Mike the Pies è un club di musica dal vivo e spettacoli comici di base a Listowel, nella contea di Kerry, sulla parte occidentale d’Irlanda. Di recente il locale ha pubblicato sui suoi canali social un breve frammento video del concerto di una band al tempo ancora sconosciuta. Il frontman è un giovane ragazzo dai capelli castani, indossa una camicia bianca, canta fissando il vuoto; sullo sfondo scuro e graffiato del piccolo palco si muovono quattro musicisti nel fiore degli anni – nessuno di loro sa niente del futuro che ha davanti.

È l’anno 2017, al muro si distingue un drappo di poster, sul palco una band chiamata The Fontaines sta suonando come gruppo di supporto davanti a un pubblico di venticinque persone. Sette anni dopo gli stessi ragazzi attirano la folla sotto i palchi di grandi festival come Glastonbury e nei locali delle città d’Europa.

I Fontaines D.C. stanno vivendo una stagione entusiasmante e l’ultimo album Romance – uscito a fine agosto per XL Recordings – sta trascinando il tour del gruppo data dopo data. La loro cavalcata però è cominciata qualche anno fa in club come Mike the Pies, ai tempi in cui si chiamavano The Fontaines. Solo successivamente i Fontaines D.C. hanno aggiunto al nome le iniziali di Dublin City, la città dove ha avuto origine la loro storia.

Dubliners 

Tutto parte da Dublino, capitale di leggendarie odissee, camminate svagate e canti di indipendenza. Carlos O'Connell, Conor Curley, Conor Deegan, Grian Chatten e Tom Coll, si conoscono da studenti durante gli anni del college: è da un comune amore per la poesia e la musica che nasce una delle avventure del rock underground più avvincenti degli ultimi anni.

All’epoca erano cinque appassionati lettori della prosodia bop di Jack Kerouac, della poesia beat di Allen Ginsberg, di cantori di versi irlandesi, di William Butler Yeats e di James Joyce, patrono dei dubliners sparigliati sulla terra. Da questo retroterra controculturale di visioni e pulsioni, prima ancora dei dischi sono venute fuori due raccolte di poesia auto-pubblicate dalla band: VROOM!, di ispirazione beat, e Winding, che ha un legame con i versi d’Irlanda e in particolare di Patrick Kavanagh.

Musicisti poeti

La vocazione dei Fontaines D.C. però non è quella della poesia: quello che vogliono è fare musica, suonare cupi e infranti, rauchi e post-punk, energici e innocenti. Così arrivano i primi singoli e le prime canzoni suonate dal vivo.
«È come se James Joyce, Seamus Heaney e Brendan Behan avessero formato una band» ha commentato ironicamente Michael Bradley degli Undertones. Forse Bradley voleva esagerare: nessuno dei Fontaines D.C. è Joyce, e VROOM! non rivoluzionerà la poesia irlandese. Il talento dei Fontaines D.C. è scrivere canzoni, comporre musica, setacciare strade nei dischi.
Il loro primo album, Dogrel (2019), prende il nome dalla parola doggerel – che si può tradurre come filastrocca, poesie burlesche, irregolari, facili. Una di quelle parole-mondo che ispirerà anche i Pixies quando nel 2022 pubblicheranno un album dal titolo Doggerel. Nel disco di esordio dei Fontaines D.C. non ci sono filastrocche, il suono della band è deflagrante e scuro, una scarica di energia e vibrazioni new wave riemerse da uno scantinato di polvere e oblio. L’anno dopo i Fontaines D.C. pubblicano A Hero’s Death, un album che li rende ancora più distintivi. L’intonazione della voce di Grian Chatten, le corrosive ipnotizzanti pennellate sonore, gli stridii di corda di chitarra, rendono le canzoni brevi manifesti per generazioni di indolenti.

Il sound 

Il sound e i dischi dei Fontaines D.C. arrivano nel momento e nel posto giusto, quando in Gran Bretagna si va diffondendo una rinascita del rock underground trascinato dalle sonorità di band come IDLES, Shame, The Murder Capital. Le chitarre sono grandi protagoniste di un ritorno di fiamma; batterie e bassi tornano feroci al centro del discorso. Tuttavia, ci sono elementi di diversità nel suono dei cinque girovaghi da Dublin City.

Nella vivace scena del rock indipendente britannico di inizio anni Venti, la musica dei Fontaines D.C. si è distinta per la versatilità che li ha messi in fuga da etichette troppo stringenti. I Fontaines sanno essere menestrelli slowcore, chiaroscuri punk e normcore, romantici tormentati e poeti teppisti, letargici smargiassi cantori della post-modernità. Anche la voce di Grian Chatten riesce a modularsi a seconda del momento. Per certi versi l’attitudine di Chatten ha richiamato accostamenti con il disagio esistenzialista di Ian Curtis dei Joy Division. Chatten però è il riflesso di un ventunesimo secolo meno epilettico e incontaminato di quanto non fossero gli inizi degli anni Ottanta. Il cantante dei Fontaines D.C. ha un carisma diverso da quello di Ian Curtis. Sul palco Chatten può essere glaciale, tormentato, adrenalinico, o un dio del rock, secondo le parole dell’attore irlandese Paul Mescal.

Chatten può cantare indifferentemente una cover di Lana Del Rey, con cui sogna di duettare dal vivo, o Let’s Get Lost di Chet Baker: i Fontaines D.C. riusciranno a farne una loro canzone. Forse è anche per questa capacità di contaminare preservando il proprio carattere e la propria personalità, se la parabola dei Fontaines D.C. continua la sua ascesa. Per Elton John sono attualmente la migliore band in circolazione. La loro musica è diventata un’ispirazione per giovanissime generazioni di musicisti.

Amore e oscurità 

I Fontaines D.C. cantano svariatamente l’amore e l’oscuro, una vaga nostalgia per la terra irlandese, attacchi di panico in metropolitana, fughe dalla pressione sociale, inni bianchi devoti a Dylan Thomas, spericolati rag di parole. Inoltre, hanno un enorme talento melodico: gli riesce di tirare fuori la melodia dal bozzolo rauco di frastuono e rumore.

Nel terzo album Skinty Fia il gruppo aveva affilato gli artigli melodici con un singolo esplosivo e radiofonico come I Love You, che dietro la patina di canzone d’amore nascondeva un canto di disillusione politica per l’Irlanda e i due grandi partiti Fine Gael e Fianna Fáil. I Love You è la prima canzone politica dei Fontaines D.C., il gruppo diventa ancora più politico quando lancia messaggi e si schiera per il cessate il fuoco immediato su Gaza, e ci ricorda la forte affinità irlandese con il popolo palestinese.

Nell’ultimo album Romance la produzione di James Ford (Arctic Monkeys) allarga e pulisce lo spettro del suono dei Fontaines D.C. e contribuisce a renderli ancora più popolari, tanto che il tour continuerà fino all’estate del 2025 tra festival e concerti. 

Nel nuovo disco troviamo pezzi corrosivi come Starbuster, e una canzone che ha il suono di un inno generazionale, In The Modern World. Scritta durante una fuga dalla cappa che provoca la fama, In The Modern World è una prova di assoluto talento per i Fontaines D.C., il canto perfetto per uomini e donne in evasione dalla contemporaneità, un pezzo che si attacca alle pareti del cervello e pertanto si moltiplica.

In the modern world I don't feel anything: nel mondo moderno non sento niente. Grian Chatten canta ed è il momento in cui rievoca meglio il nichilismo dei vecchi tempi, il momento in cui il disco torna a brillare sporco come un segreto sussurrato o una dolce infezione. E al Mike the Pies fanno festa a ricordare quei giovani sconosciuti che facevano tuonare le chitarre con i loro cuori colmi di irishness e birra.


 

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