- Umberto Eco oggi avrebbe compiuto novant’anni. Era nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932. E teneva agli anniversari. Ero, assieme ad altri amici, nella sua casa delle vacanze di Montecerignone quando, il 5 gennaio del 1979, ci disse di avere terminato il suo primo romanzo. Il nome della rosa.
- Chiunque lo abbia conosciuto, sa quanto Eco amasse scherzare. Molto seriamente. Suonando, non solo il flauto, ma la tastiera delle figure retoriche di comico, ironia, umorismo, parodia, sfottò.
- Per festeggiare questo suo non compleanno, La nave di Teseo pubblica opportunamente Filosofi in libertà, un piccolo Bignami, si potrebbe dire, della storia della filosofia in forma di filastrocca, un genere assai familiare fin dall’infanzia di Eco, assiduo lettore del Corriere dei Piccoli.
Umberto Eco oggi avrebbe compiuto novant’anni. Era nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932. E teneva agli anniversari. Ero, assieme ad altri amici, nella sua casa delle vacanze di Montecerignone quando, il 5 gennaio del 1979, ci disse di avere terminato il suo primo romanzo. Il nome della rosa. Che non s’intitolava ancora così. Uscì dal suo studio, scusandosi di non averci potuto intrattenere. Partì con una spettacolare raffica di barzellette.
Chiunque lo abbia conosciuto, sa quanto Eco amasse scherzare. Molto seriamente. Suonando, non solo il flauto, ma la tastiera delle figure retoriche di comico, ironia, umorismo, parodia, sfottò.
Quando al suo funerale, nell’inverno del 2016, Moni Ovadia ha raccontato una barzelletta che Eco stesso gli aveva raccontato (quella della fetta imburrata che cade e il rabbino ne studia le ragioni con la cabala – la trovate su YouTube), la folla si è sciolta in una risata liberatoria.
E il passaggio dalla tristezza al riso grazie al migliore interprete italiano dell’umorismo ebraico, ha semiotizzato nel circuito vita/morte, come meglio non si poteva, il funerale di Umberto Eco, enciclopedico raccontatore di barzellette. Così come era stato autore di copioni di varietà nella sua epoca di funzionario Rai, di indovinelli, di parodie celeberrime come il nabokoviano Nonita del Diario minimo, di altrettanto famose prese per i fondelli come la fenomenolgia di Mike Bongiorno, di anticonvenzionali prese di posizione a favore dei cattivi, sempre meglio dei buoni in letteratura, come L’elogio di Franti, il cattivo dello stucchevole Cuore di De Amicis.
D’altronde la risata ebraica ha radici bibliche, da Abramo e Sara che ridono di avere un figlio alla loro età, a Dio stesso, che crea la terra dopo ventisette tentativi falliti e dice «speriamo che tenga!» Ridere è salvifico. L’ebreo forse in cuor suo agogna, quando verrà il momento, di ridere con Dio. Ed Eco le barzellette le raccontava da Dio. Come fosse un attore, come i più bravi: Walter Chiari del Sarchiapone o Gigi Proietti di “Num me rompe il ca’”.
Si sa, perché una barzelletta funzioni, non ha tanto importanza cosa, ma come lo dice. È il barzellettiere che muove il riso. Con Eco, a cena o al bar, si passava dalla filosofia alla semiotica e da queste alle barzellette. In un continuum di sapere e di divertimento che ne fece un professore eccezionale e unico. Io, suo studente, venivo da un liceo classico di provincia bigotto e tristissimo, che mai avrebbe potuto farmi neppure immaginare e sperare che esistessero professori divertenti e seducenti come i migliori comici. Grazie alla sua incredibile memoria, Eco aveva sempre la barzelletta giusta. Per marcare e deridere ogni contesto. Dal più alto al più basso.
Filosofi in libertà
Per festeggiare questo suo non compleanno, La nave di Teseo pubblica opportunamente Filosofi in libertà, un piccolo Bignami, si potrebbe dire, della storia della filosofia in forma di filastrocca, un genere assai familiare fin dall’infanzia di Eco, assiduo lettore del Corriere dei Piccoli.
Ai testi si accompagnano talvolta delle argute, sapide vignette dell’autore, in armonia con il costume satirico espresso da testate come Candido e Il Travaso. Un esordio clamoroso, scritto tra il militare e l’università a Torino, a studiare assieme a Gianni Vattimo filosofia con Luigi Pareyson. Pubblicato in tiratura numerata di 500 copie, esce nel 1958 firmato con lo pseudonimo joyciano di Dedalus, per non compromettere la carriera accademica, in un ambiente poco spiritoso, cui il giovane Eco aspirava.
Questa nuova edizione è integrata dalla sezione “Scrittori in libertà”, dedicata a Proust, Joyce e Thomas Mann, tra i prediletti dell’autore. C’è tutto il gusto di Eco per il sapere e la sua trasmissione in forma di divertimento, anche fosse filastrocca, ritmo, gioco di parole.
L’imperativo con
i “se” rigetto tosto
Venghino venghino, cari signori,
nel baraccone d’Immanuello
dove la sintesi fatta a priori
spiega a puntino quel machiavello
onde dei dati confusi e sparsi
sotto una forma chiara e compiuta
vengono placidi a radunarsi
per far la cosa ben conosciuta!
Venghino! Un tallero vi fo pagare,
entrino e tocchino senza paura
questo volume chiaro e esemplare
dove si critica la Ragion Pura!
Qui Spazio e Tempo son le intuizioni
che mi permettono di collocare
le meschinissime mie sensazioni
che non saprebbero dove scappare.
Così inquadrate le metto in forma
per sola forza dell’intelletto,
dell’esperienza regola e norma,
legislatore bravo e perfetto!
Queste o signori le figlie mie:
dodici belle ed apriorissime
quadripartite categorie
che alla materia sollecitissime
porgono lucida esplicazione
grazie agli schemi trascendentali
che fanno opera di mediazione
con uno stile che non ha uguali.
Io poi dimostro come normale,
ch’esse si fondano senza eccezione
su quell’io penso trascendentale
inattingibile nell’intuizione!
Posta da parte la conoscenza
di quelle cose che tocco e vedo,
or domandatevi se vi sia scienza
del Dio nel quale peraltro credo.
Scienza, o signori, vana e fasulla,
perché i principi del mondo fisico,
causa ed effetto non valgon nulla
nel mondo astratto del metafisico!
E le mie forme, peraltro in gamba,
quando son vuote dell’intuizione
cedono il passo alla più stramba
antinomia della Ragione!
La soluzione mia è ben simpatica:
se mi tradisce la Ragion Pura,
voilà!, ricorro alla Ragion Pratica
con decisione breve e sicura.
L’imperativo che impone i “se”
come ipotetico rigetto tosto,
così che in seguito, e va da sé,
al categorico do il primo posto.
Poiché o signori, si dee sapere
che venerabile, con dignità
mi si presenta solo il dovere
di cui avverto la maestà.
Guardo le stelle alte nel cielo,
sento la legge dentro il mio cuore,
scende sugli occhi di pianto un velo,
commosso avverto dolcezza e amore.
Chi garantisce che il mio operato
tutto sollecito della virtù
sia un giorno infine ricompensato
se non l’Iddio che sta lassù?
E questo fatto, l’ultimo sfizio
voglio levarmi, mia cara gente,
e criticandovi pure il Giudizio
scopro la forza sua riflettente.
Posso pensare “dove va il mondo?”
ma poi mi calmo, ecco il perché:
perché con occhio calmo e giocondo
sul fil lo giudico del “come se”.
Queste mie critiche, cari signori,
venghino e vedano sinché la dura,
questa mia sintesi tutta a priori
con la Ragione Pratica e Pura!
Don Benedetto
vien dalla Campania
Don Benedetto vien dalla Campania
in sul calar del sole – e reca in mano
le quattro forme sole
in cui, siccome suole,
lo Spirito umano sua virtù dispiega
e fuse in una lega
con moto circolare le conduce,
l’un dall’altra deduce
con gran preoccupazion di distinzione
– e posta l’intuizione,
aurora dello Spirito solerte,
nel gioco suo fantastico diverte
l’animo in una cosmica armonia.
Ma come poi, via via,
la Storia sempre nuova gli richiede
di conoscere il mondo per concetti,
circolarmente i sogni suoi perfetti riporta dalla lirica visione
a quella riflessione
in cui logicamente la teoresi
fa i suoi problem palesi
e tutti li disserra
nella composta guerra
di vero e falso, gli internali opposti,
dai qual non si discosti
ogni saggio discorso di persone;
che se poi volizione
s’introduca nel gioco spirituale,
ecco che prende l’ale
con circolare moto istantemente
lo Spirto eticamente,
rivolto nel mediare il bene e il male.
O tu, forma Economica meschina!
per quanto tempo fosti tu negletta
quasi delle sorelle men perfetta,
quarta a venir, tapina,
rivolta all’immediato strumentale!
Ma con qual magistrale
risoluzion di saggio che si evolve
don Benedetto un giorno ti risolve
nella Vitalità,
categoria di grande dignità
che il cerchio tutto quanto
dello Spirto percorre
come in un soffio santo
di vita che per ogni dove scorre!
O libri di Laterza, qual successo
fu per ogni recesso
dell’itala cultura il vostro viaggio!
Non fu sofo né saggio
che ragionar volesse in vostr’assenza,
e fu tenuto a vile
quello spirto Gentile
che osò sottrarsi alla vostra influenza.
Quale chiara coscienza
voi deste della nostra libertà
nei dì della demenza,
nei giorni dell’oppressa dignità!
Ma nel circolo immenso della Storia
anche la vostra gloria
doveva avviarsi un dì al tramonto usato
per gli umani pensieri,
che rimangono veri
solo per quel che han dato,
e son frutti sinceri
solo se rinnegati
da quelli che li hanno assimilati.
Così la stessa idea di Spirto muoia
in un mondo di dialogo e persone
e comunicazione
postuli della tecnica il ritorno.
Diman tristezza e noia
recheran l’opre tue a chi quel giorno
attragga altra lettura
e alla Natura
abbia nel suo pensier fatto ritorno.
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