La copertina dell’inserto Finzioni del mese di novembre sarà firmata da Francesco Poroli, illustratore, art director. Ha collaborato con testate come The New York Times Magazine, Wired, GQ e Il Sole24 Ore e con clienti di fama internazionale come Google, adidas, NBA, Red Bull, Apple e Lamborghini.

Ha esposto i suoi lavori in collettive a Milano, Roma, New York, Londra e Vicenza, ricevendo premi dalla Society of Illustrators di New York e dalla Society of Publication Designers. Autore del libro Like Kobe, è anche direttore artistico di Illustri Festival, speaker TEDx e docente presso IED Milano e Domus Academy.

Quando ha capito che l’illustrazione sarebbe diventata la tua professione? È stato un percorso graduale o c’è stato un momento in particolare?

Certe volte mi chiedo se l’ho mai capito davvero. Ho un percorso tortuoso alle spalle, fatto da studi umanistici e letterali, mille lavori e molti anni di grafica pura, prima di far diventare l’illustrazione il mio fortunatissimo modo di pagare le bollette.

Per questo ancora oggi mi capita di pensare che magari tra uno, due, cinque anni farò un altro lavoro. Il più classico caso di sindrome dell’impostore. Se però dovessi indicare un momento preciso, direi quando - poco più di dieci anni fa - ho firmato una copertina per The New York Times Magazine: lì ho pensato, per la prima volta, che i disegni potevano davvero diventare un lavoro.

Da quando ha iniziato, il mondo digitale e i social network sono diventati fondamentali per il lavoro di un illustratore. Come vive questa evoluzione? Pensa che abbia cambiato il modo di lavorare o di presentarsi?

Rispetto a dieci anni fa i social network hanno cambiato il modo di promuovere il nostro lavoro e, in alcuni casi, la nostra identità. Quando ho iniziato a fare l’illustratore c’era giusto un neonato e ancor poco frequentato Facebook, oggi è tutto molto diverso. Credo che i social siano un’arma a doppio taglio. Da un lato ti offrono, evidentemente, un palcoscenico, una vetrina, uno spazio che un tempo era impossibile immaginare, dall’altro però rischiano di farti sentire obbligato a dire sempre qualcosa, per la paura di non restare visibile.

Reggere l’urto e mantenere un equilibrio in un gioco come questo credo sia complesso, specialmente per i più giovani. Quando mi chiedono qual è la mia ricetta per gestire i social network, di solito rispondo con una parola: sincerità. Posto se ho qualcosa da dire, quando ho qualcosa da dire. E uso i social anche e soprattutto per creare relazioni, che sono la vera ricchezza dei nostri giorni, qualunque lavoro tu faccia.

Ha collaborato con brand e testate internazionali molto importanti, ma c'è un progetto in particolare che le ha fatto rivedere il suo approccio all'illustrazione o che ha avuto un impatto speciale su di lei?

Ogni lavoro è un viaggio e ogni viaggio porta con sé nuovi compagni. Per dire che non c’è per forza differenza nel collaborare con un brand grande o piccolo, con una testata locale o internazionale: fino a quando la storia che ti viene affidata ha la capacità di risvegliare una scintilla in te, allora tutto funziona.

Ogni volta che qualcuno ti affida la sua storia e ti chiede di sintetizzarla in un’immagine, compie un atto di fiducia nei tuoi confronti e ti pone davanti ad una straordinaria responsabilità. Dovessi citare un unico progetto, ma per il sapore di soddisfazione personale che ha avuto per me, citerei probabilmente il francobollo che ho disegnato per Campari, per festeggiare i 160 anni dell’azienda. Essere chiamato a fare parte di una lista che comincia con Depero, Dudovich e Cappiello e vederla continuare con “Poroli” è stato un piccolo momento di non trascurabile felicità.

Il tema di questo mese per l'inserto Finzioni è “ELASTICA". "Elastica" evoca la capacità della mente umana di adattarsi alle pressioni, ma anche i suoi limiti: come un elastico, può tornare alla forma originale, ma se troppo sollecitata rischia di spezzarsi. Come ha tradotto questo concetto visivamente?

Ho provato a piegare le mie linee geometriche al concetto di elasticità, cercando di riflettere anche su quanto sia importante – nel mondo complesso che viviamo ogni giorno – essere elastici e non rigidi. La nostra capacità di adattamento e comprensione dipende in buona parte anche da quanto siamo e saremo in grado di essere elastici di fronte alle domande che i nostri giorni ci pongono.

Ha esposto in città come New York e Londra e ha lavorato con clienti internazionali. Da quando ha iniziato a lavorare all'estero, ha notato un cambiamento nel modo in cui viene percepito professionalmente in Italia? Pensa che lavorare fuori abbia aggiunto a tutti gli effetti prestigio al suo percorso?

Credo che almeno all’inizio abbia fatto un po’ di differenza, soprattutto grazie alla generale esterofilia del nostro Paese. “Ce l’hai fatta a New York? Ok, allora sei pronto per Milano”. Questo era il sottotesto. Ora non vedo più così tanta differenza tra estero e Italia: ci sono ottimi e pessimi clienti sia al di là che al di qua dell’oceano. Oggi il mio mercato è quasi esclusivamente nel nostro Paese e, in dieci anni, è molto cambiato il rispetto che viene riconosciuto alla nostra professione.

In qualità di presidente dell’Associazione Illustri e direttore artistico di Illustri Festival, come vede l’evoluzione del panorama dell’illustrazione in Italia?

La sensazione che ho è che ci sia una quantità notevole di talento in Italia. Ogni anno scopro talenti incredibili e li vedo affacciarsi sulla scena: basti pensare che nell’ultima edizione di Illustri Festival, conclusa a fine settembre, sono stati coinvolti in mostre, eventi e attività quasi duecento illustratrici e illustratori – dal maestro Beppe Giacobbe, classe 1953, fino alla studentessa ventiduenne appena uscita dalla scuola. È un panorama in continua evoluzione che non si stanca di sfornare cose buone e credo che per la qualità ci sia sempre posto.

Insegna allo IED e alla Domus Academy: qual è la lezione più importante che desidera trasmettere ai tuoi studenti o quella che ritiene fondamentale per chi vuole intraprendere questa carriera?

Ci sono molte cose che non mi stanco di ripetere ai miei studenti. Mi piace ricordare loro che il segreto di diventare un buon disegnatore è soprattutto trovare un proprio modo di dire le cose, di tradurre il mondo intorno a noi. Sviluppare la propria voce, il proprio linguaggio è decisamente più faticoso ma anche altrettanto più divertente che inseguire la moda del momento.

Il mio amico Riccardo Guasco dice una frase perfetta al proposito: è molto più importante essere felici che belli, le mode passano, la felicità resta. Credo riassuma perfettamente il tipo di approccio che sia ideale avere se si vuole fare illustrazione: sempre fare ricerca, anche dentro sé stessi, sempre. La seconda cosa che credo sia fondamentale trasmettere è ricordare sempre che siamo professionisti, prima ancora che artisti.

L’ispirazione è roba da dilettanti, i professionisti sono quelli che vanno al lavoro tutti i giorni. In questo senso ricordarsi sempre che l’illustratore non è qualcuno seduto sotto un albero a mangiare fragole e champagne mentre aspetta che una mela gli cada sul capo suggerendo un’idea. Un illustratore è qualcuno che impara a disegnare cose che non avrebbe mai pensato di disegnare e a farlo nei tempi concordati, perché rispettare una scadenza è cento volte più importante che fare il disegno perfetto. Anche perché il disegno perfetto non esiste. 

A cosa sta lavorando in questo momento? C'è qualche progetto interessante di cui puo parlarci?

Sono al lavoro su molti progetti diversi, che spaziano dalla comunicazione agli eventi, dalla pubblicità al packaging. E poi, come tutti gli illustratori, mi impegno per ritagliarmi un po’ di spazio per la mia ricerca personale. A furia di disegnare sempre per gli altri, spesso capita di aver bisogno di tempo per disegnare per sé o anche solo per il semplice piacere di farlo. A fine novembre a Milano sarò a PawChewGo, l’ormai classico weekend di mostra mercato ed eventi di illustrazione che si terrà a Base Milano (30 novembre e 1 dicembre): mi sono ripromesso che, per quella data, devo arrivare con un carico di cose nuove da mostrare a tutti.

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