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Milano, nove e mezza del mattino, Giacinto Falbalas si reca smanioso in ufficio; oggi è un giorno cruciale in cui si gioca un pezzo della sua vita, o del futuro successo (che sono poi la stessa cosa).
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Ventisettenne (generazione ingrata), sta facendo uno stage presso un editore mainstream; la sua burbera dirigente è anche editor di alcuni scrittori famosi e oggi Giacinto ha deciso di sottoporle l’idea per un romanzo.
Milano, nove e mezza del mattino, Giacinto Falbalas si reca smanioso in ufficio; oggi è un giorno cruciale in cui si gioca un pezzo della sua vita, o del futuro successo (che sono poi la stessa cosa). Ventisettenne (generazione ingrata), sta facendo uno stage presso un editore mainstream; la sua burbera dirigente è anche editor di alcuni scrittori famosi e oggi Giacinto ha deciso di sottoporle l’idea per un romanzo. Un grande romanzo, ma non sa bene su cosa. Questi sono più o meno i suoi pensieri mentre cammina.
Se le propongo un memoir, o un’autofiction, o qualcosa su di me, mi dirà che è banale e che ormai lo fanno tutti… oggi bisogna scrivere contro l’individualismo, parlare a nome di una comunità che però io non ho… su una misconosciuta donna dell’Illuminismo figuriamoci, appropriazione culturale. (Gli gira la testa, si siede su una panchina di piazza Piersanti Mattarella). Ci vorrebbe un delitto, un cold case, quella mia vecchia idea su Garlasco e il porno ma è già stata sfruttata… la mafia vista da un settentrionale chissà… i polar sono la specola migliore per le magagne italiane, peccato non essere un black, l’horror afroamericano come denuncia del razzismo sistemico… l’indignazione, la rabbia, oppure un gesto disperato, sputare nel piatto dove mangio. Uno spietato atto d’accusa contro l’imperialismo delle major editoriali. Se non se lo scrivono da soli, io che ne so. (Passano due carabinieri della vicina caserma, un moro talmente muscoloso che la divisa gli scoppia sui trapezi).
Perfino la frociaggine, che ha dato da mangiare a tanti, non è più un tema… mi sento così poco fluido che mi si drizza appena Milena mi fa piedino sotto al tavolo… una roba sul sesso rischio di sembrare peggio di un boomer… e magari Godzilla la prende come un’avance. (Si accorge di aver cominciato a sudare). Eppure Milena, quando le racconto le mie storie, si diverte e mi guarda con quegli occhi. A Belleville le mie pagine sulla bomba scoppiata sotto l’Arco della Pace erano piaciute. I miei mi supportano ancora per tre anni… il mio cognome mi giova, così borderless… potrei parlare dei miei avi in Lengadòc … esotismo e tremore, ma allora sarebbe meglio in versi… la guerra non dura abbastanza, già sta stufando adesso.
Devo fare lo slalom tra tutte le mode, evitare come mucchietti di merda i trend più calpestati… per quanto, non so chi diceva a lezione che i veri classici attraversano proprio i luoghi comuni e li portano a perfezione… nominavano Ariosto. (Si è alzato, marcia verso via Parini col passo di un condannato a morte). Basta. Non posso fare la figura di quello ancora così incerto e insicuro. Vado e le racconto senza esitazioni la trama del robot… ma la sola frase che mi convince è «ho raggiunto totali distruzioni in un’area visibilmente connessa». Okèy, mi tiro bene i pantaloni sulle cosce, sentiamo Godzilla cos’ha da dire.
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