Tra patriarcato, criminalità e disuguaglianze, la cruda e assurda The Penguin mette in scena una città incancrenita. Con una riflessione sulla nostra epoca tardocapitalista
Batman è l’eroe che Gotham merita, ma non quello di cui ha bisogno. Diceva bene il commissario Gordon nel Cavaliere oscuro, film del 2008 firmato da Christopher Nolan. Ed effettivamente è così, quale città è tanto disperata da avere bisogno di un miliardario vestito da pipistrello per pattugliare le strade e combattere il crimine.
Una città incancrenita, spacciata come la biblica Gomorra. Gotham City è questo, l’angolo di mondo più disperato mai creato nella cultura pop. Una città che non riesce a rinsavire, dove la corruzione ha crepato le basi democratiche del vivere comune e dove la criminalità organizzata prospera e si sostituisce allo stato.
Una città ormai diventata metro di paragone anche del reale, come quando nel 2021 Beppe Sala, il sindaco di Milano, disse che il capoluogo meneghino non era Gotham City, rispondendo al suo avversario del centrodestra durante la campagna elettorale. La città di Batman è però un preoccupante coacervo di nevrosi: un luogo in cui i poveri sono sempre più poveri e i ricchi spaventosamente più ricchi.
Allora è plausibile che da questa galoppante iniquità nascano personaggi del calibro di Joker, come da narrazione – forse un po’ populista – fatta da Todd Phillips nel film del 2019 con Joaquin Phoenix. O anche come lo psichiatra Spaventapasseri, che terrorizza la popolazione con un gas nervino, oppure come il Pinguino, protagonista – questa volta – di una storia tutta per sé, una serie televisiva targata Hbo che si è conclusa col botto giusto la scorsa settimana.
Una città disperata
I personaggi creati da Bob Kane e Bill Finger per la Dc Comics, nelle mani di ottimi autori e autrici, possono fare grandi miracoli di narrazione; The Penguin è uno di questi miracoli. Una serie cruda, vera per quanto assurda e forte, interpretata da un Colin Farrell quasi irriconoscibile eppure eccezionale nella sua mimica facciale, nonostante il trucco prostetico.
Il gangster dal naso aquilino, spesso rappresentato con tuba, frac e gamba “offesa”, qui è raccontato nella sua ascesa al potere nel sottobosco criminale di Gotham, dopo i fatti del film The Batman diretto da Matt Reeves e con protagonista Robert Pattinson nei panni del crociato incappucciato.
Gotham è in subbuglio dopo il terrore “iniettato” dall’enigmista, con un grave allagamento che ha distrutto e isolato dal resto della città il quartiere popolare di Crown Point, dove vivevano famiglie umili, ora senza luce e servizi. Qui l’arrampicata di Oswald Cobblepot incrocia quella di un giovane ragazzo che vive alla giornata, Victor, che da vittima diventa suo assistente, e poi socio, adattandosi al gioco malato di Gotham. Un gioco folle di mercato nero, violenza e mafie in crisi.
Come la potente famiglia Falcone, ad esempio, che si trova ad affrontare la morte dell’erede e la vendetta interna della figlia Sofia (interpretata da una sorprendente Cristin Miliotti), fotografando anche il maschilismo patriarcale della criminalità organizzata.
Insomma, la bussola morale di Gotham è decisamente impazzita, lasciata alla mercé di narcisisti senza scrupoli. Ma in un mondo dove tutto è così profondamente corrotto e diseguale, ecco che il crimine diventa affascinante: la via d’uscita dalla povertà per sé e i propri cari. Così The Penguin, e The Batman prima di lui, continuano a raccontare la distopia contemporanea con un approccio moderno e brillante, puntuale nella critica e disastroso nelle previsioni.
Alimentare la paura
Intanto il cavaliere oscuro esce dal lungometraggio di Matt Reeves come un personaggio distrutto dai sensi di colpa per la morte dei propri genitori e per non essere riuscito a salvare la sua città. Un “eroe” che si rende conto di essere anche lui il prodotto malato di questo tardo capitalismo, rinunciando alle idee e alla legalità per diventare un vigilante dedito alla mattanza, senza quasi prendere in considerazione l’idea che la criminalità sia un fenomeno più complesso del semplice buoni o cattivi.
Un concetto banale ma difficile da spiegare, soprattutto quando a dominare il discorso sono le parole “sicurezza” e “decoro”. La prima spesso fuorviata, e risolta con la promessa di più forze dell’ordine: il pugno duro è la risposta semplice – e malata – di una società in rotta di collisione, piuttosto che una redistribuzione economica, ammortizzatori sociali e servizi.
E la seconda, più subdola, che spesso porta le città a diventare non luoghi che fuggono alla libertà delle persone di vivere lo spazio pubblico. Nell’illusione che, così facendo, si risolvano tutti i problemi di “ordine”. Come non bere acqua per evitare di lasciare l’alone del bicchiere sul tavolo. Ed è allora che tutte le città sembrano Gotham City se serve a giustificare politiche repressive.
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