Non c’è niente di più tossico delle aspettative irrealizzabili, come dimostra la mia lista di preferiti su Idealista. Il concetto di realismo magico prende tutto un altro significato nella mia esperienza esistenziale, un connubio perfetto di pensiero magico, appunto, e necessario senso pratico
Anche quest’anno non sono diventata ricca. Ci ho comunque provato nel modo più da povera che esista: lavorando più del dovuto. Mi sono destreggiata tra consegne sovrapposte e prestazioni occasionali, ho detto di no a weekend fuori porta e settimane bianche, ho messo la sveglia presto nei weekend sentendomi Gordon Gekko, sempre cercando di applicare la tecnica della visualizzazione attraverso l’ossessivo passaggio in rassegna di annunci immobiliari da milioni di euro che neanche facendo questa vita per centoquarant’anni potrei permettermi.
Ad alimentare l’illusione è arrivato il regalo di Natale più pertinente che potessi aspettarmi – insieme al Monopoly in edizione Mega Milano che invece nessuno ha avuto la prontezza di mettermi sotto l’albero – vale a dire Nelle case. Milan interiors 1928-1978, un magnifico volumone curato da Enrico Morteo e Orsina Simona Perini per Hoepli che ora occuperà un buon quindici percento dei metri quadrati a disposizione nel mio bilocale in affitto in Area C (il concetto del coffee table book è che non dovrebbe ricoprire l’intera superficie del tavolino su cui viene collocato, ma tant’è).
Nelle case è la mia versione del porno: una raccolta di interni milanesi d’artista, dagli attici nella Torre Velasca a casa Sottsass-Pivano e altri appartamenti degni di nota che in cuor mio sento di meritarmi. È una deformazione che ormai mi affligge da tempo: visito palazzi imperiali nelle capitali europee e davanti a caminetti più alti di me e sale da ballo grandi come campi da calcio penso “ecco, qui ci vivrei”, mentre mentalmente ho già deciso dove mettere il pianoforte a coda che non so suonare.
Dopo aver sfogliato Nelle case con le lacrime agli occhi, il 25 sono andata a digerire il panettone al cinema, dove ho potuto estendere il mio consumo di pornografia immobiliare oltre i confini di Milano grazie a Woody Allen e al suo Colpo di fortuna, in cui persino il povero scrittore bohémien vive in una mansarda parigina per cui sarei disposta a dare via alcuni membri della mia famiglia.
La protagonista si annoia nella casa di campagna fuori Parigi, che è comunque meglio che annoiarsi in un appartamento a Bologna in zona Cirenaica come stavo facendo io prima di andare al cinema.
Le faide di Natale
Niente come il Natale amplifica i sentimenti – antiche faide tra cognate, consuocere in competizione, il nonno che rimpiange Berlusconi, coppie che avrebbero dovuto divorziare molti anni fa costrette a condividere gli spazi per la durata di un pasto che sembra non finire mai – vieppiù quelli di rosicamento e frustrazione economica.
Il budget per i regali, le vacanze sulla neve che non facciamo, gli alberi modesti dei nostri parenti ci ricordano che sì, c’è sempre chi sta molto peggio di noi, ma c’è anche chi sta molto meglio. È la grande lezione di Una poltrona per due, film ora classificato come impresentabile per la sensibilità contemporanea, ma non per questo meno vero: da ricchi il Natale è più bello. Almeno esteticamente, come ci ricorda Kim Kardashian con la sua foresta di conifere innevate opportunamente piantate per le feste dentro e fuori la sua villa di Los Angeles.
E se il Natale è l’amplificatore, il Capodanno è il conto alla rovescia che ci costringe a prendere atto di tutti i buoni propositi inevasi nei dodici mesi precedenti, una lente di ingrandimento puntata sui nostri fallimenti. Non siamo dimagriti, non siamo diventati più buoni, non abbiamo comprato un attico nella Torre Velasca. Il mio correlativo oggettivo di questo anno di sacrifici e rotture di palle varie è una borsa di lusso che mi sono autoregalata, comunque comprata a una svendita, perché gli attici no, ma nemmeno le borsette a prezzo di listino.
Tempo di bilanci
È momento di bilanci, economici ed emotivi, e ogni anno l’asticella si abbassa per entrambe le voci. Non ci aspettiamo più niente dall’anno che verrà, l’unica cosa che abbiamo imparato è che può sempre andare peggio. Le feste del 31 dicembre non ci riguardano più, non ci aspettiamo nessuna svolta ormai, nessun segno del destino.
Con i trent’anni ci accontentiamo di non perdere troppi capelli, di non ricevere brutte notizie, di svegliarci il primo di gennaio senza mal di testa. I buoni propositi cominciano a prendere la forma noiosa e pragmatica di un fondo pensione.
E forse è meglio così, non c’è niente di più tossico delle aspettative irrealizzabili, come dimostra la mia lista di preferiti su Idealista, che mi avvelena quotidianamente l’umore. Il concetto di realismo magico prende tutto un altro significato nella mia esperienza esistenziale, un connubio perfetto di pensiero magico, appunto, e necessario senso pratico.
Anche di questo si può fare un bilancio: l’obiettivo si può considerare raggiunto quando questi due elementi restano in equilibrio perfetto, mentre nella testa elenchiamo le cose di cui siamo grati, al suono di un mantra ipocrita: amo la mia vita, amo la mia vita, amo la mia vita.
La massima aspirazione a questo punto è quella di poter prevedere a grandi linee i momenti salienti dei prossimi 365 giorni – matrimoni, nuovi bambini, nuove start-up destinate a chiudere entro l’anno – sperando in una generale assenza di grosse sventure e in una piccola dose di belle sorprese, ma senza scomodare nessuno.
Non chiediamo molto all’universo e non chiediamo molto nemmeno a noi stessi, vogliamo solo essere lasciati in pace. Così solleviamo i calici all’anno nuovo ed esprimiamo desideri minuscoli, e forse questa piccola gioia è tutto ciò che ci meritiamo.
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