Di fronte all’ennesima figuraccia, Fedez ha deciso di tornare nella sua comfort zone, quella degli zarri che amano sia la discoteca sia il rap. Come diceva David Foster Wallace, «l’hip hop è un modo per governare all’inferno. E per governarlo devi essere rispettato e guadagnare una reputazione». Ma quale inferno può cantare oggi Federico?
In pochi lo ricorderanno, Fedez nel 2019 fece delle stories in cui mostrava i libri che stava leggendo. C’era Hollywood, Hollywood! di Charles Bukowski, Scritti sul rock di Nick Kent e - sorpresa - Infinite Jest di David Foster Wallace (chissà se aveva sottolineato una delle citazioni più celebri del romanzo, «Ci vuole un grande coraggio per dimostrarsi deboli»…).
E dopo cinque anni di occupazione massiccia e schizofrenica dello spazio di interesse pubblico, dal gossip alla politica, da parte del rapper Federico Lucia, è proprio a D.F.W. che dobbiamo tornare per capire chi è oggi questo, forse, nuovo Fedez, uomo separato di 35 anni che si fa fotografare a Montecarlo con una modella di molti anni più giovane, fa rissa in discoteca ed è accusato di aver partecipato, fino a prova contraria, all’agguato sotto casa del personal trainer dei vip.
È davvero un ritorno alle origini, alle legge della strada da cui proviene (il blocco di Rozzano e le piazze di Buccinasco, capitali del nord della mitologia maranza), a quella «omologazione di periferia» da lui stesso citata nell’intervista a Belve? Vale davvero il tormentone «Puoi togliere Fedez da Rozzano, non Rozzano da Fedez», o forse è solo l’ennesima operazione di marketing mediatico?
Comfort zone
In un mondo in cui la reputazione è tutto, cosa fare quando la tua è completamente sputtanata se non tentare di riposizionarti tornando in quel luogo già famigliare dove la cattiva reputazione vale di più di quella buona?
Quando quella sinistra, da Roberto Saviano a Beppe Sala, che per un attimo si è sentita “fedezziana” - per la foto strappata di Galeazzo Bignami in divisa nazista, il discorso in difesa del ddl Zan, il bacio a Rosa Chemical - gli ha voltato le spalle di fronte all’ennesima indifendibile figuraccia, Fedez ha deciso di tornare nella sua comfort zone, quella degli zarri che amano sia la discoteca sia il rap.
Contando nell’abbraccio al figliol prodigo di una comunità identitaria che oggi più che mai influenza i trend del mercato: se in Italia uno come Baby Gang può diventare primo in classifica degli album più venduti direttamente dal carcere in cui è rinchiuso, se la canzone di Shiva, un trapper accusato di tentato omicidio, in cui parla delle “sue prigioni” è il singolo più ascoltato della settimana, è comprensibile che Fedez tenti una terza via insieme al compagno di giovinezza e sfide d’improvvisazione Emis Killa con la canzone Sexy Shop (ambizione di tormentone estivo, è presto per dirlo, ma in giro c’è roba più forte).
nuova vecchia “strada”
Lo fa rivolgendosi a un nuovo pubblico, soprattutto di giovanissime, le stesse che l’altra sera affollavano lo spazio davanti alla console del Super Club Milano, locale scelto per festeggiare con un party l’uscita del singolo. Al microfono Fedez intrattiene la platea chiedendo «un urlo dei maschietti», in netta minoranza, e «uno delle ragazze», boato, e così commenta: «Vedete, questo sì che è un vero realase party, non come quello di certi rapper», facendo riferimento all’eccesso di testosterone che caratterizza le feste di quella giovane scena rap di cui non ha mai fatto parte, tanto meno oggi.
Infatti, a parte Emis Killa, il nuovo tatuassimo amico Taxi B, il vincitore del talent di Netflix “Nuova Scena” El Matador, Villabanks e Sacky, unico rappresentante dell’onda trap delle seconde e terze generazioni, non c’è traccia di altre star, tipo Lazza, Ghali o Gué.
I più fotografati della serata sono i testimonial di un altro mondo di mezzo, in cui la cattiva reputazione è un valore aggiunto, e dove “vale tutto” purché se ne parli: Giuseppe Cruciani e gli influencer Filippo Champagne e Nevio Lo Stirato, protagonisti dello show radiofonico di Radio 24 La Zanzara, cult trash spesso ai limiti del reazionario in cui il tono populista dei talk di Rete 4 si mixa con le voci delle strada di proto rapper e gente della notte, e con discorsi da bar - politica, donne e ogni tanto calcio - dalla battuta volgare facile, meglio se politicamente scorretta.
Sembra di essere in una di quelle discoteche tanto in voga negli anni Ottanta, il Nephenta, un remake dei film dei Vanzina con il Commendator Camillo Zampetti pieno di tattoo che si aggira in un futuristico privé dove il dj vanta collaborazioni con la superstar Skrillex, si “sboccia” con cocktail a base del bibitone della cui marca è socio Fedez, e si svapa tra i tavoli chiacchierando della prossima vacanza a Ibiza.
Non ci sono i bodyguard ultrà, forse tenuti in panchina dopo il recente scandalo, e neanche la ragazza bionda della borghesia paparazzata insieme al rapper, ma ci sono copie più o meno simili, a prima vista, di lei e dei bodyguard. È questa la nuova vecchia “strada” che Fedez ha deciso di percorrere senza abdicare al ruolo di padre di famiglia: notturna, godereccia e poco patinata, tamarra e rap al tempo stesso.
L’inferno
Perché, e torniamo finalmente a David Foster Wallace, «l’hip hop, come tutte le sottoculture, è un modo per governare all’inferno, attraverso il proprio vocabolario, la propria sintassi, i propri gesti, la musica...»: lo scriveva nel 1989 insieme al compagno di Harvard Mark Costello nel breve saggio Il Rap spiegato ai bianchi. E, continua Wallace, «per governare all’inferno devi essere rispettato e guadagnare una reputazione, devi avere, comprare e ostentare».
La nuova Ferrari o la nuova fidanzata di Fedez non sono il segno di una crisi di mezza età - come ha scritto qualcuno nei commenti della sua pagina Instagram - ma il tuffo dentro al ritornello di una hit di Tony Effe, Miu Miu, cantata pure da giocatori della Juventus dopo la vittoria in Coppa Italia: «Miu Miu, Courchevel/ Tony, comprami la borsa/ Portami a ballare con te/ Estate a Saint-Tropez/ Voglio andare su uno yacht/ E fumare prima di farlo a tre».
Tocca domandarsi ora quale inferno può cantare oggi Federico, il suo non è lo stesso degli altri rapper, oggi quasi tutti poco più che ventenni: non è quello di Baby Gang, 22 anni di cui gli ultimi undici passati tra comunità e carcere, né di Simba La Rue, che fino a qualche anno fa si definiva «un criminale». Forse l’inferno di Fedez rimane il disagio psicologico che ha caratterizzato i suoi anni come compagno di Chiara Ferragni e che magari riuscirà a governare e gli darà finalmente una tregua.
Adesso infatti non deve più sentirsi inadatto a un mondo che probabilmente non ha mai sentito suo e può liberarsi da quel vittimismo passivo aggressivo che poco si confà a una pop star. Deve comunque stare attento e capire che oggi la strada e le sue leggi sono cambiate. Lo racconta bene il veterano Jake La Furia dei Club Dogo, oggi 45enne, in un’intervista a Rivista Studio del 2023: «Se tu ti poni come uno di strada, che ha a che fare con certa gente brutta, ma poi non hai il rispetto di quelle persone, non puoi fare altrimenti che andare in giro con il bodyguard perché appena vai in una discoteca dove ci sono dei veri tamarri, cercano di farti».
E lì, nel mondo di mezzo, non c’è nessuno che con un po’ di ironia ti dirà «dillo alla mamma, dillo all’avvocato». Lì il ragazzo ambizioso che aveva chiamato i paparazzi il giorno del suo primo appuntamento con Chiara Ferragni - come ci rivela Selvaggia Lucarelli nel suo best seller Il Vaso di Pandoro - non può usare la sua abilità nel manipolare i media: la famosa “credibilità di strada” non prevede tra le buone/cattive azioni quella di rispondere agli haters sui social.
Quanto a noi, osservatori curiosi e giudicanti della vita di una delle coppie, ora scoppiata, più famose d’Italia, varrebbe la pena ricordare la lezione di American Fiction, film premio Oscar, che ci mostra quanto siamo scorretti a pensare che ognuno debba stare al suo posto per non turbare i nostri sensi di colpa: Fedez in periferia, la Ferragni nella provincia lombarda, Geolier a Secondigliano e Baby Gang in galera.
E quindi evitare, come sta accadendo ora, di ritirare fuori vecchie canzoni di Fedez («sti genitori si lamentano/ La mandi in giro vestita da troia/poi piangi se le violentano», da Si muovono le… del 2010) per sottolineare che dal peccato originale “Born in Rozzano” non c’è scampo.
Certo, tutto torna e chiede il conto. Ma può offrire anche una possibilità di uscita e resurrezione.
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