Domani si sta occupando di deepfake, i messaggi audio/video gestiti da un’intelligenza artificiale capace di ricostruire digitalmente l’aspetto e la voce di persone alle quali si riesce a far dire quello che si vuole, grazie alla sincronizzazione del labiale e alla riproduzione di un audio istruito attraverso l’analisi computerizzata dell’aspetto e della voce di chi si vuole imitare.

Bene o male che siano fatti, i deepfake possono essere messi al servizio della propaganda bellica o elettorale, come di tante altre cose. Se la tecnologia alla base di questi prodotti è indubbiamente assai recente, lo stesso non si può dire dell’idea che li origina.

Il libro

La storia, infatti, è ricca di falsi creati ad arte per convincere qualcuno (o molti) di qualcosa. Un esempio di successo è quello dei Monita privata Societatis Iesu (Precetti privati della Compagnia di Gesù, subito dopo la prima edizione noti come Monita secreta, Precetti segreti), un libretto pubblicato anonimo in lingua latina nel 1614 in Polonia, ma presto diffuso in tutta Europa, con eco risuonate fino agli Stati Uniti di più di due secoli dopo.

L’opuscolo è breve, sedici sintetici capitoletti che possono essere condensati in meno di cinquanta pagine a stampa. Il suo messaggio, però, era per l’epoca tanto sconvolgente quanto interessante. L’autore sosteneva di aver rinvenuto per puro caso queste istruzioni, diffuse all’interno dell’ordine degli ambienti gesuitici e destinate a rimanere segretissime.

I precetti invitavano membri scelti della Compagnia di Gesù a estendere il proprio potere economico e politico attraverso un lento ma sistematico inserimento nei gangli della società, a ogni livello.

Tale potere si conquistava soprattutto grazie al lavoro dei confessori; quelli gesuiti all’epoca erano molto presenti negli ambienti più alti della società moderna e anche nelle corti, prime fra tutte e con sviluppi diversi quelle polacca, austriaca e francese.

Non c’erano però solo le corti. In molti e in diverse parti d’Europa accusavano il costume dei confessori gesuiti di intrecciare rapporti particolarmente stretti con vedove facoltose e più in generale con donne (secondo la cultura dell’epoca più facilmente raggirabili degli uomini) dalle grandi disponibilità patrimoniali. Uno dei metodi più utilizzati per riuscire ad assicurare alla Compagnia di Gesù benefici in vita e lasciti ereditari, sostenevano questi molti, era quello di convincere i parenti più stretti delle donne in questione a scegliere la vita religiosa, meglio naturalmente se tra i gesuiti.

È innegabile che la storia racconta come i benefici ottenuti dalla Compagnia di Gesù soprattutto tra XVII e XVIII secolo grazie soprattutto ai testamenti furono enormi. Pensare che tali vantaggi fossero talvolta acquisti in maniera poco limpida rendeva verosimili gli attacchi polemici tipici della letteratura antigesuitica. Rendeva in sostanza credibili, per quanto esagerate, le pagine dei Monita Secreta, che naturalmente non mancarono di calcare anche su questo tasto.

L’autore

Infuriata per la circolazione del libello, la gerarchia romana (pontificia e gesuitica) si mise subito alla ricerca dell’autore e lo identificò (identificazione a tutt’oggi difficilmente criticabile, va scritto) in Hieronim Zahorowski (1582-1634), un calvinista polacco convertitosi al cristianesimo con ogni probabilità dopo aver frequentato un collegio gesuita in gioventù.

La sua conversione era stata così convinta che Zahorowski era entrato nella Compagnia di Gesù, dalle quale però era uscito (su caldo invito) perché considerato dai superiori suoi responsabili inadatto a completare il lungo e faticoso percorso di formazione e di studio che portava al massimo livello di appartenenza all’ordine (professo di quattro voti). Per vendicarsi, Zahorowski aveva voluto mettere alla berlina chi non lo aveva accettato tra i propri ranghi.

Lo aveva fatto con una perfidia di successo, come dimostra il capitolo nel quale i Monita intimavano ai pochi lettori ammessi al testo di tenerlo per lo più segreto, comunicandolo esclusivamente ai padri più degni di fiducia. Se le istruzioni fossero cadute in mani sbagliate – che mai debba succedere!... si scriveva – bisognava negare tutto, sostenere che nessun gesuita ne aveva mai sentito parlare, che le istruzioni in vigore nell’ordine religioso erano tutt’altra cosa e che quanto scritto nel libretto andava condannato prima di tutto dagli stessi suoi membri.

Il successo

La fortuna editoriale dei Monita è spiegata dal fatto che, per quanto a occhi esperti potessero sembrare effettivamente quello che erano, un falso, erano né più né meno di quanto un gran numero di lettori voleva effettivamente leggere. L’opinione che i gesuiti avessero molto da nascondere era diffusa sia tra i protestanti, sia tra i cattolici: gli stereotipi costruiti ad arte alimentavano così anche il fuoco presunto amico.

A dare forza a questa opinione vi era anche la decisione dei vertici della Compagnia di Gesù di mantenere la circolazione delle proprie regole strettamente riservata. Un intellettuale di altissimo rango come il frate servita veneziano Paolo Sarpi (1552-1623) manifestò di frequente nella propria corrispondenza l’ossessione per questa riservatezza.

Era convinto che l’organizzazione dell’ordine fondato da Ignazio di Loyola si basasse proprio sui segreti. E come Sarpi la pensavano in molti: Zahorowski fu abile nell’offrire loro il cibo che andavano cercando.

Anche grazie alla citata trovata del “negare tutto, negare tutti” i Monita continuarono a essere ritenuti veri e affidabili a secoli e oceani di distanza. Nel solo 1600 ebbero in Europa diciotto edizioni: oltre a quella originale polacca ve ne furono altre in Francia, Italia, Inghilterra, Olanda. Talvolta il libello veniva pubblicato arricchito da altro materiale anti gesuitico, che certo non mancava.

Ma i sostenitori dell’opera riuscirono a fare di più. Nel Nuovo Messico della seconda metà del 1800, il periodico The New Mexican propose ai propri lettori la pubblicazione (un capitolo a settimana) proprio dei Monita Secreta. Successe al culmine di un largo conflitto editoriale con la rivista dei gesuiti locali, La Revista Católica, fondata da religiosi napoletani cacciati dall’Italia nel 1875.

Infastiditi dalla presenza ingombrante dei missionari gesuiti, diversi periodici anticattolici o laici alimentarono una campagna di stampa per difendere le classiche tesi dell’anti gesuitismo, secondo le quali la Compagnia di Gesù ospitava al suo interno “fautori di regicidio, avvelenatori di papi, sobillatori di popoli, nemici dell’ordine”. In questa campagna trovò posto anche la riproposizione di un falso polacco datato più di due secoli e mezzo, un falso che però continuava ad avere le potenzialità per attrarre sempre nuovi lettori.

Insomma, la storia ci racconta che dove c’è un pubblico pronto a leggere o ascoltare un deepfake – sia fatto bene o male – è comune ci sia chi quel deepfake è prontissimo a costruirlo. Dobbiamo continuare a tenere desta l’attenzione, come i gesuiti del Seicento.

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