Da quando ho sottoscritto una carta di credito da ricchi vivo al di sopra delle mie possibilità. Vorrei essere una signora che fa villeggiatura a Forte dei Marmi, ma è un sogno infranto dall’Inps
Ho una carta di credito da persona ricca. L’ho sottoscritta da persona povera, in una carrozza economy di un treno che mi stava riportando a Milano dopo tre settimane di vacanze esemplificative della mia determinazione a vivere al di sopra delle mie possibilità. È un vizio che, da sociologa presso me stessa, mi sento di etichettare come generazionale: chi di noi non è ricco di famiglia sa che non possiederà mai niente di importante, tanto vale spendere tutti i nostri soldi in esperienze da raccontare alle cene, in lampade di design che diano un tono ai nostri minuscoli appartamenti, in candele di Diptyque a peso d’oro che tolgano il puzzo di sconfitta dai nostri bilocali.
La carta da ricca è subito diventata il correlativo oggettivo di questo mio anelito al benessere e da quando la possiedo e spendo con scioltezza soldi immaginari, nella mia vita si è concretizzata un’energia strana, che nell’ultima settimana ha aperto un varco spazio-temporale e mi ha trasportato in un universo in cui non sono io ma un’altra, nello specifico una signora benestante degli anni Sessanta.
Il mio sogno
Tutto è cominciato con un weekend a Forte dei Marmi, dove in occasione del Premio Satira diretto dal nostro Beppe Cottafavi, mi sono trovata alla Capannina – storico locale di Sapore di Mare – con i premiati, certo, ma anche con un’ottima fauna di avventori vintage e abbronzatissimi, abbastanza sicuri di sé da non scomodarsi a togliere gli occhiali da sole neanche al chiuso, neanche di sera. Il colore bruno della loro pelle si sposa bene con quello delle pellicce di visone che a Forte dei Marmi si vendono al mercato della domenica, insieme alle ciabatte di Hermès che noialtri percepiamo come calzature di lusso, mentre a Forte dei Marmi valgono un paio di Havaianas.
Mentre guardavo le signore marroni dai caschetti scolpiti nella pietra muoversi nel mondo con la leggerezza di chi ha appena passato quattro mesi al mare con l’unico pensiero di finire il Bartezzaghi, avendo peraltro così poco da fare da dedicare un sabato sera di settembre a un premio dove un comico romano fa battute sulla stitichezza della propria madre, pensavo che tutte le mie altre ambizioni precedenti – velleitarie, meschine, piccole – lasciavano istantaneamente il posto a un nuovo sogno: diventare così.
Scala e fashion week
Purtroppo il sito dell’Inps ipotizza, con ottimismo, che andrò in pensione a settant’anni, quindi prima che potessi lasciare il fidanzato e andarmi a cercare un marito anziano industriale, sono tornata a Milano, dove la settimana da signora benestante degli anni Sessanta sarebbe presto continuata il mercoledì sera alla Scala. Qui l’illusione di ricchezza, ostentatamente alimentata dal programma cartaceo del Lago dei cigni che sul retro riportava una pubblicità di Rolex, si è infranta nella piccionaia in cui avevamo i nostri posti, ma questo non mi ha impedito di sentirmi preziosa, né di commuovermi con Čajkovskij fingendomi melomane, mentre dentro di me in realtà rivedevo il finale di Billy Elliot.
Poi è iniziata la settimana della moda e non c’è niente come la settimana della moda per sentirsi una pezzente, oltre che un cesso. La città si riempie di persone alte e molto giovani, i social sono invasi da vestiti bellissimi che non posso permettermi e nessuno mi invita mai da nessuna parte, riducendo a zero le possibilità di indossare gli stivali di Prada di vernice rossa comprati in un momento in cui non solo mi percepivo ricca, ma anche dotata di una personalità completamente diversa dalla mia.
Tuttavia, sempre posseduta dallo spirito dell’American Express, ho deciso di contrastare il piccolofiammiferismo dettato dalla Fashion Week portando il fidanzato a cena in un posto chic, così chic che detiene l’esclusiva italiana su un certo tipo di tonno molto costoso, ci informano subito. In bagno ho trovato intanto il correlativo oggettivo delle aspirazioni generazionali di cui sopra, il sapone per le mani di Aesop, che costa al chilo come il tonno esclusivo, ma a differenza del tonno si può trovare in molte delle nostre case mono-esposte. Dopo aver mangiato il tonno di lusso, ho tradito lo spirito della signora tornando a casa con l’autobus.
La cura
Mentre il giorno dopo raccontavo della mia settimana da Principessa di Stocazzo, un’amica mi ha confessato di essere dipendente dal Ramsey Show, un podcast che l’ha risucchiata su TikTok, in cui gente indebitata per centinaia di migliaia di dollari, spesso proprio a causa di un uso un po’ disinvolto della carta di credito, chiama in trasmissione per avere consigli finanziari di una banalità sconcertante, che potrebbero riassumersi in “magna de meno”.
Così quello che poteva essere un utile monito di anticipazione al mio prossimo estratto conto, si è rivelato il viatico per l’autoassoluzione: di fronte alle storie di persone che con stipendi a cinque zeri non riescono a pagare le rate della macchina mi sono sentita una risparmiatrice assennata e lo spirito della signora benestante ha lasciato il mio corpo. Di lei è rimasto un alone luminoso, diffuso da una lampada di design.
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