Haby è la protagonista de Gli indesiderabili, il nuovo film del regista francese Ladj Ly uscito nelle scorse settimane. Siamo in una banlieu parigina di enormi casermoni squallidi, popolazione quasi tutta nera di seconda o terza generazione, poco lavoro, pochi soldi, molta fatica, nuovi migranti.

Il sindaco (bianco, piccolo borghese, ambizioso) ha preso il posto del predecessore in seguito alla morte improvvisa di quest’ultimo e ora sta abbattendo sulla comunità provvedimenti folli di riqualificazione dall’alto e repressione, come evacuare d’improvviso un’immensa casa popolare la vigilia di Natale o il coprifuoco per i minorenni non accompagnati la sera dopo le 20.00.

In una scena bellissima è sera, il buio è già calato, un plotone di poliziotti è schierato col sindaco accanto. In mezzo alla strada cammina un quarto stato di ragazzini, per lo più minorenni. Quando un poliziotto chiede loro di disperdersi, Haby risponde che non stanno facendo niente di illegale: ci sono anche degli adulti, fra cui lei.

Non solo, questo non è un assembramento, è il suo primo comizio: ha depositato la propria candidatura quel giorno stesso. Haby ha poco più di vent’anni, si sente «una francese di oggi», lavora in un’associazione per il diritto alla casa, si oppone alle scelte inavvedute del comune di costruire appartamenti troppo piccoli dove servono alloggi per famiglie numerose, rifiuta di mollare la presa nonostante i ricatti (sua madre potrebbe essere sfrattata da un momento all’altro), si unisce alle proteste dei manifestanti, si vive e si gode la rabbia. Ma decide anche che non sta scritto da nessuna parte che rabbia e rassegnazione siano l’unica via. La prossima volta il sindaco, dice a una poliziotta capace di ascoltare, «sarò io».

Il dramma delle periferie

Gli indesiderabili racconta gli abusi e il razzismo della società francese, il dramma delle periferie, delle case popolari, dell’abitare. Ma è anche la storia di un’attivista, una giovane donna nera, francese di oggi, che prova a far da ponte fra attivismo e politica.

Il film di Ladj Ly arriva in un momento in cui in tutte le grandi città d’Europa il tema del costo delle case è diventato centrale. Poco più di un anno fa da Milano si diramava il movimento delle tende, portato avanti dagli studenti fuorisede che non riuscivano a permettersi una stanza.

Nel frattempo, anche grazie alla figura di Ilaria Salis, il tema dell’abitare è entrato al parlamento europeo e nel dibattito pubblico italiano.

Ilaria Salis

Non è certo un tema nato ieri, però ora accede significativamente al dibattito pubblico. Salis, come Haby, ha fatto attivismo per anni, dietro alle sue parole c’è la conoscenza di chi a lungo ha operato, ha vissuto, ci è stato. E il mondo che si porta dietro feconda il discorso e la visione di chi l’ha accolta: in un dibattito su La7 del 2 luglio, Elisabetta Piccolotti di Avs ha difeso in prima serata le occupazioni abitative, denunciando non solo la carenza di edilizia popolare in Italia, ma prima ancora il fatto che 100.000 appartamenti popolari in tutto il paese siano sfitti, e allora c’è chi quelle case le occupa. E a queste proteste, dice, Avs starà sempre accanto. Parole inimmaginabili fino a poche settimane fa in quel contesto. Non nuove: c’è chi le dice da anni e decenni, ma per la prima volta da tempo dicibili e dunque ascoltabili.

Alla sbarra

Come ha scritto Salis in un post su Instagram solo a Milano ci sono più di 12mila case sfitte, quasi il 20 per cento degli appartamenti disponibili nel comune più caro del paese. Nel 2023 erano circa 10.000 le famiglie in attesa di assegnazione. Attese estenuanti, infinite, che ipotecano per anni la vita di chi un affitto a prezzo di mercato non se lo può permettere. E sempre come scrive Salis, di queste dodicimila solo tremila sono occupate.

Eppure i militanti per il diritto alla casa sono sempre stati fortemente criminalizzati. A Milano da tre anni è in corso il “Processo Robin Hood”: sono state date pene fino a cinque anni e mezzo in primo grado per alcuni militanti del Comitato abitanti Giambellino.

Giambellino è una periferia di Milano dove giovani attivisti aiutavano famiglie e persone in difficoltà a occupare appartamenti vuoti da anni, che il comune o Aler non assegnavano a nessuno, non potendo o non volendo trovare i soldi per le ristrutturazioni minime.

Le famiglie entravano, facevano da sé i lavori necessari, mettevano un tetto sopra la testa a sé stessi e ai propri figli, intanto la comunità intorno organizzava il dopo scuola per i bambini o i pranzi comunitari la domenica e prometteva sostegno in caso di sgombero.

Per questo nove persone sono accusate di associazione a delinquere. Inutile dire che non girava un soldo: non è il racket ma l’alternativa al racket. Sotto i tappeti, dove le città nascondono i propri indesiderabili, esiste anche la solidarietà.

Di abitare, dicevamo, si è parlato un anno fa perché è diventato un problema anche per gli studenti fuorisede, per la classe media, quella che fa notizia. Ed è giusto e importante che faccia notizia.

Ma Salis, come Haby, alza il tappeto per mostrare che la questione dell’abitare per gli indesiderabili non ha mai smesso di esistere. Che le lotte per la casa ci sono sempre state, a volte sono state più forti, spesso poi la repressione le ha rese più deboli, come è accaduto a Giambellino.

Il fatto che quello dell’abitare (anche degli indesiderabili) sia diventato finalmente un discorso è una prima minuscola buona notizia. Prima si finiva a parlare solo di illegalità e associazione a delinquere. Chissà che ora si riesca anche a parlare di case.

Certo non basta: non si fermano, mentre ne parliamo, gli sfratti. Non vengono ristrutturate e assegnate quelle centomila case in tutta Italia. Oltre al discorso ci vuole, ci vorrà, molto lavoro.

Parlare ad alta voce

Lo potranno fare i movimenti e i partiti che l’hanno sempre fatto, ora non più in sordina. Poter dire ad alta voce in prima serata e senza passare per criminali che in certe condizioni occupare è giusto e che quello dell’abitare è uno dei temi più importanti in questo momento storico (insieme ad altre questioni concretissime: lavoro, caporalato, salute e dunque clima) è un primo passo importantissimo. È un discorso che prima non c’era e ora c’è. E ora che c’è può dissodare le idee e il pensiero delle persone e dei partiti.

La narrazione delle destre si basa sull’idea che se una minoranza (o una persona) ottiene un diritto (o una casa), lo sta togliendo a qualcun altro. Chissà che l’arrivo in Avs di Salis e di altri attivisti di movimenti come Fridays For Future (che come attivisti conoscono una politica che è prima di tutto lotte dal basso e solidarietà, e poi dopo parole e compromessi), non ricordi invece alla sinistra che la libertà di ognuno aumenta se aumenta quella degli altri – se aumentano gli alloggi, la salute, i salari, i diritti di tutti.

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