Nudo di Padre di Rossano Astremo (Solferino), candidato allo Strega, è la storia di formazione di un figlio che, spogliato della figura paterna, cerca nel potere salvifico della letteratura i riferimenti per rialzarsi. Nudo di padre traccia un’anatomia del fallimento irresistibile dentro cui il lettore scivola con una comoda immedesimazione. Chi legge percepisce il precipizio, Ma con una scrittura squarciante, Astremo ci consegna un romanzo pieno di luce
«C’eravamo io e mio padre in una polaroid scattata nell’estate del 1986». Inizia così il romanzo di Rossano Astremo, edito per Solferino e candidato al Premio Strega, e da questo tempo imperfetto come imperfetto è il rapporto tra il genitore e il figlio che racconta, il lettore entra senza rimedio in una storia da cui non riuscirà a separarsi, nemmeno a lettura ultimata.
È la storia di un bambino che si fa uomo e la sua crescita si modella attorno alla figura assente di un padre che lo spoglia di carezze, guida, complicità. Nel vuoto l’io narrante cerca riferimenti, significati, parole per mappare la sua geografia esistenziale. E ogni volta, annaspa, cade, si rimette in piedi. Se il paterno manca, è lo sguardo delle donne a mostrargli una strada: la madre che da bambino vuole farlo studiare, la signora dalla cui libreria prende da ragazzo il suo primo romanzo, la compagna che da grande lo chiama a un futuro di responsabilità come padre.
Crescere
Alla nascita ad accogliere il protagonista – senza nome e per questo con il nome di tutti, autore compreso – c'è il «volto subdolo dell’abbandono». E subito questo abbandono diventa smisurato. Si allarga da una casa a un territorio prendendo la forma della voragine dentro cui è cascata la generazione dei nati a sud tra i ‘70 e gli ’80, quelli cresciuti con il principio del fallimento dentro il corpo.
Ma Astremo, scrittore pugliese, trasforma la questione meridionale in condizione universale dell’esistenza. «Solo nella ricerca del fallimento si può essere davvero liberi» scrive Sheila Heti dall’altro capo dell’oceano: «Forse i falliti sono l’avanguardia dell’età moderna». Allora il memoir di Astremo da fatto privato diventa romanzo generazionale e in questa caduta costante che è vivere, il suo io narrante cerca la libertà d’essere nella parola. «Cerca parole che riempiano il silenzio del padre», dice Astremo a Domani: «È nei libri che trova il padre che ha cercato per tutta la vita».
In Nudo di padre le vicende narrate sono sovrapponibili alla biografia dell’autore, ma non siamo di fronte a un’opera solipsistica. Astremo fa sua la postura di Annie Ernaux che parte dal suo vissuto per proiettarsi nel mondo attraverso un linguaggio e «la trasmissione di un testo agli altri, che lo accettino o meno», scrive la Nobel. La scrittura nuda e corrosiva di Astremo rende questa trasmissione inaccettabile perché fa quello che la letteratura deve fare: creare problemi e farci sentire soli in comunione con gli altri lettori.
Cadere
In Nudo di padre il protagonista è attratto da un richiamo autodistruttivo verso la caduta come una forma di dipendenza per la sostanza stessa del vivere. Nudo di padre traccia un’anatomia del fallimento irresistibile dentro cui il lettore scivola con una comoda immedesimazione. Chi legge percepisce il precipizio, la rottura del sé, ma si sente avvolto nel guanto di una scrittura dal tono controllato, asciutto che mai esplode ma porta a un lento, incontrollabile smottamento.
Se Hemingway seguiva il principio dell’iceberg, rivelando al lettore solo parte della storia e lasciando intendere l’enorme massa ghiacciata del non detto, Astremo sembra invece usare il principio della voragine: scrive dal fondo in cui è precipitato, lì dove l’unico cielo è un pavimento duro, calpestato da chi ha avuto invece accesso alle possibilità. Da quel fondo senza luce Astremo scrive parole che sono la prova della sua sopravvivenza. Pietre da sfregare per accendere il fuoco della letteratura. Ceneri da conservare e buttare fertili sotto l’albero della conoscenza.
Immaginarsi
La scrittura di Astremo non produce immagini. Fa qualcosa di più, crea un immaginario. Quello della generazione del fallimento. Nudo di padre per la nostra letteratura è quello che nel cinema è diventato Tutta la vita davanti di Paolo Virzì: il racconto di una generazione dai sogni amari e dalle radici spezzate. A metà del romanzo si legge: «L’ultima cosa che ricordo di quella notte è una frase di Rumore bianco di Don DeLillo, che lessi a una ragazza conosciuta pochi minuti prima: “Ciò che riluttiamo a toccare, sembra spesso essere l’essenza di cui è intessuta la nostra salvezza”. Poi il buio». Da quel buio, con una scrittura squarciante, Astremo ci consegna un romanzo pieno di luce.
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