È tra le chiavi del nostro futuro ma per molti resta ancora una chimera. Un libro fotografico dedicato al recupero dei metalli prova a fare il ritratto all’economia circolare
La più grande urgenza di questo nostro tempo, e cioè la crisi ambientale, è davvero irreversibile? Rischiamo realmente una visione tutta antropocentrica come avverte Pietro Ruffo nel suo Ultimo meraviglioso minuto in mostra in queste settimane al Palazzo delle Esposizioni di Roma? E ancora, di fronte alla più titanica delle imprese cosa può il singolo cittadino, il capitano d’industria, lo spedizioniere, l’artista? Il fotografo?
«Amiamo i prodotti dell’ingegno umano, anche quelli che hanno concluso il loro ciclo di vita» dicono Simona Kontogouris e Federica Fiori del Gruppo Fiori di Bologna, tra le principali realtà nazionali nel settore del recupero dei materiali ferrosi. «E per raccontare questa nostra visione abbiamo stavolta scelto di ricorrere all’arte contemporanea. Un linguaggio che forse più di altri è oggi capace di tradurre realtà economiche e indicazioni etiche in percezioni sensoriali profonde, e perciò universali».
Da qui siamo partiti per far nascere The Iron Age, un lavoro fotografico dedicato a questo importante comparto dell’economia circolare che utilizza la fotografia per una narrazione capace, più che offrire risposte, di stimolare domande e riflessioni.
La traiettoria
Chi ci minaccia? Il nostro modello di sviluppo, che troppo a lungo ha puntato a una crescita soltanto quantitativa di merci e servizi senza tenere conto delle conseguenze sugli ambienti naturali. Acqua. Aria. Terra. Le altre forme di vita.
Quanto tempo abbiamo per invertire la rotta? Poco. Dobbiamo migliorare i processi produttivi, fare ricerca, abolire o almeno diminuire gli sprechi, essere più lungimiranti.
Cos’è mai questa economia circolare? Sostanzialmente è un modello di produzione e consumo basato sul riutilizzo, sulla riparazione, su ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti lavorati e reintrodotti nel ciclo produttivo.
E perché mai recuperare e riciclare metalli giunti a fine vita? Semplicemente perché se ne ottengono di nuovi, al contrario del passato, senza nessuna attività estrattiva. Senza fare nemmeno un buco. Per questo tale attività industriale viene definita “una miniera moderna”, al pari di altre nella nostra società poco conosciuta nel suo funzionamento e nella sua pubblica utilità. L’intera filiera lavora infatti fuori dai riflettori, l’apprezzamento sociale non arriva o arriva troppo poco e di conseguenza i decisori politici non prestano l’attenzione necessaria. Insomma, facciamo tutti troppo poco. E ci vuole più attenzione su un tema così importante.
Davanti agli occhi
Ma eccole, davanti al mio obiettivo: piramidi di automobili rottamate, colline di radiatori, alture di rubinetti. Decido di fotografarle tutte di notte, per offrire una visione il più possibile inusuale di queste montagne di rifiuti metallici, ma soprattutto per aprire il campo a una lettura metaforica e interpretativa delle immagini. Relitti nel buio, bagliori nella notte, quasi scheletri di una civiltà moribonda o almeno che rischia l’estinzione per i suoi stessi errori.
Usando luci artificiali come flash, illuminatori a LED e le potenti lampade degli impianti industriali che le custodiscono per la lavorazione (separazione, frantumazione e rivendita finale agli altiforni), per un anno ho trascorso tante notti cercando di dare vita a quei metalli, duri ed inerti per definizione, alla ricerca di una voce, di un profilo umano, di un riflesso che evocasse un sentimento, di una composizione appropriata, insomma di un ritratto a un mondo lucido e minerale, in una parola estraneo.
Lavorando fianco a fianco con un curatore del calibro di Francesco Zizola, autore pluripremiato e vincitore tra l’altro del prestigioso World Press Photo, abbiamo incluso anche fotografie scattate al di fuori degli impianti industriali di lavorazione dei metalli, oltre che nel mio studio, come scatti eseguiti nelle miniere di ferro e rame oppure nei musei universitari, per accennare al lungo viaggio dei metalli strappati alla terra per soddisfare i nostri scopi prima di diventare rottami. Un viaggio antico come la storia dell’uomo, che affonda le sue origini nella notte dei tempi – l’Età del Ferro, la prima – di nuovo quel buio che ritorna e che accompagna la narrazione del libro.
The Iron Age, pp. 72, Yogurt Editions 2024, 24 euro (BookDesign: Melissa Pallini, Art Director: Francesco Zizola, Text: Francesco Zizola) https://yogurtmagazine.com/
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