- Data di nascita è la prima uscita della collana I Pavoni, che Teresa Ciabatti dirige per Solferino: sono dieci racconti, di scrittori nati fra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta
- Occupano uno spazio che è più piccolo di una generazione, ma che ha un posto molto preciso nella storia: è il momento in cui l’umanità è passata dall’illusione alla malinconia
- Le dieci voci degli autori generano un’armonia perturbante: il risultato è un castello. Siete invitati a una festa in un castello, attraverserete dieci stanze, ognuna avrà un colore diverso
Le persone venute al mondo fra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta sono i neonati che l’umanità ha accolto distrattamente durante l’arco temporale che va dall’illusione alla malinconia. Occupano uno spazio preciso della Storia, più piccolo di una generazione, e le etichette non servirebbero in ogni caso. Basta evocare l’umore degli anni della loro nascita per avvertire un’agitazione sottile.
Ci troviamo così a osservare un’area definita del tempo, e quando osserviamo a lungo un oggetto quell’oggetto non è per forza un abisso che in cambio ci osserva. Esaminando quest’area del tempo proviamo il desiderio di spiare le stanze di una casa di bambole dalle sue minuscole finestre. Una profanazione. Data di nascita è un libro che permette questo esperimento di profanazione, in tutta la sua pericolosità. Dieci voci letterarie, esseri umani nati in quel tempo, scrivono dieci racconti, e il risultato è di un’armonia perturbante.
Una festa al castello
Il risultato è un castello. Siete invitati a una festa in un castello, attraverserete dieci stanze, ognuna avrà un colore diverso, conterrà un rischio che in ogni caso non sapreste valutare prima. L’unica possibilità è lasciarsi travolgere. Data di nascita è il primo volume della collana “I Pavoni”, che Teresa Ciabatti curerà per Solferino: libri scritti da autori nuovi, libri folli e maleducati, come promette lei stessa.
Ma cos’è, più profondamente, Data di nascita? Se il tempo è un problema esigente, la data di nascita è un punto all’interno di quel problema esigente, dunque è qualcosa di ancora più severo. Il punto non ha parti, non può essere suddiviso ulteriormente, è il capolinea. Sta lì, inclemente. Nasciamo in un istante, prima non siamo, dopo siamo. La nascita è un cambiamento di stato, una rivoluzione fulminea, e contiene persino la morte. Nominare la propria data di nascita è il contrario della rimozione.
Sentimenti e illusioni
Il libro inizia con il racconto dei fratelli D’Innocenzo, troviamo un bambino che immagazzina sentimenti. Torna a casa da scuola. «Solo il cane al centro del soggiorno, simmetrico a un’emozione. Era gemello al cane. Nove anni entrambi». Il cane diverrà fermo e grigio nella morte. Il gesto indicibile del bambino verrà mostrato nella sua pienezza, ma solo a noi, perché resterà privato, un non detto, e il padre farà da specchio al non detto, pur avendo capito quasi tutto. È normale che un figlio abbia paura del proprio padre? Sì, se il padre ha paura del figlio.
Fumettibrutti racconta la storia della ragazza di un night club, che insieme alle colleghe-sorelle restituisce quello che le è stato dato quando è nata: illusioni. “Quando finisco con un cliente lo mollo in mezzo alla sala con la stessa brutalità di una cattiva madre che sgrava sull’asfalto”. Siamo dentro la città che uccide l’arte. Ci ritroviamo in compagnia degli spettri nell’androne di un condominio: feriscono, chiedono spiegazioni. La ragazza torna a casa, il padre malato la accoglie con una frase oscura, da misteri del tempo: «L’amore che nasce è per sempre, anche quando non c’è più».
Nel racconto di Giulia Caminito il punto iniziale non sono i soldi, ma la concretezza. Marilù deve comprare una bara, ma una bara non è il regno delle possibilità. Seguiamo l’acquisto e scopriamo di trovarci nel futuro, è il 2045, le cose sono diverse, ma vicine, e il passato è sporco e ordinato come una vetrinetta. Restare vedova, trovarti sola a insultare l’azalea. Decidere, infine, di adottare: nel mondo futuro le persone sole possono adottare una famiglia povera. Marilù adotta una coppia. L’elegantissima vedova si ritroverà a vivere con due sposi sgraziati, uno dei quali sta trasformandosi in un animale.
Disordine e ipocrisia
Ilaria Caffio apre così il suo racconto: «Io amo mio fratello». La profondità, la distanza, l’impotenza, l’affanno. Cosa devo fare per essere alla tua altezza, una sorella valida? Due anime giovani che giocano, nuotano, rischiano. Poi la disgrazia improvvisa e «l’assoluto disordine del dolore». Neppure quando vedi il corpo senza vita della persona che adoravi capisci davvero cos’è successo. Ti senti distante, dispari, ineguale. Il rumore della spatola che sigilla la tomba rimarrà nella tua memoria. La voce di chi non c’è più scomparirà, invece. Sappiate che l’assenza provoca «un senso di svenimento ininterrotto».
Pietro Castellitto scrive la drammatica prefazione a un libro immaginario. Anche qui siamo nel futuro, il 2081, l’autore ha novant’anni. «Nessuna generazione quanto la mia fu così priva – così tanto priva – di dignità». Tratteggia la storia del secolo: pandemia, terza guerra mondiale, massacri. La voce è affilata, descrive la generazione che un tempo aveva quella purezza dissimulatrice. «Noi volevamo salvare tutto: i pinguini, i mari, i fiumi, gli insetti, i microbi, i panda, la sabbia, la neve, le foglie, la Terra intera». Ipocrisia. «Se solo ci fosse stata un pizzico meno di ipocrisia e un pizzico più di talento».
Nel racconto di Tommaso Giagni un tredicenne si sente «un saggio in un corpo che tarda a crescere». I coetanei lo tormentano, lui si rifugia dentro piccoli riti. Non devi mostrare l’ansia, altrimenti i tuoi carnefici se ne accorgono. E allora ogni gesto diventa misurato, ogni parola è pesata, persino le domande intelligenti all’insegnante sono tarate per non sembrare troppo sapienti. Vorremmo correre dal ragazzino per dirgli che l’estraneità è la condizione del poeta, vorremmo salvarlo. Nell’arco di una stagione intensa si verifica però un prodigio, uno di quei misteri: quando il tempo gioca con il corpo.
Ginevra Lamberti racconta «la natura della natura» per risalire alle virtù magiche della realtà. C’è un merlo caduto dal nido, un piccolo, la voce narrante lo accudisce, «per farlo andare avanti ucciderei qualsiasi cosa». Il merlo insegna che «bisogna mangiare poco e spesso, bere il giusto, lavarsi, togliersi i pidocchi di dosso, volare improvvisi verso l’alto (…)». Però poi non sopravvive, sprofondiamo dentro la sua morte minuscola. Ma per poco: la fine è solo un inizio, se vuoi, e l’animale non impone una via. Nella sua presenza come nella sua assenza l’animale «incarna ogni opportunità, e tu puoi scegliere quella che vuoi».
Rabbia e solitudine
Mattia Insolia scrive di un dodicenne in una domenica qualsiasi. La messa, il ritorno a casa in auto, il silenzio, il padre che fuma, la madre in una nebbia di psicofarmaci, il fratello che decide improvvisamente di sfidare l’ordine. La rabbia esplode nell’abitacolo, pugni e ceffoni, «un macello dei nostri». L’incidente stradale ribalta la prospettiva. In poche ore il ragazzino scopre i segreti degli adulti. Un cadavere, un incendio, scappare fra gli ulivi, la passione dei corpi. «La mia famiglia era composta da estranei, e io lo scoprivo solo adesso». Cosa fare quando per la prima volta vediamo il mondo?
Nel racconto di Elisa Casseri una scrittrice non accetta che qualcuno le pulisca la casa. La donna delle pulizie è un’idea borghese, se cedi rinneghi le tue origini contadine. Vive con la sorella, non sono sposate, e questo non ci riguarderebbe, se non fosse che esiste un baule custodito in una località remota. Il baule contiene la dote che la madre mise da parte per i loro matrimoni. «Che ne sapeva che avrebbe avuto una figlia di quarant’anni con il caschetto grigio che non si vuole riprodurre né accasare e una figlia scrittrice». La località remota è la casa dei nonni scavata nella collina. Bisognerà compiere un rito.
L’ultimo racconto è di Jonathan Bazzi. «Quando sono triste o arrabbiato io so diventare sirena, fata, donna serpente, altre cose ancora». A parlare è un ragazzino, ha scoperto una magia semplice, basta stringere le dita intorno al collo, premere, provocare quel tanto di asfissia. È così che si cancella il dolore procurato dalla violenza di chi dovrebbe proteggerti. «Vivo le avventure più belle, assumo la forma di tutte le cose che amo». Il ragazzino ci racconta non solo il male subito, ma anche quello inflitto. Gli piace colpire i compagni più fragili, vorrebbe fracassare teste. Fino al giorno in cui la violenza diventa un desiderio negato. Dopo aver finito di leggere mi sono alzata e ho aperto la finestra.
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