- «È amore», mi rispondono in sincrono Fabio e Damiano, i gemelli D’Innocenzo, registi di America Latina, presentato giovedì a Venezia. «Amore perché ogni volta che parliamo di sentimenti scateniamo fantasmi, ossessioni, incertezza dell’avvenire».
- «Essendo gemelli, anche i nostri due film precedenti raccontavano storie di famiglie, di senso di appartenenza, di sangue, ma non ci eravamo mai addentrati così a fondo nel tema e abbiamo scelto la via per noi più rischiosa: la dolcezza. La dolcezza e tutte le sue estreme conseguenze».
- Elio Germano è il protagonista di America Latina. Mi dice: «Ho fatto un lavoro di decostruzione. Per permettere alla macchina di presa di entrare».
«È amore? Dolce? Sulfureo?» chiedo.
«È amore», mi rispondono in sincrono Fabio e Damiano, i gemelli D’Innocenzo, registi di America Latina, presentato giovedì a Venezia. «Amore perché ogni volta che parliamo di sentimenti scateniamo fantasmi, ossessioni, incertezza dell’avvenire. Andiamo verso il thriller. Un thriller tenero. Abbiamo scelto la dolcezza, e tutte le sue estreme conseguenze. Perché ogni sentimento per decollare ha bisogno del suo contrario. Dolce e sulfureo». «Sul set, dice Damiano, mi sono innamorato. L’amore, anche non corrisposto, platonico, fraterno, dà impulso alla vita. Genera. Mette i pezzi rotti a posto».
La tenerezza dell’abisso in cui ci spinge il vostro film è spregiudicata e terribile.
«Abbiamo fatto un film misterioso, ambiguo, visionario. Un film disordinato perché vitale. Un film sulla doppiezza. Sopra e sotto. Siamo gemelli. Noi amiamo i generi e America Latina contiene i generi. Non è un viaggio al termine della notte, è un viaggio al termine di un uomo», chiosa Fabio. «È per noi un nuovo esordio, un film che abbiamo scritto a Berlino, durante il festival a cui abbiamo portato Favolacce. Abbiamo scelto di raccontare questa storia perché, semplicemente, era quella che ci metteva più in crisi. In crisi come esseri umani, come narratori, come spettatori. Una storia che sollevava in noi domande alle quali non avevamo (e non abbiamo, nemmeno a film ultimato) risposte che non si contraddicessero l’una con l’altra.
Interrogarci su noi stessi è la missione più preziosa che il cinema ci permette e America Latina prende alla lettera questa possibilità, raccontando un uomo costretto a rimettere in discussione la propria identità. Essendo gemelli, anche i nostri due film precedenti raccontavano storie di famiglie, di senso di appartenenza, di sangue, ma non ci eravamo mai addentrati così a fondo nel tema e abbiamo scelto la via per noi più rischiosa: la dolcezza. La dolcezza e tutte le sue estreme conseguenze. Perché è il tempo della dolcezza. America Latina è un film sulla luce e abbiamo scelto il punto di vista privilegiato dell’oscurità per osservarla».
Decostruzione
Elio Germano è il protagonista di America Latina. Mi dice: «Ho fatto un lavoro di decostruzione. Per permettere alla macchina di presa di entrare. Di indagare. Un lavoro fatto di accoglienza, non di prestanza. Femminile. Viviamo dentro l’apertura di una crepa, di una crisi. Esplodiamo dentro ruoli e modelli che ci obbligano a essere performanti. Per il mercato e la società capitalistica contano solo i numeri, i sentimenti non servono. Non sono efficienti. Allora ho costruito un personaggio che è l’antitesi dell’uomo vincente e potente, del macho anaffettivo. Al contrario, ho lavorato sulla tenerezza, sulla dolcezza, sulla delicatezza, sulla sensibilità. Sono passioni che permettono di scavare nell’io, di compiere un’indagine interiore».
«Hai mai fatto del male a qualcuno?» ti viene chiesto nel film.
«Ci dispiacciamo spesso per quello che facciamo, per quello che vorremmo fare e anche per quello che non facciamo. Che, a volte, sono la stessa cosa».
Secondo Lorenzo Mieli, produttore del film con The Apartment,: «Il principale mistero di questo film è quello di provare a rispondere alla domanda “Chi sono io?”, con un grande scavo nell’identità, nei sentimenti, nelle passioni. È un film spiazzante e sorprendente. Una sfida».
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