- «Il collezionista può viaggiare a suo piacimento nel tempo per passeggiare e conversare con i grandi filosofi greci, con gli imperatori della Roma antica», scrisse J. Paul Getty nel libro Le gioie di collezionare.
- Paul Getty ed io siamo partiti, economicamente e culturalmente, da scenari opposti. Avrei sognato anche io il mio primo milione di dollari a soli 23 anni ma purtroppo nella mia terra non c’era possibilità di cercare il petrolio.
- Mi piacerebbe riuscire a dare una svolta alla collezione. Esporla in un museo privato. Conto che la “mia” Milano accolga questo sogno e lasci che diventi realtà.
«Il collezionista può viaggiare a suo piacimento nel tempo per passeggiare e conversare con i grandi filosofi greci, con gli imperatori della Roma antica, con esponenti più o meno illustri di civiltà da tempo perdute, ma che vivono ancora attraverso gli oggetti appartenenti alla sua collezione».
Queste sono le parole che scrisse nel suo libro J. Paul Getty, Le gioie di collezionare, ora pubblicato in italiano da Johan & Levi, a più di sessant’anni dalla prima edizione inglese. È un testo che trova terreno fertile per la sua uscita: mai come ora abbiamo la necessità interiore di sentirci ispirati. Un racconto che passa con disinvoltura dalla narrazione storica alle mille avventure che il collezionismo porta con sé.
In punta di piedi
Paul Getty ed io siamo partiti, economicamente e culturalmente, da scenari opposti. Avrei sognato anche io il mio primo milione di dollari a soli 23 anni ma purtroppo nella mia terra non c’era possibilità di cercare il petrolio e il mio interesse era totalmente orientato agli studi per diventare avvocato che mi appassionavano allora come oggi.
Mi avvicinai all’arte agli inizi degli anni Novanta e lo feci in punta di piedi, per colmare un mio bisogno intimo. Non mi vergogno a raccontarlo, del resto sono persuaso che ognuno di noi abbia le proprie carenze, ed ecco che allora l’arte, consciamente o inconsciamente, interviene a sorreggere l’animo del collezionista proprio nel suo momento di maggiore fragilità.
Trovare il calore umano
Jean Baudrillard scriveva: «Si colleziona sempre il proprio io». Nel mio caso quello che cerco nelle opere è l’essenza e il calore umano che esse promanano; ho scelto di custodire le angosce, le preoccupazioni, le gioie e le contraddizioni che caratterizzano l’uomo. All’inizio della mia ricerca, leggevo tantissimi libri di storia dell’arte; ero attratto dall’arte italiana tra le due guerre, in particolare da quegli artisti che esprimevano, senza vincoli e paletti, né pittorici, né di contenuti, la totale libertà di espressione. La questione non era banale, perché nel ventennio fascista anche l’arte era condizionata.
Ecco allora che, se da un lato ammiravo la grande qualità delle tele di Sironi, Tosi e Funi, solo per citarne alcuni, dall’altro mi chiedevo come potessero questi artisti, peraltro tra i più famosi dell’epoca, in un periodo caratterizzato da guerre, deportazioni, violenze e ingiustizie di ogni genere, rappresentare famiglie sempre unite, sempre serene, contadini felici di lavorare la terra, mamme soltanto dedite ai figli.
Insomma mi chiedevo come potessero descrivere un mondo patinato, rassicurante ma così poco credibile. Indugiando in queste mie riflessioni, ho iniziato così a collezionare opere di artisti espressionisti degli anni trenta, opere scelte per le emozioni che mi suscitavano. Oggi posso dire di avere costruito un progetto armonico che ha reso questa raccolta un unicum nel panorama italiano e internazionale, una raccolta che fatico a riavere tra le pareti di casa mia, perché richiesta da importanti musei italiani ed europei. Da decenni sono alla continua ricerca degli artisti più sensibili alle pulsioni sociali provenienti da tutti gli angoli del mondo.
Opere di donne
Questa passione nel raccontare, attraverso la mia raccolta, le sfumature dell’animo dell’uomo, mi ha spinto negli anni, senza rendermene conto, anche ad acquisire molte opere di giovani artiste donne. Mi sono chiesto spesso il perché di queste scelte e la risposta la ritrovo ogni giorno osservando le loro opere e scoprendo la profonda sensibilità e forza d’animo che le artiste hanno probabilmente sempre avuto ma che fino a pochi anni fa non era loro permesso di esprimere, forse perché subordinate ad un sistema sociale prettamente maschile.
Sento mio un pensiero di Getty che affida all’arte un prezioso ed unico valore di testimonianza: «Per quanto possa sembrare banale in quest’epoca fragile e superficiale, la bellezza che si trova nell’arte è purtroppo uno dei pochi lasciti reali e sempiterni delle imprese umane. La bellezza sopravvive anche quando le nazioni e le civiltà crollano e le opere d’arte vengono trasmesse di generazione in generazione e di secolo in secolo, incarnando una continuità storica di valore immenso».
Esporre la mia collezione
L’arte mi aiuta a vivere, le mie opere mi scaldano il cuore, a casa o in studio, loro mi circondano e, mentre le osservo, sento slanci di umanità. Era questo il mio sogno, creare un catalogo di sentimenti, di gioie, dolori, capricci, amori, che mi fanno volare nella vita con una sicurezza nel mio procedere che senza di loro non avrei mai avuto. Ebbene ho realizzato il mio sogno e credo che questo sia l’unico vero modo di collezionare, il resto è investimento, grazie, non mi interessa! Non ho iniziato a collezionare col pensiero razionale di creare una raccolta, figuriamoci pensare di esporla al grande pubblico.
Ma ad oggi confesso che ritrovo in me il pensiero di Getty quanto quello dei collezionisti che ho sempre ammirato, i coniugi Antonio Boschi e Marieda Di Stefano, Alberto Della Ragione o i più contemporanei Don e Mera Rubell, ovvero che il tempo porta con sé il desiderio e la necessità di rendere la collezione fruibile al maggior numero di persone, per far si che l’arte faccia esattamente ciò per cui è nata: testimoniare, essere osservata, compresa e ammirata.
Un sogno da realizzare
Mi piacerebbe allora riuscire a dare una svolta alla collezione. Esporla in un museo privato: credo infatti che, se da una parte la raccolta relativa agli anni Trenta rappresenti un patrimonio storico del paese, un intenso racconto di un particolare momento storico che non cancella, bensì completa la storia di Novecento italiano, d’altra parte, le ricerche che ho dedicato agli artisti a me più contemporanei, raccontano la storia del nostro presente e quindi le due raccolte insieme penso possano creare un dialogo continuo e sempre attuale.
Si tratta per me di un impegno etico di vita, la volontà di condividere con tutti lo studio e il lavoro svolto negli anni per dare valore al mio paese con uno sguardo anche internazionale. Conto che la “mia” Milano accolga questo sogno e lasci che diventi realtà.
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