«Ne soyons plus résignés», non rassegniamoci più, è lo slogan elettorale di Haby, giovane attivista immigrata di terza generazione, quando provocatoriamente si candida a sindaco di Montvilliers.

Montviliers è il nome di fantasia che Ladj Ly, francese di origini maliane, ha usato per raccontare la Montfermeil in cui è nato, uno dei tanti dipartimenti-satellite della periferia parigina, piagati dai casermoni in degrado, in cui la Francia ha ghettizzato cittadini francesi a tutti gli effetti ma di serie B.

In molti municipi delle banlieue il 7 luglio l’affluenza al voto ha superato di gran lunga la media nazionale del 67  per cento. In nome della stessa rivolta contro le disuguaglianze sociali e contro la rassegnazione che anima Haby.

Il regista lanciato da Les Misérables – che nel 2019 si guadagnò a Cannes il Prix du Jury e la candidatura all’Oscar come miglior film internazionale – torna a occuparsi dell’esercizio locale del potere e della spirale di sopraffazione e violenza che inevitabilmente produce. Ma questo suo secondo film risulta felicemente profetico.

In Les Misérables intercettava il potenziale esplosivo del protocollo ordinario delle forze dell’ordine, e in ispecie del corpo più attivo nelle periferie, la Bac (Brigata anti criminalità). Gli indesiderabili (titolo originale Bâtiment 5), che esce con Lucky Red l’11 luglio, esplora le trappole insidiose dei cosiddetti progetti di “riqualificazione urbana” nell’edilizia sociale. È un’analisi lucida e dettagliata, supremamente politica, delle dinamiche conservatrici – ma reazionarie nella sostanza – di uno “ieri” appena terremotato dalle urne.

Mi piace solo rilevare l’analogia puramente casuale tra il titolo originale del film (bâtiment significa edificio) e uno dei debutti italiani alla regia più sorprendenti e socialmente impegnati del 2023, quello di Michele Riondino con Palazzina Laf. Certi edifici particolari possono diventare potenti metafore.

Accoglienza selettiva

Il bâtiment 5 di Ladj Ly non è una casa per vecchi. Il funerale di una vecchia inquilina, con la sua povera bara di tavole grezze, in apertura di film ci spiega perché. L’ascensore non funziona da anni, le luci delle scale sono un ricordo remoto, la bara portata a spalle inciampa nei pianerottoli ingombri: «Neanche da morta riesce a trovare pace».

A pochi metri, un analogo casermone-alveare collassa fino alle fondamenta: il Progresso richiede mine governative efficienti. Forse per simpatia, collassa per infarto anche il sindaco del disagiato dipartimento, che era già sotto indagine. A succedergli non può certo essere il vice-sindaco Roger, manipolabile, filo-governativo, ma malauguratamente di origini africane (Steve Tiencheu).

È un aspetto inedito dell’integrazione politica, un extracomunitario della vecchia guardia aggregato alla burocrazia macronista. Uno che ammette: «Quelli come noi raccolgono la merda con le mani per finanziare il Partito».

Il suddetto Partito precetta più cautamente un inesperto – ma bianco – pediatra di zona, Pierre Forges (Alexis Manenti, l’attore che interpretava il più feroce dei poliziotti in Les Misérables). «Ci sono quartieri in cui non hai nemmeno mai messo piede», gli fa notare la moglie perplessa.

Nota comica in margine: sapete perché i sindaci portano la fascia tricolore con il blu in alto e i parlamentari con il rosso in alto? Lo svela la deputata (nel film) Jeanne Balibar: «Perché noi deputati abbiamo votato per decapitare Luigi XVI. Il rosso in alto significa che abbiamo visto il sangue del re».

Sotto indagine sono i vizi dell’accoglienza selettiva francese. «Come mai il suo predecessore sceglieva solo famiglie cristiane? Accogliete in base al Credo?», chiedono al neo-nominato le voci dell’opposizione. Risposta: «Certi criteri possono aiutare l’integrazione».

Dice il regista che l’accoglienza selettiva è stata applicata per il conflitto siriano, e sistematicamente per l’Ucraina. È «perfino auspicata dalla classe politica di destra».

«Demolite e ricostruite palazzoni di soli bilocali: come fate a sistemare le famiglie numerose? E i problemi sanitari? E la sicurezza delle donne?» La più combattiva su questo fronte è Haby (Anta Diaw), aiutante nell’archivio del Municipio e volontaria in un’associazione che aiuta gli abitanti a sbrigare le pratiche burocratiche. Provano anche a corromperla: «Tua madre non ha fatto domanda per un alloggio?». 

In breve il new deal locale degenera, come in realtà è accaduto  – da cronache – per molti amministratori delle banlieue a rischio. Alla moglie del sindaco imbrattano l’auto di insulti, e lui reagisce sgomberando “per ordinanza municipale” le aree in cui gli immigrati riparano le carrozzerie della comunità. A tutti i minori non accompagnati da adulti, sotto il pretesto di misura anti-gang, si vieta di circolare tra le 20 di sera e le 5 del mattino: un coprifuoco.

Scattano le agitazioni di piazza: «Essere giovani non è un crimine! Non si vedevano misure del genere dalla guerra d’Algeria!». Lamy però è maggiorenne, e può guidare le proteste dei minorenni in orario notturno proibito. È per suo tramite che il regista comunica il proprio messaggio politico: «Non si può essere solo arrabbiati. Sta a noi agire e far vedere che possiamo governare le nostre città». Puoi autocandidarti per le amministrative, anche se non hai partiti alle spalle né soldi per i manifesti. Puoi contare su tanti ragazzi pronti a supplire con murales e graffiti.

La truffa della “riqualificazione”

Ma gli altarini si scoprono platealmente quando la municipalità offre 15mila euro alle famiglie da sfrattare “per riqualificazione urbana”, anche se hanno pagato sudati mutui ventennali. È una legale truffa di stato. L’incendio di un appartamento che ospitava una mensa economica clandestina offre la più ghiotta delle occasioni. Si può evacuare lo stabile senza pagare un euro a nessuno, con il pretesto del rischio-crollo, anche se è la vigilia di Natale.

C’è una violenza senza sangue che fa paura in questa sequenza con plotoni di agenti in tenuta anti-sommossa e piogge di materassi dai balconi: salvare il salvabile, tempo cinque minuti, per poter almeno dormire in strada. E questa è storia vera rivisitata, non è finzione.

C’è un’alternativa alla rabbia incontrollata che colpirà nel finale l’abitazione del sindaco, paradossalmente caritatevole con due immigrati siriani? Non c’è solo quella strada, dice Ladj Ly. Ci sono «i francesi di oggi», che con pieni diritti, da cittadini del loro paese, possono agire senza violenza.

Ladj Ly è un autodidatta che si è fatto le ossa da documentarista a forte impronta sociale nel collettivo Kourtrajmé, fondato dai suoi amici d’infanzia Kim Chapiron e Romain Gavras (figlio di Costa-Gavras). Più professionale di Les Misérables e meno camera a spalla e “stile guerrilla”, Gli indesiderabili, con le sue dicotomie schematiche, a molti sembrerà un film didascalico.

Ma avercene di film che ti informano nel dettaglio sulle dinamiche di questo nostro mondo protetto, privilegiato, garantito da una legalità istituzionale che obbedisce a interessi contingenti e sciaguratamente mutevoli. Il mondo in cui non solo in Francia, purtroppo, viviamo. Un voto non basta, ma l’invito a non essere plus résignés vale per tutti.

© Riproduzione riservata