Il numero delle tesserate è di tre volte superiore a quello del movimento maschile. L’audience tv all’Olimpiade è andato più su di 18 punti di share. La nuova stagione di Paola Egonu riprende in un palazzo da 10mila posti contro i 3.800 della Supercoppa degli uomini. Secondo alcune indiscrezioni un fondo di investimento è interessato a comprare il prodotto. Storia di un sorpasso e di una prospettiva nuova
La pallavolo è soprattutto donna. Sempre di più. Lo dicevano, quasi lo strillavano già i dati dei tesseramenti federali: in Italia ci sono più di tre giocatrici per ogni giocatore, 280.146 atlete rispetto a 85.278 atleti. Poi ci si è messo pure l’oro olimpico di Parigi delle ragazze di Julio Velasco: con quel boom mozzafiato di interesse sancito anche dalle cime toccate dall’audience televisivo, 5 milioni e 550mila spettatori per il 40,34 di share per la finale (vinta) contro gli Stati Uniti di fronte ai 3 milioni e 674mila della semifinale (persa) dagli uomini contro la Francia con il 22,8. E persino la stagione dei club che comincia si diverte ad amplificare questa tendenza: per la Supercoppa che battezza la stagione, sono pronosticabili due sold out.
Solo che Perugia, Piacenza, Trentino e Monza, il cartellone maschile per intenderci, giocheranno oggi e domani al Pala Wanny di Firenze con 3800 spettatori di capienza nell’ambito di una politica che tende a “esportare” il prodotto volley in modo itinerante per conquistare più piazze possibili alla pallavolo maschile; mentre le “solite” Conegliano e Vero Volley Monza riempiranno il prossimo 28 settembre quel Palazzo dello Sport di Roma dove si sfiorerà o forse si raggiungerà quota 10mila.
Insomma, la pallavolo fa storia a parte rispetto al resto dello sport italiano, dove secondo i dati dell’Istat c’è ancora una robusta differenza di genere nell’attività sportiva: il 39,8 della popolazione maschile sopra i tre anni pratica sport in modo “saltuario” e “continuativo” rispetto al 29,6 di quella femminile. Cifre che sotto rete si ribaltano, anzi le donne sono proprio parecchie lunghezze avanti. Soltanto nella ginnastica e negli sport equestri la fotografia è simile.
Fatto sta che la stagione ricomincia con un tema in qualche modo insolito: il trionfo di Egonu, Silla, Orro e delle loro compagne è una spinta in più anche per il pianeta maschile. Sia sul fronte della base della piramide sia su quello dell’attività di vertice. «E non ci vedo nulla di male – racconta il presidente federale Giuseppe Manfredi – per anni è successo il contrario. Ma è tutta la pallavolo che sta crescendo. Certo la nostra Nazionale femminile ormai è un simbolo: probabilmente soltanto quella di calcio maschile genera un livello di popolarità così grande».
Anche qui i numeri lo scrivono in maniera clamorosa: secondo una ricerca di Stage Up e Ipsos, al termine della grande impresa parigina siamo arrivati a qualcosa come 21,4 milioni di italiani “interessati” alle vicende delle nostre pallavoliste. In questo enorme territorio di attenzione, c’è un 12 per cento che dichiara di appassionarsi regolarmente e un 28 per cento “abbastanza regolarmente”.
Le donne, dunque, che trainano gli uomini? «Ma non c’è stata e non ci sarà una caduta di interesse verso il campionato maschile che resta di altissimo livello. Insomma, l’importante è che crescano tutte e tutti», si augura Giulia Pisani, direttore sportivo della Fo.Co.L. Volley Legnano che nei giorni olimpici ha raccontato sulla Rai le partite dell’Italvolley al femminile insieme con Marco Fantasia.
E perché la pallavolo è così popolare fra le donne? «Non mi sono mai posta il problema in questi termini. Però penso dipenda dal fatto che si tratta di uno sport collettivo che favorisce un autentico e sincero spirito di squadra, magari è un’amica che ti dice “perché non vieni a giocare?” e tu ci vai, ti piace, continui. Purtroppo in Italia paghiamo ancora una mentalità, quasi un’ideologia, siamo ancora fermi agli “sport da donna” e agli “sport da uomo”, come vengono ancora ritenuti basket e calcio».
Certo il rapporto di tre a uno fra tesserati fa impressione. «Ma non dobbiamo dimenticare che in Italia, il bambino o il ragazzo sceglie prevalentemente il calcio, dobbiamo fare i conti con questo tipo di cultura sportiva ed è sicuramente difficile cambiare le cose».
Per cambiarle, la pallavolo sta provando a percorrere varie strade. «Vi dico la verità – dice Luciano Cecchi, vicepresidente Fipav e un’esperienza ultradecennale nel settore della promozione con la punta di diamante del torneo volley scuola nel Lazio – stiamo già verificando che il boom è generalizzato, probabilmente la vittoria di Parigi ha contribuito a incrementare un processo già in corso, che coinvolge indistintamente tutto il pubblico giovanile, bambine e bambini.
Che nel volley fino a 12 anni, giocano insieme. Certo questa grande domanda genera pure diversi problemi: c’è un’alluvione di richieste sulle nostre società sportive che molto spesso sono alla ricerca di impianti che a volte non si trovano o non sono disponibili». E qui è Manfredi a sottolineare la precarietà dello stato dell’arte: «Ci sono lunghe lista di attesa, molte scuole chiudono le palestre il pomeriggio per le più svariate ragioni, lo Stato ci deve aiutare con una norma chiara che liberi i dirigenti scolastici dalle responsabilità e ci consenta però di avere spazi preziosi, indispensabili per il nostro movimento».
Il dopo Covid
Non c’è ancora una cifra ufficiale, ma si stima che si giochino ogni anno 400mila partite di pallavolo. La maggior parte si disputano proprio nelle palestre scolastiche, la “casa” della pallavolo da sempre. Si capisce quindi che nel frequente “corpo a corpo” fra società sportive e scuole ci si giochi parecchio della salute di un movimento. Che neanche troppo tempo fa ha vissuto il buio del Covid, con molti spazi chiusi per ragioni di sicurezza e tanti palloni sfrattati o rimasti senza lavoro.
Si è già entrati da tempo in un contesto diverso, ma la scuola resta la frontiera più importante per uno sport che ha sempre bisogno di un patto organizzativo e formativo dentro e fuori le aule. Non è un caso che proprio venerdì prossimo a Roma, nello stesso palazzo dello sport dell’Eur che ospiterà la Supercoppa il giorno dopo, sia stato organizzato un workshop dal titolo eloquente: “Nuove generazioni di atleti e genitori: come gestirle”.
Ovviamente l’effetto Parigi non rimbalza solo sulla dimensione di base dell’universo volley. Si attende anche sul movimento di vertice. «È il momento di parlare dei club - dice da Courmayer, dove la Lega ha presentato il torneo femminile, la presidente del Vero Volley Alessandra Marzari, impegnata in tutte e due i campionati di vertice – Da noi manca questo passaggio, se tu dici Donnarumma sai che gioca nel PSG, da noi no. Abbiamo vissuto un momento straordinario quest'estate, ma probabilmente c'è stata poca legacy, si è trattato di un successo poco "lavorato". Ora dobbiamo portare nel campionato l'effetto di quanto è accaduto a Parigi».
«Se abbiamo raggiunto questi risultati è perché qualcuno in A1 e A2 ha messo in piedi tutto questo. Adesso viene il difficile: abbiamo ancora tanti traguardi da raggiungere», ha detto ieri nella conferenza stampa il presidente della Lega femminile, Mauro Fabris.
Le sfide sono due. Da una parte una interna, al sistema: il campionato femminile supererà quello maschile anche in termini di spettatori nei palazzetti? Per ora la distanza in A-1 è fotografata da queste cifre: 2600 spettatori di media nella regular season per gli uomini rispetto ai 1972 delle donne, 3700 nei playoff contro 3.361.
L’altra sfida, invece, si gioca fuori: condividere l’effetto Parigi anche con una sorta di aiuto reciproco che possa diventare un volano per tutto il movimento. «Sicuramente i due campionati – spiega ancora Marzari – possono fare dei percorsi insieme: comunicazione, marketing, diritti - come in tutte le cose nuove, però, bisogna saper costruire il percorso».
Il margine di crescita sembra davvero importante. Tanto che si sussurra pure delle lusinghe di un fondo di investimento interessato ad acquistare l’intero “prodotto” volley femminile in cambio di una cifra importante. E di un progetto di un campionato europeo per club, questo al maschile, modello Eurolega di basket.
Chi vivrà, vedrà. Non ora, però, se ne riparlerà forse verso la prossima stagione. Come della necessità di un’espansione territoriale del verbo del volley. Che nel sud ha un bacino di utenza e di passione formidabile, ma nei due campionati maggiori è praticamente assente (sotto Roma c’è solo Taranto nel torneo maschile). A pensarci bene, è un’altra sfida ancora. Con la speranza che pure Parigi dia una mano prima o poi per vincerla.
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