Il 7 agosto il ministero dell’Istruzione e del merito ha pubblicato un compendio delle nuove linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica. Potremmo riassumerlo in tre “nuove I”: individuo, identità, impresa.

Il testo inizia, infatti, con la riaffermazione della «centralità della persona umana, soggetto fondamentale della Storia, al cui servizio si pone lo Stato».

Dichiarazione di intenti che scricchiola già dal secondo punto, quando si parla di promuovere «la formazione alla coscienza di una comune identità italiana come parte della civiltà europea e occidentale e della sua storia» e si evidenzia «il nesso tra senso civico e sentimento di appartenenza alla comunità nazionale definita Patria».

Di quale identità si parla? Di quella proposta da Ernesto Galli della Loggia e Loredana Perla – posta da Valditara a capo della commissione che dovrebbe riscrivere le Indicazioni nazionali per il curricolo – nel loro “Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo”: quella che ha come basi di riferimento l’epica classica e il Risorgimento; e il libro Cuore come testo fondamentale.

E dichiarazione di intenti che frana rovinosamente quando si passa a invocare la «promozione della cultura d’impresa» (paragrafo 4) o la «promozione dell’educazione finanziaria e assicurativa, dell’educazione al risparmio e alla pianificazione previdenziale, anche come momento per valorizzare e tutelare il patrimonio privato» (paragrafo 11). Ecco a cosa serve la scuola: a insegnare fin da piccoli che bisogna organizzarsi per una pensione integrativa.

Passaggi che sembrano essere – pur rappresentando l’applicazione pratica di ciò che già si trovava in un disegno di legge di un anno fa che fu chiamato, per brevità e chiarezza d’intenti, “Competitività” – l’implementazione di ciò che viene sancito come una sentenza al paragrafo 3: «L’importanza fondamentale della responsabilità individuale che non può essere sostituita dalla responsabilità sociale».

Che la società non esista, com’è noto, lo affermò Margaret Thatcher nel 1987. Ci credettero in molti, ma le evidenze della quotidianità e della storia hanno dimostrato che si sbagliava.

Nel testo ministeriale si cita l’articolo 2 della Costituzione, ma forse sarebbe opportuno ricordare sempre anche l’articolo 3. (Purtroppo da tempo e per responsabilità di governi di ogni colore, la frase «rimuovere gli ostacoli» è passata a intendere che gli ostacoli vanno rimossi nel senso di trascurati, messi sotto il tappeto...).

Ricorrono nel testo parole “individuo”, “impresa”, “regole”, “ordine” e “decoro”, che disvelano un’idea dell’esistenza come arena regolata dalla competizione a scopo di profitto, nella quale compito dello Stato è quello di ritirarsi il più possibile per lasciar spazio alla contesa e di garantire la facciata perbenista che sopisca e neghi ogni conflitto sociale. Una logica sostanzialmente di guerra e propaganda.

Con un’ultima annotazione, che risulta persino divertente nella sua evidente contraddittorietà. Dopo aver riaffermato, nel terzultimo e penultimo paragrafo, l’importanza della «educazione all’uso etico del digitale» e «all’uso responsabile dei dispositivi elettronici», si conclude confermando «il divieto di utilizzo, anche a fini didattici, dello smartphone dalla Scuola dell’infanzia fino alla Scuola secondaria di primo grado». Con tanti saluti a quelle e quegli insegnanti che hanno lavorato in questi anni utilizzando lo smartphone per far lezione su Shakespeare o per far realizzare dei piccoli film. Saranno perseguiti, sanzionati, sospesi?

Ancora una volta, come accade puntualmente quando si scoperchiano le intenzioni oltre le retoriche, mettere al centro la persona può significare, come dimostrano queste “nuove” indicazioni, collocarla nel bel mezzo di un bersaglio per colpirla meglio.

Il passo dall’educazione civica all’educazione cinica è davvero breve.

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