Al tempio per diventare un samurai del racconto mi presentai davanti al mio primo maestro, il quale era alle prese con una pagina bianca da circa trentasette giorni, e si nutriva solo con acqua e bacche rosse, perché mangiare altro, spiegava, lo avrebbe distolto dal raccoglimento necessario per completare al meglio il suo lavoro.

«Sono alla diciannovesima stesura», mi disse, rompendo il silenzio in cui era immerso il tempio.

Me ne stupii e risposi: «Il suo foglio è rimasto bianco. Com’è quindi possibile che lei sia giunto alla diciannovesima versione del suo racconto?».

Il maestro chiamò il suo aiutante Kuniaki e mi fece battere ripetutamente le gambe con una canna di bambù, finché le mie cosce non sanguinarono.

«Un samurai del racconto deve imparare a correggere prima ancora di scrivere una sola lettera sulla pagina», concluse. «Solo un principiante corregge soltanto dopo avere scritto».

Fogli e foglie

Al tempio per diventare un samurai del racconto arrivarono i monsoni e il mio secondo maestro mi portò nel viale alberato e mi ordinò di spazzare tutte le foglie.

«Ma è un’impresa impossibile pulire il viale», protestai. «Le foglie vecchie vengono sostituite da nuove foglie, sospinte dai venti».

Il mio secondo maestro chiamò il suo aiutante Kuniaki e mi fece percuotere con una bacchetta di bambù finché le mie cosce non sanguinarono.

«Il viale è la pagina, le foglie sospinte dal vento incessante sono le tue parole», disse infine. «Allenati a tenere la pagina bianca, proteggila dal tuo ego».

Al tempio per diventare un samurai del racconto Kuniaki, l’aiutante del mio terzo maestro, predispose un camminamento di ortiche e uno di petali di fiori di ciliegio. Quando ebbi finito di camminare andai dal terzo maestro il quale mi domandò che impressioni avevo avuto.

«Camminare sulle ortiche è stato un supplizio, camminare sui petali di ciliegio un piacere», risposi.

Il terzo maestro annuì, poi aggiunse: « Ricorda, per scrivere un racconto è indispensabile provare tutt’e due le sensazioni contemporaneamente».

Nel refettorio del tempio per diventare un samurai del racconto si scherzava col mio quarto maestro sugli allievi prestigiosi, da Maupassant a Carver, che erano passati di lì. Di recente un italiano, tal Ricci, aveva dato di matto perché non accettava le percosse di Kuniaki ed era stato espulso. 

Poi arrivarono le ciotole col riso e il mio quarto maestro improvvisamente si fece serio.

«Hai molta fame?», mi chiese.

Gli dissi di sì e allora mi dette la ciotola con più riso, senza dimenticare di aggiungere: «Ricorda, l’ispirazione non è come la fame. Tanta ispirazione non vuol dire per forza tante pagine, l’ispirazione riguarda la qualità».

Sorsi e cascate

Al tempio per diventare un samurai del racconto il mio quinto maestro mi portò a passeggiare lungo l’argine del fiume. Egli era concentrato ed esigeva da me la stessa concentrazione.

«Il fiume scorre lento, in orizzontale», osservava. «Funziona come un romanzo».

Poi l’acqua cominciò ad agitarsi e ci trovammo in prossimità di una cascata. Gli occhi del mio quinto maestro si illuminarono.

«Questa cascata cos’è?» mi domandò.

«Come cos’è? È una brusca interruzione dell’alveo del fiume».

Il mio quinto maestro non fu soddisfatto della risposta e mi fece percuotere le gambe dalla canna di bambù di Kuniaki, il suo aiutante.

«La cascata muove l’acqua velocemente e inclina il piano in verticale», concluse. «La cascata è un racconto».

Al tempio per diventare un samurai del racconto, il mio sesto maestro mi condusse nel boschetto incantato e mi fece sedere a gambe incrociate sull’erba.

«Che cosa vedi davanti a te?», mi domandò. 

«In primo piano vedo una foglia, poi c’è una fontana, e dopo la fontana un gruppo di alberi».

«E quale tra questi oggetti sceglieresti per la tua scrittura?».

Ci pensai un po’ e alla fine risposi: «La fontana, scriverò della fontana. Mi piace come oggetto».

Il sesto maestro chiamò il suo aiutante Kuniaki e mi fece percuotere le gambe lungamente.

Dopodiché disse: «Se racconti degli alberi dovrai raccontare anche della foglia e della fontana. Guarda lontano senza paura, e il tuo sguardo includerà anche le cose vicine».

Al tempio per diventare un samurai del racconto, il mio settimo maestro mi condusse nella sala del tè. Ci sistemammo in silenzio e sorbimmo il tè lentamente e con gusto.

«Se il tè fosse un racconto le sorsate cosa sarebbero?», mi chiese a un certo punto il mio settimo maestro.

«Non saprei», ammisi. «Le pagine sfogliate?».

Il mio settimo maestro fece un cenno e nella sala piombò Kuniaki, il suo aiutante, che mi batté lungamente con la sua canna.

«Ogni sorsata è una nuova lettura dello stesso racconto», disse infine il mio settimo maestro. «Ricorda, un racconto non è fatto per essere letto, bensì per essere riletto».

Al tempio per diventare un samurai del racconto il mio ottavo maestro mi mostro un ikebana.

«Usa la fantasia e dimmi cosa vedi», ordinò.

«Un drago con una coda lunghissima».

«Bene, adesso usa l’immaginazione».

Gli risposi che l’avevo appena fatto e allora arrivò Kuniaki, l’aiutante del mio ottavo maestro, che mi vergò braccia e gambe.

«Fantasia e immaginazione non sono sinonimi», precisò il mio ottavo maestro. «L’immaginazione è uno sviluppo della fantasia in termini narrativi. È evidente che attaccata alla lunghissima coda del drago c’è una principessa».

Al tempio per diventare un samurai del racconto il mio nono maestro finalmente mi dette della carta per scrivere.

«E la penna?», chiesi con ingenuità.

Kuniaki che era di fianco al mio nono maestro fece vibrare la sua canna di bambù sulle mie caviglie.

«Non correre troppo», osservò il mio nono maestro.

«Non vogliono correre, ma se mi viene in mente qualcosa di buono come faccio a scriverlo senza una penna?», protestai.

«Fissalo nella pagina con il pensiero», disse il mio nono maestro. «Solo le pessime idee hanno bisogno di essere scritte subito per non essere dimenticate».

Aspettare

Al tempio per diventare un samurai del racconto il mio decimo e ultimo maestro si congratulò con quelli che di noi erano sopravvissuti alle percosse di Kuniaki, e ci aprì un’aula in cui ogni banco era fornito di una pila di fogli e di una penna.

«Adesso avere tutte le nozioni e tutto il materiale per scrivere»,  annunciò. «Ma riflettete ancora per qualche secondo se iniziare o meno».

Nell’aula si sentirono molti sospiri.

«Perché non possiamo ancora iniziare?», domandai.

«Perché non iniziare evita di finire, non iniziare vi salva dal giudizio degli altri e di voi stessi, vi lascia nella speranza, nel velleitarismo, nella dozzinalità. È una condizione assai invidiabile, siete davvero sicuri di volerla abbandonare?». 

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