In Francia è un caso editoriale, ha vinto tanti premi e ha venduto molto bene, tanto, da esser stato tradotto in diversi paesi: Quello che serve di notte, Mondadori 2024, del francese Laurent Petitmangin – pochi giorni fa era al festival Letterature di Roma –, è un romanzo di grande forza emotiva e narrativa. È la storia di un padre vedovo che un giorno, dal nulla, scopre che il figlio si è unito al Front National, il movimento di ultra destra di Marine Le Pen, per poi essere accusato dell’omicidio di un antifascista.

Quello che serve di notte: Petitmangin, a quale notte si riferisce il titolo?

È il primo verso di una poesia di Jules Supervielle, Vivre encore: «Ce qu’il faut de nuit» - appunto, «Quello che ti serve di notte». E la notte a cui fa riferimento il titolo è il fato, il destino. Il romanzo è incentrato sulla contrapposizione tra le nostre responsabilità, le nostre azioni e gli accadimenti della vita su cui non possiamo esercitare alcun controllo, cioè quel che chiamiamo destino. Una lotta permanente e con cui dobbiamo scendere a patti. Ciò che è importante è come ognuno reagisce a questi accadimenti, come lavora sé stesso e il mondo in risposta al destino che gli viene in contro. È questo a definire la persona.

Sia nella sua scrittura sia in questa sua risposta avverto una certa fatalità. Ma il libero arbitrio esiste e si annida, come dice lei, nel modo di ognuno di reagire agli eventi. Nel libro, però, si dà una certa importanza al trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Certo ed è un modo che ha il destino di manifestarsi. Fus, bisogna dirlo, si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma ciò non toglie che la possibilità di reagire in modo diverso a quel che capita lui l’avrebbe: semplicemente decide di comportarsi in maniera sbagliata. Ecco lo scontro di cui parlavo all’inizio tra destino e libero arbitrio.

La politica nel suo romanzo è un elemento fondamentale della storia, ma che sia una storia di padri e figli è chiaro.

Il mio desiderio con questo libro era indagare la relazione tra un padre e un figlio in cui s’insinua una delusione del genitore. La domanda che mi sono posto scrivendo è: cosa accade a un genitore che patisce una delusione tanto grande da parte di un figlio? Riesce a mantenere il proprio ruolo? Sa, nonostante tutto, provare l’amore di prima?

C’è un elemento autobiografico?

Assolutamente no. Ho quattro figli con cui va tutto benissimo.

Dell’elemento generazionale cosa mi dice? Padre e figlio di cui racconta sono, in qualche modo, rappresentazioni delle rispettive generazioni?

L’elemento generazione è presente, certo. Volevo mettere a confronto due modi di pensare, strutture mentali diverse: quella organizzata, formata, con ideologie fisse e quella non ancora capace di uno schema solido, fluida, meno sicura.

A proposito di strutture mentali e ideologie. Fus entra nel movimento politico di Marine Le Pen, il Front National (oggi Rassemblement National), lentamente, ci scivola dentro senza quasi neanche accorgersene. Perché?

Perché credo che la radicalizzazione di molti giovani, come Fus, avvenga così: come una sorta di scivolamento lento. La militanza di sinistra – nata nel dopoguerra e di cui fa parte il padre – era diversa da quella contemporanea di estrema destra in cui cade, scivola Fus. All’epoca si pretendeva dai militanti un impegno totale, una partecipazione politica, culturale e personale, a trecentosessanta gradi. Oggi il sistema traverso cui si può prender parte ai movimenti di estrema destra, come il Front National, è meno pervasivo. Il reclutamento non avviene pretendendo un coinvolgimento assoluto: ti viene tesa una pertica, un tema cui tu ti possa appigliare, e con quello ti tirano dentro.

Quel che si capisce è che Fus viene attirato dal Front National locale perché si sente tagliato fuori dal mondo che conta, per così dirla. Vive in una città piccola, rurale, di periferia, agglomerato in cui pare che di speranze che le cose cambino in futuro, che il futuro riservi delle sorprese non ce ne sono. Ecco, spesso quando ci s’interroga sulle ragioni per cui l’estrema destra trionfi in zone del genere si parla d’ignoranza, però nel romanzo la rabbia che spinge Fus, e gli altri ragazzi, ad aderire al Front National pare quella degli ignorati e non degli ignoranti.

Perché è così. Se va nelle zone periferiche della Francia, zone in cui l’estrema destra è molto votata, questa sensazione di lontananza dal centro, dai luoghi in cui vengono prese le decisioni sulle loro vite – e quindi da Macron stesso, negli ultimi anni –, ecco, questa sensazione è palese. Lì la gente crede di vivere a un ritmo diverso dal resto del paese, non si sente parte dell’intero ma solo una porzione dimenticata e questo genera molta rabbia.

Quindi?

Quindi credo che la partita, una partita in cui la posta in gioco è altissima, debba esser giocata lì. Serve ricreare degli spazi comuni, servono delle occasioni in cui i francesi, tutti i francesi, possano tornare a sentirsi parte della nazione. Senso di comunità, idea di andare tutti allo stesso ritmo, partecipazione completa: di questo abbiamo bisogno. È il senso di adesione allo stato e di coesione con gli altri cittadini che manca, ed è lì che Marine Le Pen va a insinuarsi.

Crede che Le Pen possa essere paragonata a Giorgia Meloni?

Non lo so, i nostri paesi sono molto diversi.

La matrice però le accomuna, mi sembra.

Forse.

È rimasto sorpreso dai risultati delle ultime elezioni?

Ci speravo, ma non era scontato finisse così – anzi è stata una sorpresa per molti. Di certo, sono felice sia andata così.

È fiducioso?

Non so ancora, ma questa era l’unica soluzione perché Le Pen non andasse al potere, non oggi almeno. Il punto è che la partita non è ancora chiusa, anzi: è aperta come non mai. Nei prossimi tre anni la Sinistra dovrà dimostrare di saper operare delle scelte, di saper fare delle operazioni diverse da quelle degli ultimi anni. Quella in cui abiteremo nei prossimi anni è una finestra di opportunità fragilissima e per sfruttarla bisogna per forza restituire ai francesi il senso di appartenenza di cui parlavo.

Su questo senso di appartenenza lei batte molto.

È nelle crepe che si formano tra di noi che va a infilarsi il Rassemblement National.

Il problema è solo questo?

No, di problemi ce ne sono tanti, ma è uno dei più grossi. Un altro credo risieda nel fatto che negli ultimi anni la politica si è troppo concentrata sulla gestione dei problemi più grandi, ampi, non riuscendo di conseguenza a dare dei segnali visibili, concreti agli individui.

Nel 2027 in Francia si terranno le elezioni presidenziali, e il timore di molti è che Le Pen sfruttando i prossimi anni all’opposizione riesca a raccogliere i consensi necessari a vincere.

Sì, se n’è parlato parecchio. In tanti erano dell’idea che lasciarla vincere e governare, così da dar al tempo l’opportunità di farla rivelare un disastro, sarebbe stato meglio – usare i prossimi anni come un vaccino e immunizzarci. Ma no, non sono d’accordo.

Perché?

Perché i danni che potrebbe fare in tre anni sono tantissimi e penso piuttosto sarebbe meglio sfruttarla, questa finestra temporale, per governare bene, dimostrare che la Sinistra è ancora capace.

Quale dovrebbe essere la priorità, secondo lei?

La scuola. È sempre la scuola. Ecco, a proposito di immunizzarci a certi discorsi cari a Le Pen: il vero vaccino è l’istruzione, lo studio.

Marine Le Pen, Viktor Orbán, Santiago Abascal, Giorgia Meloni. Lei ritiene che credano in ciò che dicono, nelle linee politiche che vorrebbero perseguire, o la loro non è che propaganda, un modo per avere il potere?

Difficile rispondere. Credo sia giusto però dar loro credito, e non considerarli soltanto dei bugiardi. Chissà, forse delle loro proposte sono davvero convinti, forse ritengono davvero siano le soluzioni migliori ai problemi del nostro Tempo. Non so, non ho delle certezze a riguardo. Ma, in fondo, non saprei neanche dirle quale delle due mi auguro sia la risposta giusta alla sua domanda.


Quello che serve di notte (Mondadori 2024, pp. 132, euro 18) è un romanzo di Laurent Petitmangin

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