L’opera prima del regista cult di Inception esce in sala da noi in contemporanea con il suo ultimo Oppenheimer. Settanta minuti, in bianco e nero, girato in economia nel 1998, Following gioca sull’alterazione del tempo che diventerà il marchio di Nolan
Meccaniche celesti, le chiama Franco Battiato. Le meccaniche celesti, probabilmente – anche se travestite da prosaiche ragioni di mercato – portano in sala in contemporanea da noi il 23 agosto Oppenheimer, ossia l’apogeo del cinema di Christopher Nolan che batte bandiera Universal, e Following, noir d’esordio del 1998 di un autore che solo due anni dopo, con Memento, sarebbe diventato di culto. La distribuzione di Movies Inspired rende agli spettatori un grande servizio. Tanto per fare paragoni, è come poter accedere in contemporanea al Guernica del Museo Reina Sofia di Madrid e alle riletture giovanili delle Meninas di Velasquez custodite nel Museo Picasso di Barcellona. Se Oppenheimer è il Guernica di Nolan, la sua cattedrale, Following è il libretto di istruzioni. Mai però un libretto di istruzioni fu così denso, nei suoi 70 minuti di durata, e così seducente.
Low budget nel senso più radicale del termine, il primo lungometraggio del regista britannico allora ventisettenne sarebbe costato (storia o leggenda?) 6mila dollari: il costo della pellicola in bianco e nero da 16 mm, usata in estrema economia, provando ogni scena fino allo spasimo per non girare più di due ciak. E l’esordiente firma o co-firma tutto: sceneggiatura, regia, produzione, fotografia e montaggio.
Se le riprese sono durate nove mesi, come una gravidanza ordinaria, è perché impegnavano solo i weekend: durante la settimana i pochi sconosciuti attori, tutti non retribuiti, lavoravano altrove. È il tipo di cinema che fanno adesso i dissidenti iraniani: case prestate da amici e interpreti, esterni senza chiedere e pagare autorizzazioni. La famiglia ha dato una mano. John Nolan, zio del regista, ha il ruolo del poliziotto, breve ma cruciale, e tra le comparse c’è Emma Thomas, la sua futura consorte. Questo però è contorno, alone mitico. Conta la struttura del noir, l’alterazione inquietante del tempo che trasmigrerà in tanti film successivi.
Seguire gli sconosciuti
Following, tecnicamente, è la prima parola dei dialoghi. «The following it’s my explanation», dice il protagonista Bill (Jeremy Theobald, che sarà anche in Batman Begins) a un interlocutore invisibile. Sta raccontando la sua storia. Ma è una storia che non controlla, come non la controlliamo noi spettatori, salvo rimettere insieme i frammenti sparsi che progressivamente ci vengono somministrati. Nolan il suo pubblico lo pretende sveglio e con tutte le sue brave sinapsi in funzione. Bill è un aspirante scrittore povero in canna. Segue persone a caso, inizialmente per raccogliere materiale da romanzo. In sociologia si chiama shadowing, è una tecnica di ricerca. Quando diventa l’ombra di individui specifici, cominciano i guai. Lo sguardo che diventa tossico vuol dire ossessione, e l’ossessione imprigiona il ragno nella sua tela.
«L’azione stessa di guardare», dirà molti anni dopo il regista, «anche questo rappresenta una sorta di finzione, ci cala in una sorta di realtà virtuale». Smascherato da un tizio in giacca e cravatta (Alex Haw), che si presenta come Cobb e fa il ladro (esattamente come il Leonardo Di Caprio del futuro Inception) lo accompagna nella sua strana attività di topo d’appartamento. In apparenza per Cobb contano meno i soldi che la violazione di intimità. «Quando gli togli qualcosa di personale gli mostri quello che avevano»: è entrare, inquinandola, nella vita di qualcuno che non incontrerai mai.
È un esercizio adrenalinico quanto morboso: Bill porta il socio a “stuprare” la sua misera casa, senza dire che è la sua. La metamorfosi arriva per gradi, senza scossoni: il disoccupato impara che è utile vestire e pettinarsi bene come Cobb, assume il nome di una carta di credito che il suo quasi-sosia ha rubato, Daniel Lloyd, rimorchia in un club una bionda (Lucy Russell, anche lei tornerà in Batman Begins) legata a un tipaccio che spappola a martellate mani e crani dei nemici. Il paradosso è che non si può raccontare il resto senza spoilerare. Perché Following sulla carta è un thriller color pece ma rovista nel voyeurismo, nel feticismo, nello sdoppiamento di identità e in ultima analisi in un congegno diabolico di manipolazione di cui solo in dirittura d’arrivo cogli la portata. Ma gli indizi sono disseminati con certosina minuzia lungo il racconto.
Il cuore mindfuck di Nolan
Il punto è che questa opera prima è il grimaldello per entrare nell’universo mindfuck di Christopher Nolan. Mindfuck è una cosa che ti mette zizzania dentro il cervello.
In letteratura un esempio classico è Naked Lunch (Il Pasto Nudo) di William S.Burroughs. L’espressione è entrata con prepotenza nel lessico ordinario con una battuta di Arnold Shwarzenegger in Total Recall (Atto di forza): «It’s the best mindfuck yet!». Ma è un termine che si addice a Nolan assai più del solito jigsaw puzzle. Nolan non è certo il solo ad aver usato tecniche innovative di racconto. Con il Quentin Tarantino di Pulp Fiction ci sono anche, a far buon numero, l’Atom Egoyan di Exotica e il Mike Figgis di Timecode. Non è sua prerogativa lavorare sulla percezione rigorosamente soggettiva del tempo e sugli inganni della memoria. Se ci fate attenzione, accanto alla macchina da scrivere di Bill si intravede una copia dello Shining di Stanley Kubrick, altro film in cui passato, presente e futuro interagiscono. Following è semplicemente la forma limpida di un meccanismo che in seguito, e con molti più soldi, Nolan ha rischiato di aggrovigliare in labirintiche sciarade autoreferenziali. Può essere divertente arrovellarsi sulla trottola di Inception, che è (forse) la linea di demarcazione tra sogno e realtà.
Ma il suo Tenet, quel giocattolone ermetico da 205 milioni di dollari, giocava sporco. Banalmente, teneva ben nascosto l’indizio, cioè la chiave del plot. Non basta sapere che Tenet è un palindromo. Devi spiegare che hai organizzato la sceneggiatura facendo perno sul Quadrato Magico del Sator, l’iscrizione simbolica, rinvenuta anche a Pompei, che schiera su cinque righe le parole SATOR, AREPO, TENET, OPERA e ROTAS. Puoi leggerla da sinistra a destra e viceversa, dal basso in alto e viceversa: resta inalterata. È un palindromo al quadrato. Se sparpagli molte di queste parole nel film senza dichiarare la fonte stai truffando il tuo pubblico. A chi non provvede ad attrezzarsi in proprio resta solo una valanga di effetti speciali.
Bel risultato per un autore avvezzo alle nomination di qualità: Tenet agli Oscar ha ottenuto solo nomination tecniche. I puristi del Christopher Nolan Fan Club non mi ammetterebbero mai a far parte della combriccola. Ma un puzzle oliato, perfetto, un ingranaggio che decifri in tutte le sue componenti, è una gioia dell’anima. Sarà anche perchè agli jigsaw puzzle devo una gratitudine speciale. Sono stati un’arma capitale nella battaglia di mia madre contro l’Alzheimer: non potevano guarirla, ma l’hanno aiutata a tenerlo a bada.
E c’è un dettaglio nel rompicapo di Following che ti lascia inchiodato. Sulla porta dell’appartamento di Bill, scrittore disoccupato e sfigato, c’è uno sticker di Batman. Nella filmografia del regista, l’Uomo Pipistrello arriverà solo sette anni dopo. È un cortocircuito tra passato e futuro che solo a Nolan le meccaniche celesti cantate da Battiato potevano riservare.
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