Super Santos, e la maglia di Totti, proprio in quella parte residua piccoloborghese del quartiere Monti).
Il rapporto con il femminile è mutato. «Ti chiamo puttana solo perché me l’hai chiesto». Per lo meno. Altri indizi nei testi umoristicamente elementari? «Mi sento fragile anche se ho il giubbotto antiproiettile», «Mi senti alla radio/Guidi piano perché hai pianto anche se mi hai sostituito». «Dieci pillole che cadono giù», (calmanti ovviamente). «Sento un vuoto grande dentro, dovrei sorridere di più, ma non ci riesco». «Ho tutto, ma ho perso tutto». «Ho deluso mia madre anche se non me l’hai mai detto...».
Icon è pieno di crepe dentro coppie temporanee, ma che forse manco esistono. Solo che sono le tizie («mi piaci così come sei fatta, naturale ma rifatt»”) ad abbandonare l’Icona. E poi – come vedremo dopo – solo maschietti e maschioni tra i feat: il gotha solito fatto di Sfera, Geolier, Simba la Rue, Lazza, Capo Plaza, Ghali, Bresh&Tedua, gli ex compari Side Baby e Pyrex, Guè e la povera Rose Villain che non c’entra. Tutti inutili, tutti sentimentalmente più grezzi.
È un paradosso che si spiega solo con Tony: emerge perché è il più fragile di tutti. Come lo siano noi.
E, gli faccia orrore o no, come accade all’operaio liberato di Ivrea.
Tony Effe sarà a Ferrara il 23 giugno, ad Agrigento il 7 agosto, il 5 ottobre a Roma.
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