Una mostra fotografica, realizzata grazie agli scatti di Domenico Notarangelo, di suo figlio Antonio e di Geo Coretti, celebra gli anniversari del Vangelo secondo Matteo ( 1964 ) e della Passione di Cristo ( 2004 ). Entrambi girati nella città lucana, raccontano due modi molto diversi di rapportarsi con il cinema e la spiritualità
«Questa foto, da sola, ha fatto in un giorno più di quello che hanno fatto vent’anni di film commission, agenzie di promozione turistica e politiche di marketing territoriale».
Un esperto di comunicazione lucano decretava così il definitivo trionfo, su tutto e tutti, di quell’unico scatto. Era il 2019 e l’immagine ritraeva l’attore Daniel Craig, in posa sull’affaccio dei Sassi di Matera, dove si sarebbe girato No time to die, ennesimo capitolo della saga di 007. C’era del vero in quell’affermazione, almeno sul piano dei numeri, ma il centro attrattivo di quello scatto era, appunto, l’attore britannico, non Matera. Quella foto, con analoghi effetti mediatici, si sarebbe potuta scattare anche altrove.
Solo a Matera, invece, si sarebbero potute scattare certe altre foto, solo lì si sarebbero potute girare certe immagini. Lo sapeva bene Pier Paolo Pasolini, che dopo essere stato in Palestina per i sopralluoghi del suo Vangelo secondo Matteo, nel 1963, aveva spiegato al produttore Alfredo Bini di aver trovato lì «qualcosa di troppo moderno e industriale» per il racconto della vita di Gesù. Una modernità a cui sembravano estranei, invece, gli abitanti dei Sassi di Matera, che gli parvero più vicini ai sottoproletari del primo secolo che il regista voleva rappresentare.
Quel film, oltre che la storia del cinema religioso, avrebbe segnato la storia della città. Difficilmente, senza quel precedente, sarebbe arrivato proprio lì, quarant’anni dopo, l’attore e regista statunitense Mel Gibson per il suo The Passion of the Christ (La Passione di Cristo).
Domenico Mimì Notarangelo
Il 2024 ha segnato i sessant’anni dal Vangelo (1964) e i venti da The Passion (2004). Per celebrare il doppio anniversario è stata allestita, a palazzo Malvinni Malvezzi, la mostra fotografica La passione di Matera – Pasolini 1964 Gibson 2024, che raccoglie foto di scena e backstage dei due film, promossa dall’associazione culturale Pier Paolo Pasolini di Matera in collaborazione con laprovincia di Matera, l’arcidiocesi di Matera-Irsina e la Lucana film commission.
All’origine di tutto c’è la figura di Domenico Mimì Notarangelo (1930-2016), giornalista, fotografo e attivista politico, che dal 1960 è stato corrispondente dalla Basilicata per L’Unità. Nel 1964 si trovava nella sezione cittadina della Fgci (Federazione giovani comunisti italiani) quando si presentarono a lui Maurizio Lucidi, aiuto regista di Pasolini, e Manolo Bolognini, segretario generale di produzione del Vangelo.
Anomala la richiesta: chiedevano ai giovani comunisti del posto di organizzare una sorta di squadra di protezione per la troupe contro potenziali attacchi di squadre neofasciste, che già avevano disturbato il maestro in altre occasioni.
Passarono alcuni giorni e il regista fece giungere una nuova richiesta: bisognava trovare i volti per le parti di sacerdoti e farisei. Notarangelo chiese come dovessero essere quelle facce. «Facce stronze e fasciste» rispose Pasolini, e a Mimì venne la bella idea di andarli a pescare nella sezione del Partito comunista.
Qualche settimana dopo Lucidi e Bolognini si presentarono in sezione con una richiesta che questa volta lo riguardava direttamente: una parte sarebbe toccata anche a lui, quella del centurione. «Solo tre ore di impegno, non ti preoccupare».
Quelle tre ore divennero tre giorni di canicola, con quaranta gradi all’ombra, abiti pesanti di lana e l’elmo di latta sul capo. Sotto quella veste, però, Notarangelo poté nascondere le sue due “armi”, una Comet 3 e una Voiglander con cui avrebbe scattato, dopo aver chiesto il permesso, le foto che avrebbero fatto il giro del mondo (la sezione della mostra sul Vangelo, dopo essere stata a novembre all’Istituto italiano di cultura di Parigi, sarà a quello di Bruxelles dal 10 gennaio, fortemente voluta dai direttori Antonio Calbi e Pierre Di Toro).
Tra quegli scatti c’era anche l’immagine che Giuseppe Notarangelo, figlio di Mimì e presidente dell’associazione Pasolini, definisce oggi la foto più importante di Matera. «In quello scatto c’è tutto: la forza intellettuale di Pasolini che guarda i Sassi, la figura del Cristo che esprime tutta la severità che gli appartiene, e ci sono i Sassi di Matera che erano lì da millenni e che lì per altri millenni resteranno».
Quarant’anni dopo
Quando arrivò Mel Gibson, nel 2004, l’allora 74enne Notarangelo non volle andare sul set. Da buon vecchio comunista, percepiva la miliardaria produzione statunitense come una sorta di profanazione di quello che era stato il momento sacro e puro del Vangelo di Pasolini. Destino volle che però ci andasse suo figlio, Antonio “Tony” Notarangelo, al quale aveva trasferito la passione per la fotografia, assieme a un altro fotografo materano, Geo Coretti. Le foto scattate dai due costituiscono la seconda parte della mostra.
Anche quello di Gibson fu un set-evento. Furono giorni di intense esperienze spirituali per il cast e la troupe; il regista giungeva al film dopo anni di sincera tensione spirituale e si impegnò per creare un clima di ascesi che favorisse l’immedesimazione. Gibson portò assieme alla troupe una nutrita schiera di preti lefebvriani per la cura spirituale e ben due attori, folgorati dalla potenza di quei momenti scenici, raccontarono di essersi convertiti al cristianesimo in quei giorni: Luca Lionello nei panni di Giuda e Pietro Sarubbi in quelli di Barabba.
È un’atmosfera spirituale che si coglie solo in parte nelle immagini a colori di Coretti e Notarangelo, che invece sembrano comunicare, paradossalmente, una dimensione più leggera. Un iperattivo ma intenso Mel Gibson è intento nel dare indicazioni, in un continuo movimento che è l’opposto della poesia ieratica, elegantissima e impeccabile con cui Pasolini riflette e osserva il suo set del 1964.
Da quel set ci giungono bellissime istantanee in bianco e nero di pausa e scena, come quella che ritrae un’intensa Susanna Colussi (la madre del regista, che PPP volle come madre di Cristo) e un disincantato Enrique Irazoqui (il giovane sindacalista spagnolo antifranchista, che scelse per il ruolo di Gesù, perché di Cristo gli ricordava l’ingenua purezza di ideali) che accende distratto una sigaretta.
Ci sono anche i momenti distesi in cui Susanna è ritratta con Elsa Morante e Natalia Ginzburg (Pasolini trascinò sul set tanti suoi amici scrittori, tra cui Alfonso Gatto ed Enzo Siciliano). E ci sono gli abitanti dei Sassi, divenuti comparse di un film che «esalta la loro dignità popolare senza ridurli ad accessorio folkloristico», come spiega nel catalogo della mostra Roberto Chiesi, direttore del Centro studi pasoliniano della cineteca di Bologna.
Questa “dignità di popolo” si coglie anche in una delle foto più commoventi della mostra, quella, ripresa dall’alto, in cui Pasolini si sofferma con tenera delicatezza ad aggiustare il velo nero della madre, che in quegli istanti fu madre sua e di tutti. La mostra sarà visitabile a Matera fino al 18 gennaio 2025.
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