- In La democrazia dei signori (Laterza 2022) Canfora vede nella presidenza del Consiglio affidata a Mario Draghi il complotto dei poteri forti, dimenticando interessatamente che più volte già in passato il premier è stato scelto al di fuori delle assemblee parlamentari e che non si tratta affatto di una procedura anticostituzionale.
- I paralleli storici imbastiti da Canfora sono altrettanto spericolati, dato che giunge a paragonare l’incarico a Draghi a quello conferito a Benito Mussolini dopo la marcia su Roma e a sostenere che le forze che lo appoggiano sono le stesse che portarono il fascismo al potere.
- Non solo Canfora riecheggia tutta una serie di posizioni tradizionalmente appannaggio delle destre, dal “colpo di Stato” contro Berlusconi nel 2011 alle accuse all’Unione europea, ma attacca Marta Cartabia e le giornaliste con argomenti degni del più rancido maschilismo.
Parlare male della malandata democrazia oggi è un po’ come sparare sulla Croce Rossa, perché sappiamo tutti quanti problemi affliggano i sistemi democratici dell’occidente (crescente disaffezione dell’elettorato dal voto; crisi di rappresentanza dei partiti, indebolimento del parlamento, e potremmo continuare per un pezzo). Del resto le democrazie sono sempre un po’ in crisi, dato che è solo nelle dittature che i problemi non ci sono perché vengono sistematicamente occultati (vedi le mirabolanti dichiarazioni di Recep Tayyip Erdogan sulla crisi monetaria turca).
Quando ad attaccare la forma democratica di governo è un intellettuale del calibro di Luciano Canfora (nel recentissimo La democrazia dei signori, Laterza 2022), allora, uno si aspetterebbe una profondità di analisi che vada oltre i difetti che sono sotto gli occhi di tutti. Ma se guardiamo alla qualità degli argomenti messi in campo dall’illustre grecista, c’è da trasecolare.
Una vecchia e tutt’altro che sciocca regola retorico-giornalistica consiglia di cominciare dagli argomenti più forti. E invece il nostro, che pure di retorica dovrebbe intendersi, esordisce con una questione non solo secondaria, ma storicamente e giuridicamente infondata. Pensate: il primo capo d’accusa che viene elevato contro la nostra malconcia democrazia sarebbe il fatto che il presidente del Consiglio, nei casi di Mario Monti e di Mario Draghi, non è stato scelto tra un parlamentare (oppure, come nel caso di Monti, ciò è avvenuto dopo che l’interessato era stato fatto senatore a vita proprio allo scopo di preparare la sua nomina a primo ministro). Ora, è difficile accumulare più castronerie in una sola frase.
Intanto, non si tratta affatto di un evento inusitato nella nostra storia repubblicana: ricordiamo che Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini non erano parlamentari quando ricevettero l’incarico e divennero premier; inoltre nessuna norma nella nostra Costituzione prescrive che il presidente del Consiglio (come del resto il presidente della Repubblica: vedi cosa accadde con Luigi Einaudi) debba essere parlamentare al momento della nomina.
Democrazia anomala
Bontà sua, Canfora ci ricorda che luminosi esempi di democratici intenti a dar lustro a sistemi altrettanto democratici, come Vladimir Putin, Erdogan e Jair Bolsonaro, sono invece stati eletti. Ma quale sia la sua idea di democrazia si fa palese nel passaggio successivo, quando apprendiamo che nella Russia sovietica i capi venivano scelti (testuale) attraverso una severa selezione nell’ambito di un corpo sociale decisivo.
È infatti risaputo che è stata attraverso tale severa, proficua e illuminata selezione che è assurto al potere Stalin, e che il clima da società segreta che circondava la nomina di illuminati democratici come Leonid Brežnev e Konstantin Ustinovič Černenko era un abbaglio dovuto alle nostre menti distorte dal capitalismo.
Quando Canfora sostiene che l’incarico a presidenti del Consiglio che non provengono dai ranghi della Camera o del Senato è uno dei fattori del crescente discredito del parlamento scambia evidentemente l’effetto con la causa. L’impotenza dei partiti e delle assemblee provoca il ricorso a figure autorevoli di provenienza extraparlamentare, cioè che hanno acquisito prestigio e notorietà in ambiti diversi: Banca d’Italia o istituzioni europee.
L’ambiguità di Canfora è massima quando denuncia come anomalia tutta italiana il fatto che possa diventare premier un uomo calato dall’alto anziché “eletto”. Canfora celebra la Costituzione ma al momento giusto dimentica che proprio la Costituzione non contempla nessuna “elezione” del presidente del Consiglio, ma un incarico da parte del capo dello stato e una successiva ratifica parlamentare.
Argomenti sovranisti
Dallo status di parlamentare eletto si scivola, neanche troppo sotterraneamente, alla elezione diretta del premier, secondo un argomento caro ai seguaci di Fratelli d’Italia. Non è l’unico caso in cui il vetero-comunista Canfora fa propri gli slogan che sono appannaggio tradizionale della destra sovranista.
Quando nel pamphlet di Canfora leggiamo che la caduta del governo Berlusconi nel 2011 fu «un colpo di Stato», che la decisione di non andare a votare nell’autunno del 2021 l’ennesimo inganno per non dare la parola al popolo, che l’Unione europea ci ha stretto nella «gabbia d’acciaio del fascismo bianco» bisogna fare uno sforzo per ricordarsi che sta parlando il professor Canfora, non un esponente di Forza Italia, della Lega o un seguace di Giorgia Meloni.
Il dileggio e il disprezzo per l’Europa del resto sono una costante non solo della nostra destra, ma anche del pensiero di Canfora. Rubando le parole a Klemens von Metternich l’Europa viene definita «una espressione geografica». Gli stati che ne fanno parte sono «i soci della Ue», intenti a vessare ieri la Grecia domani magari l’Italia (anzi no: in una specie di allucinazione fantapolitica, Canfora è convinto che tramontata la stella della Germania con Angela Merkel e della Francia di Macron ora l’Unione europea avrà nell’Italia la sua punta di diamante).
I paralleli storici che infiorano le pagine di La democrazia dei signori non sono meno spericolati. L’incarico assegnato a Draghi viene paragonato a quello conferito da Vittorio Emanuele III a Benito Mussolini nel novembre del 1922, anche se non ci risulta che Draghi abbia marciato su Roma e facciamo una certa fatica a individuare nel suo entourage gli omologhi di Italo Balbo, Michele Bianchi, Emilio De Bono e di vedere in Daniele Franco la reincarnazione di Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon.
Ma Canfora deve avere le sue ragioni, dato che è convinto che «le forze che sostennero il fascismo sono tornate a dominare e a guidare», un fenomeno invero più unico che raro nella storia, dato che ad agire oggi sarebbero le stesse forze che agirono cent’anni fa: agrari emiliani, ex-combattenti non sappiamo di quale guerra, seguaci di Gabriele D’Annunzio scontenti per la fine dell’avventura fiumana.
Forse perché si è lasciato troppo influenzare dalle invettive di Karl Marx sul «cretinismo parlamentare», Canfora è incline a ridurre la realtà dei regimi democratici alla sola dimensione elettorale e parlamentare, come se tutto ciò che fa parte integrante delle democrazie, una magistratura indipendente, il controllo esercitato dall’opinione pubblica, il ruolo di una stampa libera (tutte componenti, guada caso, che le democrazie autoritarie di Russia e Turchia imbavagliano pur mantenendo formalmente elezioni e parlamenti) fosse quantité négligeable.
Del resto più ancora di Draghi Canfora mostra di detestare i giornalisti, e rimpiangendo probabilmente le veline di qualche “politburo” li dipinge tutti come un esercito di pennivendoli pronti a osannare il potente di turno e li vede ridotti ad un puro “coro salmodiante".
La nostalgia per i gialloverdi
In tutto il libro di Canfora spira una certa aria di nostalgia per il governo gialloverde, a cominciare dalla difesa di ufficio del “popolo” e del populismo. Il timido tentativo della Guardasigilli di ripristinare una qualche ragionevole durata del processo penale dopo che la riforma Bonafede aveva semi abolito la civile garanzia della prescrizione viene definito «un colpo di mano» sul quale la stampa avrebbe tanto per cambiare ancora una volta taciuto; la sciagurata controriforma delle pensioni voluta da Matteo Salvini con quota cento viene esaltata come difesa dello stato sociale, anziché valutata per quello che è stata, cioè l’ennesima legnata sul capo delle giovani generazioni che pagheranno le pensioni di legioni di anziani senza magari vedere mai la propria.
La qualità della polemica di Canfora stinge inevitabilmente sullo stile dei suoi attacchi personali, che fanno rimpiangere la moderazione dei corsivi di Fortebraccio. Daniele Franco è un «impiegato» di Draghi. Una giornalista parlamentare viene elegantemente definita «attempata signorina», con malcelato sessismo, dall’attempatissimo signorino Canfora.
La ministra della giustizia Marta Cartabia è indicata come «Antigone Cartabia». Il che non sarebbe un insulto, dato che Antigone è una delle figure più luminose della letteratura greca, ma in mano all’antichista professor Canfora evidentemente è studiato per esporre al dileggio chi, pur non insegnando letteratura greca, ha scritto un notevole saggio sul significato politico della tragedia sofoclea. Altro che gravitas, qui siamo al greve, e ci viene da dubitare di quello che ci dicevano i nostri professori di liceo, quando ci spiegavano che le lettere (classiche) ingentiliscono l’animo.
La democrazia dei signori di Luciano Canfora, edito da Laterza, è stato pubblicato a gennaio 2022.
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