Il giorno 19 settembre 2024, alla Camera dei Deputati, con voto unanime, della maggioranza e dell’opposizione, è stato votato la Pdl Mulè, istituendo con tale provvedimento la Giornata da dedicare alla memoria degli internati militari italiani. Il testo è passato al Senato, dove è stato approvato in Commissione lo scorso ottobre. 

L’istituzione di questa giornata pone molti interrogativi; come sostenuto da più parti, i punti di criticità nel merito alla legge non sono dei dettagli, ma sono discussioni storiografiche dibattute dagli storici ormai da anni, che hanno visto esprimersi i migliori studiosi italiani e europei, e più volte condivise in pubbliche iniziative da rappresentanti delle istituzioni locali e regionali al di là di qualsiasi appartenenza.

Il rischio di depotenziare

Istituire una giornata specifica per gli Imi, non vuol dire automaticamente valorizzarne la memoria, anzi il rischio è proprio il contrario di depotenziarla, come ci insegnano tanti esperti asserendo che la moltiplicazione di queste giornate, fa perdere il senso dell’importanza e dell’unicità di quel determinato avvenimento storico. Ci dobbiamo quindi aspettare altre giornate della Memoria: dei civili innocenti, dei lavoratori coatti, delle vittime delle stragi nazifasciste, degli omosessuali etc. La frammentazione aiuta la comprensione?

Il testo di legge sembra andare proprio in questo senso, oltretutto mettendo insieme militari e civili le cui storie di deportazione sono completamente diverse. Crediamo che il modo migliore per rispettare quegli uomini che hanno sacrificato una parte importante della loro vita per il bene comune sia quello di attenersi alla loro storia e alle loro idee, politiche e umane.

La deportazione

Per decisione di Adolf Hitler il loro status cambiò da prigionieri di guerra a internati militari che comportò una deportazione durissima, poiché la loro nuova posizione li escludeva dal diritto all’assistenza della Croce Rossa Internazionale e permetteva di impiegarli anche nell’industria bellica.

Era una scelta volontaria nella cui accezione ci sta, in primis, il rifiuto al fascismo, conducendo una battaglia senza armi, reiterando il no al nazifascismo, affrontando quotidianamente condizioni di sofferenza, in particolare riportiamo Gerhard Schreiber, storico tedesco: «Era evidentemente una denominazione scelta per trarre in inganno, che stava a significare un contributo formale alla stabilizzazione della posizione politica di Mussolini all’interno del paese. Ma in pratica gli italiani durante l’internamento, contrariamente alle affermazioni della propaganda nazionalsocialista, non si videro in una posizione migliore, bensì in genere peggiore di quella dei prigionieri di guerra di altre nazionalità e a volte persino di quella dei prigionieri sovietici».

La loro prigionia fu il frutto di una vendetta che è continuata come uno stillicidio nei lager del Terzo Reich: non più considerati uomini, ma schiavi della macchina bellica nazista, sottoposti a umiliazioni, a fame disperata e al lavoro forzato per i soldati semplici e i sottufficiali.

Nei primi mesi di prigionia gli Imi furono pressati per essere reclutati come volontari per la Rsi o per le SS e la Wermacht. La propaganda fu svolta sia da esponenti fascisti che nazisti che puntavano non tanto su argomentazioni ideologiche, ma mettevano in risalto le misere condizioni degli internati e promettevano un livello di vita migliore a chi avesse optato.

Da un punto di vista bellico fu una scelta che favorì la sconfitta dell’esercito tedesco, considerando che, se oltre 600.000 soldati italiani avessero aderito a continuare la guerra nelle SS o nell’esercito fascista della Rsi sicuramente sarebbe ritardata la fine della guerra con un ulteriore sacrificio di vite umane.

Se poco si è parlato di come il sistema di sterminio passava anche attraverso il lavoro coatto a cui furono destinati gli Imi, ancora meno si è fatta ricerca di quanto il programma Aktion T4 interessò anche gli internati militari italiani. Ci sono liste di vittime italiane, tra queste anche degli IMI, che per i nazisti erano deceduti di malattia, mentre alcuni studi effettuati negli archivi di Heppenheim, Hadamar e Hartheim, dimostrano che la loro morte arrivò a causa di sperimentazioni mediche di diversa natura, attraverso il programma di eutanasia 14f13 che sostituì il T4 nella seconda fase di applicazione.

Una scelta morale

La loro fu una scelta che lo stesso Schreiber definì come ideologica, morale e per certi versi politica, una completa negazione di ciò che era stato il ventennio fascista e l’entrata in guerra dell’Italia accanto alla Germania.

Nei lager nazisti combatterono una battaglia senza armi di sofferenza e di morte, avendo la consapevolezza di aver fatto una scelta giusta e ripetendola più volte: un no che ha negato loro la libertà, un no alle offerte degli emissari della Rsi per evitare di partecipare sul fronte bellico contro le forze alleate e contro le brigate partigiane e in alcuni casi ai numerosi eccidi di civili perpetrati durante l’occupazione nazifascista in Italia.

Con questo ricordo storico vogliamo ancor più affermare che la loro opposizione al nazifascismo sta nella Scelta Antifascista, nella plurale Resistenza i cui riconoscimenti stanno nelle celebrazioni in cui si ricordano tutti coloro che ai regimi si opposero, in modi diversi o ne furono vittime.

L’eminente storico Giorgio Rochat stesso dice «che la loro resistenza aveva uno straordinario valore politico-morale: erano i più giovani cresciuti nel regime fascista che lo rifiutavano a prezzo della vita…uomini che avrebbero potuto sottrarsi alla dura prigionia, e invece l’accettarono per rompere con il passato fascista».

Ciò che manca alla legge

Nell'iter di approvazione del testo di legge, la parola antifascismo è menzionata solo per descrivere le associazioni titolate a rappresentare la loro memoria. La legge cita il rifiuto di collaborazione con lo stato nazionalsocialista e la Repubblica sociale italiana (ci avrebbe stupito il contrario), ma sarebbe stato forse opportuno scrivere apertamente che la loro fu una scelta antifascista.

Oltretutto gli Imi, già con la legge 907 del 1977, la n° 75 del 1983, sono parificati ai Combattenti Volontari della Libertà d’Italia alla pari dei partigiani riconosciuti tali con i decreti luogotenenziali nel 1945. Ciò rafforza come il riconoscimento della memoria degli Imi sta a pieno titolo nella scelta antifascista e il loro ricordo nelle celebrazioni della Festa della Liberazione del 25 aprile.

Una giornata, seppur complementare a quelle esistenti, destinata esclusivamente alla loro memoria porta con sé il rischio di sottrarli alla Festa della Liberazione e questo significherebbe isolarli nuovamente: e viceversa, se così fosse toglierebbe alle celebrazioni del 25 aprile una pagina importante di Resistenza e di lotta antifascista.

La proposta potrebbe confinare la storia e il valore della scelta in un’unica giornata che ci sembra scollegata a iniziative nelle quali si ricorda e si fa memoria di una Resistenza antifascista al plurale.

Oltre a questa discussione sul merito, vi è anche una questione sulla sostanza pratica: il 20 settembre, in cui si invitano gli istituti scolastici a ricordare gli Imi, è a ridosso dell’inizio della scuola, quanti di loro avranno modo di attivarsi in così breve tempo? Un compito non facile anche per le amministrazioni pubbliche che dovranno ricordare questa data tra le 52 ricorrenze festive e civili. Il tutto naturalmente senza avere nessun tipo di incentivo economico dallo Stato come ben specificato nella legge stessa.

Aggiungiamo che con questa proposta di legge le Medaglie d’Onore agli ex internati non verrebbero consegnate il 27 gennaio o il 2 giugno, Festa della Repubblica, ma sempre il 20 settembre, sottraendo, anche in questo caso il riconoscimento che queste biografie sono alla base della nostra attuale forma di governo.

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