Lo avete visto? Il mondo migliore è arrivato dall’acqua, sui barconi. Bellissimi, fradici, felici. Ballavano: sulle nostre paure, sull’ansia, sulla fatica. Parigi non lo ha rinchiuso in uno stadio, il mondo, lo ha riversato sulle strade, le piazze, i tetti, gli abbaini, lo ha fatto correre sui cornicioni, saltare nei corridoi dei musei, in mezzo ai capolavori.

La cerimonia che ha aperto i Giochi Olimpici non vi è piaciuta? Beh, infatti non era una cerimonia. Era una festa a cui eravamo tutti invitati, anche noi che non sappiamo correre veloce, saltare in alto, lanciare lontano, sollevare pesi. Eppure ci proviamo tutti i giorni: buttando giù ostacoli, cadendo all’ultimo metro, facendo uscire la pallina dalle righe. Ci proviamo, è quello che conta. Quelli che ci riescono sono la parte migliore di noi, ed erano su quei barconi sulla Senna.

I francesi ci hanno messo la loro storia, l’arte, il cinema che hanno inventato, la letteratura, le donne. Ma la loro cultura non è fatta di tradizione e di secoli di polvere: è fatta di lumi e di luci; di inclusione, magari complicata; di differenze, perché non è vero che solo chi si somiglia si piglia; di colori e di pronunce diverse.

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Meno male che ci sono i francesi a farci volare alto, sulla loro mongolfiera, le loro Marie Antoinette senza teste, le donne-croissant, i loro sconosciuti meticci, barbuti, tinti, imperfetti, zoppi. La Carmen dei teatri e il rap delle banlieue, i cantanti rigorosamente mescolati, come i generi. Un mondo queer che le mummie in tribuna autorità non sanno neanche cosa voglia dire eppure si riempiono la bocca di quell’altra parola, onore. Drag queen e giovani artisti, come giovane è Thomas Jolly, il regista teatrale che ha immaginato tutto questo: ha 42 anni, un’età in cui in Italia magari vivi ancora a casa con i tuoi. O forse sei già scappato all’estero.

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Non è stata una cerimonia ma un inno: agli esclusi, agli ultimi che magari saranno i primi e vinceranno una medaglia fatta di frammenti della Tour Eiffel, ai diversi, ai rifugiati, agli stranieri, a quelli nati lontano da qui ma che qui hanno deciso di mettere su casa. Vale più chi ci è nato per caso o chi ha scelto di venirci per salvarsi, o soltanto per sognare?

I francesi celebrano le parole chiave della loro Olimpiade, e dopo liberté ed egalité hanno il coraggio di trasformare la fraternité in sororité, sorellanza, omaggiando le prime donne di tutte le loro storie. Le donne fatte risaltare in monumenti che escono dal nulla, ma che la Francia decide di includere giustamente tra gli ultimi e i diseredati, dove troppe società ancora le relegano.

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E poi i ponti, che sono un simbolo sfacciato, messi lì a unire la rive gauche e la rive droite, a farci passare dall’altra parte del fiume, o dall’altra parte e basta. Jolly quei ponti li ha usati come passerelle: ha fatto sfilare una moltitudine colorata, storta, arrampicata sui trampoli, freak, osée e – ultimo tabù – addirittura vecchia, con i capelli bianchi e le rughe, che ormai non le ha più nessuno e non siamo abituati.

La Francia si è raccontata così: aperta a tutti, ai diversi, ai disperati, ai diseredati, agli stranieri. Anzi, ci ha detto che non esistono stranieri: se la Gioconda è di tutti, di tutti sono le stelle dello sport a cui Parigi ha affidato il penultimo tratto del sacro fuoco. Nadal, Serena Williams, Nadia Comaneci, Carl Lewis non sono forse di tutti? Eppure sembravano quasi antichi con i loro giubbotti salvagente, come a proteggersi da tanta novità. Il mondo è vecchio, in fiamme, incattivito, ha paura, morde come qualsiasi animale ferito. Parigi non basterà a cambiarlo, ma ci ha offerto ancora una volta la sua vena più profonda, la rivoluzione.


Non è stata una cerimonia, era una festa. Una notte per i giovani di oggi che parlava a quelli di domani, e l’italiano più giovane di tutti era là in mezzo a loro. Come ci vorreste arrivare all’appuntamento con l’amore della vostra vita? Con la giacca e il trench, con la messa in piega e i tacchi troppo alti per correre? O bagnati, spettinati, divertiti e felici come Sergio Mattarella?

ANSA

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