Queer, politico e distopico: il videogame Dustborn è un cocktail di ingredienti unici, che tocca temi attuali. Ragnar Tørnquist dipinge gli Usa del futuro come un paese di secessionisti, dittature e big tech senza scrupoli
Le parole sono importanti.
Lo diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa, ma Dustborn lo ribadisce con forza. Il nuovo videogioco, sviluppato da Red Thread Games e pubblicato da Quantic Dream, è un’avventura in terza persona «sul potere del linguaggio», racconta a Domani il game director Ragnar Tørnquist. «È una storia su come la lingua viene adoperata come arma, e su come i social sono stati usati per diffondere disinformazione politica negli ultimi quindici anni».
«In Dustborn, questo tema si articola attraverso i poteri dei personaggi, basati appunto sulle parole e il linguaggio, ma non solo», continua Tørnquist, «anche attraverso una storia che racconta proprio come la parola abbia il potere di cambiare il mondo attorno a noi».
Nel 2017, all’inizio dello sviluppo, il gioco s’intitolava The Bad Lands, e aveva un aspetto completamente diverso, dice l’autore. «Anche se la storia e i personaggi erano molto simili, quella versione del titolo era un gioco di ruolo a turni, con elementi punta e clicca. Alcuni di questi dettagli sono ancora nel gioco finale».
La produzione vera e propria è cominciata però nel 2021, dopo che il team di Oslo ha firmato un accordo con Quantic Dream, lo studio parigino di David Cage, autore di Detroit: Become Human.
Gli Stati Divisi d’America
Norvegese, 54 anni, Tørnquist è un veterano dell’industria videoludica, con un’esperienza in FunCom, azienda che ha sviluppato anche titoli online ispirati alle novelle di Conan il barbaro. Nel 2012 ha co-fondato lo studio Red Thread Games, e ha pubblicato, nel 2019, l’avventura noir Draugen.
E ora è il turno di Dustborn, una creatura strana, con tante influenze dai film e dai fumetti. E anche dai giochi musicali. Ma, spiega Tørnquist, è prima di tutto un lungo viaggio in macchina negli Stati Divisi d’America, tra paesi secessionisti, dittature e big tech senza scrupoli. Una storia ambientata in un futuro alternativo, certo, ma ampiamente ispirata all’attuale dibattito politico.
Un titolo interessante come lo è stato il film Civil War di Alex Garland all’inizio di quest’anno, che cade in un 2024 di elezioni europee e Usa, nonché in un clima che definire polarizzato è un eufemismo. «Siamo stati ispirati non solo dalla politica statunitense, ma di tutto il mondo. Era importante scrivere una storia che toccasse questi temi e creare un gioco che potesse accendere una conversazione», dice Tørnquist. «Abbiamo visto come i social network sono stati utilizzati per diffondere disinformazione e come il dibattito stesse diventando sempre più divisivo e polarizzato».
Con la parola dibattito, il game director non intende soltanto quello politico, ma anche artistico. Un dialogo ormai esacerbato, al punto che anche «Dustborn è diventato un bersaglio di opinioni e critiche divisive a causa dei suoi temi e della sua rappresentazione».
Un gioco queer
A compiere questo viaggio nella distopica autocrazia americana di Red Thread Games sono un gruppo outcast e persone queer con poteri unici, dei nuovi X-Men. Sono i reietti, gli ultimi spesso dimenticati dalle società e anche dall’arte del videogioco. Ma non da Dustborn, che attraverso la rappresentazione delle comunità marginalizzate costruisce una storia profonda e tridimensionale.
«Crediamo nella rappresentazione e nella diversità, il nostro team riflette perfettamente questo valore», afferma Tørnquist. «Abbiamo molte persone queer nel nostro studio ed è stato importante per loro, e per me, realizzare un videogioco che rappresentasse questa diversità».
«È stato un lavoro di gruppo, dagli scrittori agli attori, di diversi generi, etnie, e orientamenti sessuali. Ciò ha aiutato tantissimo ad approcciare questa storia con grande sensibilità», continua. «Come scrittore e direttore del gioco, ho imparato molto dall’unione di queste voci, che ha portato nuove sfumature e autenticità ai personaggi». Questa diversità si manifesta anche nelle relazioni tra i protagonisti, perché in Dustborn non è solo importante scegliere il dialogo giusto per portare avanti la storia, ma è altresì importante coltivare le relazioni, anche sentimentali, tra i compagni di squadra, ognuno con le proprie caratteristiche identitarie, differenti valori e paure.
Una storia punk
Quella del team di Red Thread Games è a tutti gli effetti una storia dalle forti influenze punk, anche se Tørnquist non vuole rivendicare alcun credo sovversivo per Dustborn. «Se questo è un gioco punk saranno i giocatori e le giocatrici a dirlo», afferma, definendolo comunque un titolo anti-establishment, anti-autoritario e a favore della libertà individuale.
«Dustborn parla di un gruppo di persone, outsider ed emarginate, che sono state escluse dalla società e vivono alla giornata in una gig economy che offre poche speranze per il futuro», spiega. «A queste persone viene data la possibilità di liberarsi intraprendendo un viaggio per trovare una nuova casa. Un nuovo inizio, lontano dall'autocrazia delle corporation. Ma per farlo devono attraversare una nazione divisa, governata da una forza di polizia che dà loro la caccia per ciò che sono».
E ad aggiungere un po’ di sapore ribelle c’è anche l’aspetto musicale del gioco. Il gruppo – guidato dalla giovane Pax – viaggia negli Stati Divisi d’America come band punk-rock sotto copertura. E sono infatti presenti sezioni intere in cui si dovranno «suonare concerti nelle bettole lungo la strada, nonché scrivere nuove canzoni per costruire il proprio repertorio».
Mix di generi
Dustborn è quindi un cocktail di tanti generi videoludici. Una miscela difficile da incasellare in una specifica corrente o da etichettare con una sola delle sue diverse meccaniche di gioco. C’è un po’ dei giochi narrativi alla Quantic Dream, un po’ di azione hack ‘n’ slash, di strategia, di simulazione di appuntamenti (dating sim, ndr) e un po’ di videogiochi musicali come Guitar Hero. Insomma, tanta carne al fuoco. Forse troppa.
«I giocatori sono braccati e inseguiti da persone pericolose, non era possibile raccontare questa sensazione senza aggiungere combattimento. E inoltre il gruppo di eroi si finge un band, per cui era altresì importante raccontare questo aspetto attraverso le meccaniche dei giochi ritmici», spiega Tørnquist. E poi c’è l’elemento del linguaggio, «dove i personaggi trasformano la disinformazione in nuove parole che possono usare in combattimento e nei dialoghi».
Secondo Tørnquist, Dustborn è un gioco che si reinventa costantemente. Le idee sviluppate al suo interno sono legate a doppio filo con la storia e il percorso emotivo dei personaggi. «Il nostro obiettivo è sempre stato contaminare i videogiochi narrativi con altri generi, sperimentando con le meccaniche di gioco per raccontare storie nuove».
A corredare questo mix c’è uno stile visivo colorato, che prende a piene mani dai fumetti, altra grande ispirazione per Tørnquist e il suo team. «Per noi è stato naturale prendere ispirazione dai fumetti non solo per lo stile visivo, ma anche per la storia, la scrittura e le meccaniche di gioco», afferma. E conclude: «Il risultato è una graphic novel vivente».
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