Vuole la leggenda che Chris Offutt, scrittore del Kentucky che ha dedicato tutta la sua carriera a raccontare la vita e le persone dell'Appalachia, lasci la stanza solo a sentirlo nominare. Da quando nel 2016 ha pubblicato Hillbilly Elegy, uscito in Italia da Garzanti come Elegia americana, JD Vance – nato in Ohio da una famiglia del Kentucky – è stato, infatti, uno degli autori più discussi e criticati della letteratura contemporanea.

L'Appalachia è delle regioni culturali in cui si dividono gli Stati Uniti: porzioni di territorio che non corrispondono con i confini geografici degli stati, ma caratterizzate da un'omogeneità culturale e sociale degli abitanti. Terra di montagne millenarie, l'Appalachia è un mondo a cui si guarda con la stessa morbosa curiosità di un incidente d’auto, schiacciato dal luogo comune che lo vuole un coacervo di arretratezza, violenza, e ignoranza fin dalla sua creazione, alla fine dell'Ottocento. Una regione vessata dalla povertà, i cui amministratori e sfruttatori non sono mai stati in grado di capitalizzare a lungo termine le enormi risorse, diventata il simbolo del baratro degli Stati Uniti durante la "Guerra alla povertà" del presidente Lyndon Johnson negli anni Sessanta, e rimasta da allora sinonimo di impoverimento ed emarginazione culturale, in un stereotipo che non si è mai abbattuto.

Stereotipo su cui Vance ha scelto di fondare la narrazione del suo memoir, attirandosi aspre critiche e accuse dalla comunità letteraria. In linea con le posizioni che l'hanno portato a essere candidato vice-presidente degli Stati Uniti con Donald Trump, Vance racconta una storia di riscatto da una comunità che si ritrova, a suo dire, a fare i conti con la povertà e il degrado sociale per pigrizia e mancanza di forza di volontà. Lui, invece, grazie alla sua brillante intrapredenza è riuscito a emanciparsi dallo squallore, lasciando l'Ohio per un'università della Ivy League. Un ritratto estremamente offensivo per la popolazione appalachiana e per la sua comunità culturale, che da sempre cerca, attraverso la letteratura, di raccontare le radici profonde del malessere che affligge la zona – dall'assenza delle istituzioni, alla mancanza di strategie strutturali contro l'isolamento – preservando ad ogni costo la dignità che, comunque, contraddistingue chi in quella fetta di Stati Uniti ha scelto di rimanere.

Una distorsione talmente forte da spingere, il 3 dicembre 2020, la libreria Downbound Books di Cincinnati, l'Urban appalachian community coalition e la West Virginia university press a organizzare Don't cry for us J.D. Vance. A reading by Ohio appalachian authors: un'intera giornata pensata per far conoscere il fermento culturale della regione direttamente dalla voce dei suoi autori, artisti e intellettuali.

La letteratura della zona

In realtà, il patrimonio culturale appalachiano è talmente complesso da avere addirittura dei corsi ad esso dedicati nelle maggiori università – gli "Appalachian studies", nati negli anni Sessanta con il boom degli studi di sociologia e scienze politiche, per approfondire l'ingiustizia sociale, il conflitto di classe e la distruzione ambientale che vessavano gli "hillbillies" statunitensi.

Proprio "hillbilly" è il termine usato da Vance nel titolo del suo romanzo, una parola fondamentale (che si è persa nella traduzione italiana), presa in prestito dai colonizzatori scozzesi per indicare gli abitanti delle montagne e ben presto entrata nell'uso comune e segnata, però, da una connotazione negativa: i bifolchi, gli ignoranti, le persone che rispondono solo ai bassi istinti dell'uomo, coloro che vivono al di fuori della società.

L’Appalachia, invece, è una regione piena di complessità – storica, culturale, geografica e, soprattutto, umana – che trova nel triangolo tra Kentucky, West Virginia e Ohio il terreno più fertile per una letteratura grandiosa nel raccontare le persone comuni. Le storie di famiglia sono una delle eccellenze delle autrici e degli autori appalachiani, che hanno saputo traslare sulla carta la realtà non solo delle vicende e dei luoghi – non è raro trovare mappe e cartine all’interno dei libri, per districarsi tra contee, villaggi e possedimenti –, ma anche della lingua, i dialetti e gli idioletti di tutti coloro che hanno preso vita tra le pagine. Ne è un mirabile esempio Storming Heaven, secondo romanzo di Denise Giardina, autrice della West Virginia. Pubblicato nel 1987 e mai arrivato in Italia – rimasto relegato anche negli Stati Uniti nella cosiddetta "letteratura regionale" – Storming Heaven è un romanzo corale, in cui ogni capitolo vive della voce unica e diversa di uno dei protagonisti, in uno spaccato del tutto unico sulle differenze di classe e di accesso all'istruzione e alla cultura dell'Appalachia dell'era mineraria. Un gioco linguistico che serve a raccontare, ispirandosi ad avvenimenti realmente accaduti nel diciannovesimo secolo, la violenza subita dai minatori quando, sul confine tra West Virginia e Kentucky, venivano dispiegate milizie anti-sciopero per evitare che i lavoratori potessero organizzare la propria lotta e sindacalizzarsi.

Le origini

Per cercare il capostipite della letteratura appalachiana – colui che per primo ha scelto di raccontare le storie di persone apparentemente ordinarie, però, bisogna tornare indietro fino al 1919: anno in cui B. W. Huebsch decide di pubblicare un libro particolare, una raccolta di racconti che si legge come un romanzo, in cui le diciannove brevi storie accendono il faro ognuna su un diverso abitante di una piccola città. Il libro si intitola solo Winesburg, Ohio, con un sottotitolo decisamente evocativo: A Group of Tales of Ohio Small Town Life. In Italia arriverà solo nel 1931 come Racconti dell'Ohio (ora da Einaudi). A scriverlo è Sherwood Anderson, un ex uomo di affari. Il risultato è uno spaccato di vita quotidiana senza precedenti, che coglie appieno l'anima degli abitanti di questa zona d'ombra americana, seguendo gli incontri e i pensieri di George Willard, protagonista della narrazione, con un enfasi particolare – e del tutto nuova – sulla piscologia dei personaggi, in lotta con la solitudine e l'isolamento che pervadono la città. Pur essendo un lavoro totalmente di fantasia, Anderson per la sua Winesburg si ispirò direttamente a Clyde, piccolo centro dell'Ohio in cui aveva trascorso l'infanzia.

La prosa scarna, asciutta, fatta di storie o capitoli brevi, che segue come una telecamera i personaggi restituendo una cronaca oggettiva dell'esistenza, senza intenti morali o senza alcuna romanticizzazione del disagio, è proprio una delle caratteristiche fondamentali della letteratura appalachiana.

Dagli anni Ottanta a oggi

Nel 1983, Little, Brown decide di pubblicare una raccolta postuma: dodici racconti, sei dei quali già usciti sull'Atlantic, ambientati nella West Virginia rurale delle miniere e delle foreste millenarie, che catturarono l'attenzione dei Joyce Carol Oates, autrice di una celeberrima recensione sul New York Times: "Dodici racconti, ambientati in una regione povera della West Virginia, di un giovane scrittore dotato di un talento così straordinario che si è tentati di paragonare il suo esordio a quello di Hemingway, quando i racconti interconnessi e i pezzi in prosa di In Our Time furono pubblicati nel 1924: questa è la buona notizia. La tragica notizia è che questo esile volume è tutto ciò che avremo dell'opera di Breece D'J Pancake, dato che si è suicidato nel 1979, quando non aveva ancora 27 anni." Come i trilobiti fossili che i suoi personaggi cercano nella storia che ha regalato il titolo all'edizione italiana della raccolta (ripubblicata nel 2016 da minimun fax, dopo una prima edizione di ISBN), Pancake cristallizza con un lirismo senza eguali le difficoltà della vita in una regione svuotata e abbandonata a sé stessa da chi l'ha sfruttata, e la descrizione di una terra in cui la natura fa affiorare memorie e sentimenti ancestrali e profondi che squarciano la disperazione.

Neanche dieci anni dopo, un'altra raccolta di racconti – un altro debutto – rimetterà il Kentucky sulla mappa e il nome del suo autore tra quelli dei numi tutelari della letteratura appalachiana. Kentucky Straight (in italiano Nelle terre di nessuno, minimum fax, 2017) di Chris Offutt è un'altra lama che squarcia il velo di una comunità rurale talmente piccola e chiusa da non avere un nome, i cui abitanti considerano arrogante voler andare a scuola e usano la caccia non come passatempo ma come fonte di sostentamento. Un esordio seguito da altri titoli di estrema importanza per la narrazione culturale, come il memoir Mio padre il pornografo e il romanzo Country Dark, fino agli ultimi lavori, una serie di noir che non abbandonano le colline del Kentucky ma ne tracciano, anzi, la sempre più reticolare e intricata trama sociale.

Sono otto racconti che scattano una fotografia delle piccole città del Kentucky (Roma, in questo caso) anche quelli di Girl Trouble (Questa America, Fazi) di Holly Goddard Jones, pubblicato nel 2009 e scelto come titolo per il suo book club addirittura da Oprah Winfrey. La quotidianità di questa minuscola comunità rurale dal nome ingombrante trova spazio anche nel primo romanzo di Jones, La prossima volta, che intreccia lo sguardo sull'alienante ordinarietà delle giornate nell'immenso nulla al di fuori delle grandi città, con le atmosfere cupe e inquietanti del David Lynch di Twin Peaks.

«Quindi ti consideri uno scrittore regionale?

Non so bene cosa intendi

Se ti dovessero presentare, vorresti che ti definissero 'uno scrittore del Kentucky'? O preferiresti ‘scrittore americano’?

Il Kentucky è l'America, risposi. Se scrivi dell'uno, scrivi dell'altra».

È solo una delle tante riflessioni su cosa significhi appartenere a un luogo da cui si è voluti scappare, per tornarci e sentirlo parte inscindibile della propria esperienza, che Lee Cole affida al protagonista del suo Con le mani nella terra, (Marsilio, 2023). Nato nel 1990, Cole, che ha frequentato il prestigioso Iowa Writers' Workshop, addolcisce molto le asperità della scrittura appalachiana, aggiugendo però una stratificazione di pensiero e contenuto che mette in moto riflessioni del tutto attuali: il confronto tra le nuove generazioni – iperconnesse e, ciononostante, sempre più sole – e le proprie famiglie, che non hanno mai lasciato la comunità di origine; la romanticizzazione del disagio e della vita rurale; le incomabili differenze di classe del mondo accademico statunitense; l'equilibrio instabile sul baratro delle dipendenze dentro cui si muovono gli abitanti di quelle zone.

Vicinissima a quella di Cole, ma allo stesso tempo estremamente lontana, è anche la narrazione di uno dei casi letterari più recenti: Ohio, monumentale romanzo di debutto di Stephen Markley – altro autore uscito dall'officina dell'Iowa Writer's workshop – pubblicato da Einaudi Stile Libero nel 2020. A fare da sfondo qui c'è New Canaan - un'altra città di finzione sperduta e dimenticata nel cuore della "Rust Belt", e il ritorno a casa di quattro compagni di liceo, costretti ad affrontare i fantasmi non solo del proprio passato, ma anche del presente che li vede smarriti e alla deriva.

La famiglia è il nucleo in cui si muove Scott McClanahan, autore della West Virginia, il cui Crapalachia. Autobiografia di un luogo è arrivato in Italia per Pidgin solo nel 2023, dieci anni dopo la sua pubblicazione negli Stati Uniti. In un America in cui i rapporti famigliari si frammentano, l’Appalachia vive ancora nell’unità dei clan dei suoi colonizzatori scozzesi, e McClanahan riesce nel difficile compito di raccontare un luogo solo attraverso la lucida oggettività dei ritratti di chi lo abita – i suoi parenti più stretti, a metà tra un freak show e una saga scozzese, sempre sul crinale tra autobiografia e finzione.

«Crescendo in West Virginia, pensavo che nessuno volesse leggere libri ambientati dove vivevano, nella campagna appalachiana. Mi sembrava che tutte le storie raccontassero di persone che avevano vite molto più importanti e entusiasmanti in città. Quando mi ero ormai innamorato delle parole tanto da iniziare a scrivere narrativa, questa mancanza di rappresentazione aveva permesso a una certa vergogna di sedimentare. Una voce sommessa, che mi diceva che la mia esperienza non aveva valore. Ci vollero anni, e molti libri che aprissero gli orizzonti, per dissipare quel pensiero. Quando ho scritto Un diluvio di veleno, un romanzo su un musicista solitario la cui piccola città della West Virginia è minacciata dal disastro ambientale di una fuoriuscita di sostanze chimiche tossiche, ero consapevole dell'enorme privilegio e responsabilità impliciti nello scrivere un ritratto dell'Appalachia che fosse sfaccettato, empatico ma allo stesso tempo fedele alla mia esperienza. Quasi venticinque milioni di persone in tredici stati compongono la regione appalachiana. Sono un sacco di storie». Parole di Jordan Farmer, il cui Un diluvio di veleno (Jimenez) è stato definito «Un romanzo importante e necessario» da un altro padre della letteratura appalachiana contemporanea: Ron Rash. Pubblicato in Italia nelle traduzioni di Tommaso Pincio per La Nuova Frontiera, Rash, originario della South Carolina ma cresciuto in quella del Nord, si è fatto conoscere con Serena (in Italia come Una folle passione, Salani), diventando uno dei pilastri di ogni ricognizione letteraria appalachiana, in cui il legame quasi soprannaturale tra la natura, la terra e i suoi abitanti riportano a una dimensione quasi ancestrale, ripresa anche nei suoi più recenti La terra d'ombra e Un piede in paradiso.

In North Carolina si trova anche Harmony, piccola cittadina abbastanza a ovest da rientrare ancora nella mappa dell'Appalachia. È lì che Michael Bible ha scelto di ambientare L'ultima cosa bella sulla faccia della terra (Adelphi, 2023): un affresco di disagio e redenazione, tra frequentatori della chiesa e piromani pronti a fare una strage, tra giovani senza futuro e adulti senza prospettiva.

E sempre le montagne del North Carolina è dove David Joy, originario proprio di Charlotte, ha scelto di ambientare le sue storie, raccontate con una voce tagliente e spietata. Il suo ultimo romanzo, Quelli che pensavamo di conoscere, uscito nel 2024 per Jimenez, scava nel passato di una comunità, tra simboli confederati e nuovi membri del Ku Klux Klan, usando il punto di vista di una giovane artista afroamericana.

Lo sguardo sul futuro

Sono proprio queste nuove prospettive a disegnare il futuro anche di una terra millenaria come l’appalachia. Nuovi gruppi di autori e poeti, pronti a definirsi AppalAsian (“Appalasiatici”) come Lisa Kwong, o Affrilachian (“Appalachiani afro-americani”), come Frank X Walker e Crystal Wilkinson. Una contaminazione pronta a dare ancora più sfumature alla complessità culturale della regione più trascurata e sottovalutata di tutti gli Stati Uniti.

Non possiamo ancora sapere se l’appalachiano JD Vance arriverà alla Casa Bianca. Quel che è certo, però, è che neanche il dispregio di un candidato vice-presidente potrà oscurare la potenza e la fascinazione delle letteratura della sua terra, forte come le montagne in cui continua a germogliare.

Nel momento in cui pubblichiamo questo articolo, JD Vance è ufficialmente il nuovo vicepresidente degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump è stato eletto contro Kamala Harris.

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