- Forse non è poi così vero che la scrittura di Volo sia unidimensionale, forse vi si possono rintracciare tre livelli: uno brillante e perfino paraculo in superficie, uno di realismo quotidiano e uno simbolico profondo, non necessariamente consapevole.
- Volo è ormai al suo dodicesimo romanzo, è ora che la critica si domandi le ragioni del suo straordinario successo di pubblico: che cosa c’è nei suoi libri che piace tanto ai lettori?
- Volo è politicamente corretto nella sostanza ma irriverente nel modo di porgere; se fosse un politico sarebbe uno di quei socialdemocratici disinvolti e cool del Nord Europa, attentissimi ai diritti civili e geneticamente incapaci di estremismo.
«Paolo, domani mattina posso venire da te a farmi una sega?», dopo un breve prologo sentimentale, che verrà ripreso alla fine, così si apre alla trama l’ultimo romanzo di Fabio Volo: Una vita nuova, Mondadori.
La provocazione sessuale si rivela subito fittizia, in realtà si tratta di un semplice favore pratico: l’amico di sempre del protagonista, che tanta importanza avrà nello svolgersi del plot, deve fare un esame dello sperma in laboratorio e la sua casa è troppo lontana per garantire la freschezza del referto. Familiarità, buffoneria su un fondo serio – essere o non essere sterili –, trasgressione apparente subito seguita da un rassicurante «stavo scherzando»: questo incipit può essere preso a campione dell’astuzia del Volo scrittore.
Vita nuova
La medesima consumata astuzia che gli fa intitolare alla “vita nuova” il suo romanzo nell’anno dantesco, nell’anno in cui il Salone di Torino si è inaugurato all’insegna della “vita supernova”. Qui la nuova vita del protagonista sarà poi ritrovare il gusto del piacere sotto i doveri autoimposti, niente di più; eppure, nello scheletro sotterraneo del libro, qualcosa di dantesco c’è davvero, se possiamo leggerlo come un riportare a Dio (cioè al Padre, anzi al padre che era un dio per il protagonista bambino) ciò che più gli appartiene (l’auto della giovinezza) attraverso l’inferno delle incomprensioni e il paradiso terrestre (del centro yoga), con uno scivolamento inconscio dalla Vita nuova alla Commedia.
L’amico di sempre non è forse uno scanzonato Virgilio? E il protagonista Paolo, mentre porta sulle spalle il vecchio padre che inciampando è caduto, non ricorda l’archetipo di Enea e del vecchio Anchise?
Forse non è poi così vero che la scrittura di Volo sia unidimensionale, forse vi si possono rintracciare tre livelli: uno brillante e perfino paraculo in superficie, uno di realismo quotidiano e uno simbolico profondo, non necessariamente consapevole.
I motivi del successo
Volo è ormai al suo dodicesimo romanzo, è ora che la critica si domandi le ragioni del suo straordinario successo di pubblico: che cosa c’è nei suoi libri che piace tanto ai lettori?
Per prima cosa, direi, si può affrontare ogni suo nuovo libro sicuri che non si avrà la vita difficile; qui per esempio sono meno di duecento pagine distribuite in quarantaquattro agili capitoli, tutti abbastanza brevi perché l’attenzione possa rilassarsi tra l’uno e l’altro, conclusi in genere con un guizzo inaspettato o una punta epigrammatica.
Lo stile non dà mai problemi, le frasi si snodano tranquille, il lessico rispecchia il parlato basso – «mi ha fatto un in bocca al lupo» –, le parole inconsuete sono poche e quelle poche sono subito spiegate o prese in giro. Volo non lascia mai il lettore senza istruzioni, spesso sottolinea le battute con «ho riso» o «mi ero commosso» – ogni passaggio psicologico è messo bene in chiaro, non devi fare la fatica di chiederti perché un personaggio agisce così o cosà; se non lo sa lui, lo sa chi gli sta accanto ed è lì per dirglielo.
L’altro aspetto piacevole è il senso dell’umorismo: Volo è bravissimo nel rappresentare il cazzeggio tra maschi, con un machismo innocente che si fa perdonare proprio perché è autoironico («quando una donna ha ragione, ha ragione; quando un uomo ha ragione, è single»); così come, appena fiutato il patetico, lo dribbla immediatamente (l’amico parla del padre morto durante un viaggio turistico in nave, sicché la bara fu sbarcata solo all’arrivo: «Io qui al lavoro come un coglione e mio padre morto è in crociera ai Caraibi»); l’illuminazione dell’amore romantico e quasi mistico è riportata in fretta coi piedi per terra: «Sono stanco e ho mal di testa, mi sa che non reggo più l’alcol». «Ma che alcol, è la figa che non reggi più».
Volo è politicamente corretto nella sostanza ma irriverente nel modo di porgere; è rimasto quello che faceva ridere Alessia Marcuzzi presentandosi nudo all’intervista; se fosse un politico sarebbe uno di quei socialdemocratici disinvolti e cool del Nord Europa, attentissimi ai diritti civili e geneticamente incapaci di estremismo.
Volo sembra «uno che fa i libri come una pianta di zucca fa le zucche», per usare una vecchia formula di Calvino; la sua naturalezza nel narrare lo rende qualcosa di diverso dal Midcult – non fa finta di essere uno scrittore pensoso, è davvero al livello dei propri lettori; o ha un’anima arredata Ikea, o la rimozione dentro di lui è così perfetta da non lasciar trasparire cicatrici né segni di sutura; in questo romanzo nessuno è veramente malvagio, il buio affiora solo dopo essere stato abbondantemente addomesticato.
Qui, se ben leggo, il dono della naturalezza è lievemente inquinato dal talento e dalla mentalità dello sceneggiatore: alcune scene, come l’auto rimasta senza benzina, la sposa che non si presenta il giorno delle nozze, i biscotti alla marijuana mangiati senza saperlo, sembrano pensate a tavolino; e l’impianto generale, un viaggio attraverso l’Italia che diventa l’occasione per una presa di coscienza, potrebbe essere il concept presentato a un produttore.
Le doti che lo salvano sul piano letterario sono sostanzialmente due: la prima è l’abilità innata nel far scoprire gli snodi pian piano, con minimi progressivi colpi di scena che tirano il lettore dentro la storia, come il tradimento della moglie raccontato solo a metà libro; la seconda è la precisione dei dettagli, un realismo dell’irrilevante che lo rinnova e lo rende ancora potabile: «Mentre ero sotto la doccia ho fatto una cosa che per qualche strana ragione mi diverte: ho messo le mani a coppa e quando si sono riempite le ho aperte per sentire lo splash dell’acqua che si schianta a terra».
L’autore, o meglio, la funzione-autore, dà l’idea di un uomo abbastanza felice da potersi permettere di essere generoso, sia coi suoi personaggi che col lettore; il che a sua volta consente quella condizione di serena parità di cui parlavo più sopra. I suoi personaggi usano frasi fatte, logorate dall’uso, «le farfalle nello stomaco», «ti sei spento», «dentro di me qualcosa si è sciolto»: ma mentre Moravia, per esempio, le scriveva per prenderne rigorosamente le distanze, Volo le incamera come se potessero far parte del linguaggio suo e dei lettori come un leitmotiv di umiltà: «non ci capisco più un cazzo».
Valori comuni
Lui e i suoi lettori hanno valori comuni; anche se sembrano valori anticonformisti, appartengono al neo-conformismo moderno (la famiglia è cambiata, il divorzio non è più un tabù, per il bene dei figli è meglio separarsi); i maschi sono impediti nei sentimenti mentre le donne sono più vive, il tradimento rimane comunque una mezza tragedia, la sobrietà dei genitori rischia di diventare anaffettività, bisogna riscoprire sé stessi, se il lavoro diventa l’unica misura meglio mollare tutto e andare a dipingere in campagna.
C’è un’apertura alla spiritualità new age, in un mood che sta tra Raffaele Morelli («ognuno di noi è pieno di risorse che non sa nemmeno di avere») e un Hillman per principianti («vuole essere guardata, e vista»); il tutto con moderazione («non c’è niente di male a essere vegani, però non puoi farlo pesare»). Riesce a essere consolatorio senza apparire predicatorio.
Saggiamente, nei suoi romanzi evita i grandi temi sociali e si concentra su quel che nell’Ottocento si chiamava il “cuore umano”, il sentimento genitoriale e quello amoroso – si pone le domande che occupano la nostra vita e che gli intellettuali stupidamente snobbano («amo ancora mia moglie ?»). Così facendo, magari senza proporselo, interpreta meglio di tanti libri “da premio” lo spirito del tempo: ora le persone hanno bisogno di credere a ciò che è positivo, ma anche di credere che non si stanno illudendo.
Il lieto fine è commercialmente obbligato per un romanzo che voglia essere di successo, però adesso Volo sa che lo smaccato happy end non sarebbe credibile e si inventa un quasi-lieto fine: l’amico non saprà mai se è sterile o no ma intanto avrà un figlio, al protagonista l’amore per la moglie ritorna grazie al tradimento sia di lui che di lei, la vicinanza col padre sarà ottenuta solo dopo la sua morte con un recupero d’infanzia («un giorno da bambino gli ho chiesto di volare per me, mi ha risposto che non sapeva farlo; ero convinto che si sbagliasse»).
Qui il romanzo indovina qualcosa di più ampio e simbolico, Volo accarezza i suoi lettori per il verso del pelo ma accarezzandoli sente la temperatura della pelle: il vero sogno proibito della maggioranza, oggi, è sperare che la novità coincida con un ritorno al passato e che il mutamento profondo possa risolversi nella rivelazione che qui viene fatta al nostro Paolo dalla psichiatra yoga: «Vai bene così come sei».
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