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Accomunati da qualità di vision e di leadership, Adriano Olivetti e Mario Tchou avevano sfidato le frontiere della tecnologia in un tempo in cui all’Italia non era consentito inoltrarsi in un settore, l’elettronica, determinante per i nuovi assetti geopolitici e geotecnologici del pianeta.
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La Olivetti è stata l’unica multinazionale italiana ad aver conseguito la leadership tecnologica sui mercati di tutto il mondo.
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La Olivetti rimane ancora oggi il modello di riferimento per le imprese innovative. La sua storia è fonte di insegnamenti che occorrerebbe raccontare, con orgoglio, nelle scuole, nelle università e nei centri di formazione della politica e dell’impresa.
Il 9 novembre 1961 il direttore del Laboratorio elettronico Olivetti, Mario Tchou, lascia Milano per recarsi a Ivrea in vista di una riunione con i vertici aziendali sul progetto di un calcolatore elettronico innovativo che avrebbe sostituito l’Elea 9003. A Santhià, la Buick guidata dal giovane autista, sbanda e si scontra con un “leoncino”.
La vita affascinante e colma di successi del giovane scienziato italo-cinese si interrompe in modo tragico, a soli diciotto mesi di distanza dalla morte di Adriano Olivetti. Il 27 febbraio 1960 il presidente dell’azienda di Ivrea era stato colpito da un malore su un treno diretto in Svizzera nella sua stagione imprenditoriale più fertile: il 30 ottobre 1959 aveva acquistato negli Stati Uniti la Underwood per ampliare la rete di vendite e il successivo 8 novembre aveva presentato l’Elea 9003 al presidente della Repubblica Gronchi.
Entrambi accomunati da qualità di vision e di leadership, Adriano Olivetti e Mario Tchou avevano sfidato le frontiere della tecnologia in un tempo in cui all’Italia non era consentito inoltrarsi in un settore, l’elettronica, determinante per i nuovi assetti geopolitici e geotecnologici del pianeta.
La Olivetti rimane ancora oggi il modello di riferimento per le imprese innovative, attente alle risorse umane e alla sostenibilità, intrise di valori etici e con una visione protesa sul futuro. La storia dell’azienda è fonte di insegnamenti che occorrerebbe raccontare, con orgoglio, nelle scuole, nelle università e nei centri di formazione della politica e dell’impresa.
Fattori distintivi
La Olivetti è stata l’unica multinazionale italiana ad aver conseguito la leadership tecnologica sui mercati di tutto il mondo: ciò è avvenuto nei settori delle macchine per la scrittura e per il calcolo, senza dimenticare le macchine utensili, la meccatronica e i mobili per ufficio.
Non solo. A Ivrea è nata l’industria moderna a livello internazionale. Adriano Olivetti ha immaginato un modello industriale “sostenibile”, costruito sulla contaminazione tra le culture tecnologica e umanistica.
Celebrato dalla comunità internazionale, specie negli Stati Uniti, i fattori distintivi dello “Stile Olivetti” erano: imponenti investimenti sul capitale umano, sui giovani, sulla formazione di tecnici e manager, e sulla ricerca; primazia nelle tecnologie; modello organizzativo reticolare ante litteram, edificato sul concetto di leadership diffusa; investimenti sui “beni immateriali” – marchio, reputazione e comunicazione aziendale – resi possibili grazie alla presenza di sociologi, psicologi, assistenti sociali, letterati, designer, pubblicitari, artisti, registi e musicisti; studio delle best practices internazionali; curiosità per il diverso e uso sapiente delle informazioni; culto della bellezza, applicato ai prodotti industriali e alla progettazione, da parte di sublimi architetti di stabilimenti “a misura d’uomo” e di negozi che diventano – il culmine viene raggiunto sulla Fifth Avenue di New York – luoghi di attrazione e di incontro; politica per il Mezzogiorno, come per esempio la fabbrica con vista sul golfo di Pozzuoli, con abitazioni per gli operai annesse, opera del geniale Luigi Cosenza; promozione delle qualità personali dei lavoratori e dei loro diritti. E infine la strategia local/global: l’azienda, saldamente radicata nel territorio, e il tema della promozione delle “comunità” ha contraddistinto la sua storia, perseguiva un’espansione globale con stabilimenti e filiali in tutti i continenti.
La sfida al futuro
Siamo agli albóri della Terza rivoluzione industriale. Olivetti è consapevole che l’elettronica rappresenta la sfida ineludibile per l’azienda. Nel 1954 si reca a New York per convincere il giovane Tchou a tornare in Italia con il compito di avviare il progetto della costruzione di una calcolatrice elettronica.
Tchou, frequentati i primi tre anni della facoltà di ingegneria all’università La Sapienza di Roma, proseguiti gli studi negli Stati Uniti, nominato capo dei Laboratori elettronici della Columbia University, accetta la sfida e nel gennaio 1955 arriva a Ivrea.
Tuttavia, in primavera, Adriano Olivetti trasferisce il progetto a Pisa su proposta dell’ateneo toscano, impegnato nel medesimo obiettivo. La convivenza tra Tchou e l’università dura pochi mesi, probabilmente anche a causa di divergenze organizzative. Al fine di garantirsi maggiore autonomia Olivetti decide di creare a Barbaricina (PI) un proprio “Laboratorio di ricerche elettroniche” per la costruzione di una calcolatrice commerciale, pur continuando a finanziare il progetto di una calcolatrice scientifica dell’università.
Tchou seleziona un piccolo gruppo di neolaureati, privi di esperienze – unica eccezione Giorgio Sacerdoti – nell’elettronica. In meno di due anni è pronto il prototipo a valvole dell’elaboratore elettronico, la “Macchina Zero”.
Racconta Giorgio Sacerdoti: «Nessuna descrizione della capacità di leadership di Tchou sarebbe esauriente se non venisse citata la decisione presa, quasi improvvisamente, di non andare in produzione con la macchina a valvole [si surriscaldano e si bruciano con grande frequenza n.d.a.], ma di presentarsi sul mercato con un elaboratore a transistor. Questa scelta […] implicava un significativo rischio tecnologico e un ritardo di circa un anno nella presenza sul mercato. […] Il nostro direttore dimostrava la sua capacità di guardare avanti e lontano».
Nel 1958, per ragioni logistiche e industriali, il Laboratorio viene trasferito a Borgolombardo, nella periferia milanese. Nel 1959 viene completata la versione ingegnerizzata dell’Elea 9003, del cui design innovativo era artefice Ettore Sottsass.
Secondo quanto scritto nell’autobiografia da Marisa Bellisario, che era stata impegnata, alle dipendenze di Elserino Piol, nell’installazione del primo Elea alla Marzotto di Valdagno, si trattava del «primo computer commercializzato nel mondo, interamente realizzato con componenti allo stato solido, cioè transistor» (questo primato è rivendicato dal Siemens 2002). La Olivetti con la versione a transistor anticipa l’Ibm, che peraltro poteva avvalersi di imponenti finanziamenti pubblici, e si propone come l’unico concorrente europeo.
Modello organizzativo
Ascoltiamo il racconto di Roberto Olivetti: «Nell’elettronica era necessario creare un piccolo gruppo di persone specializzate nei diversi settori in cui è suddiviso il calcolatore elettronico, consapevoli della difficoltà di prevedere e programmare gli sviluppi tecnologici nei successivi cinque-sette anni. Al gruppo iniziale chiedevamo sia preparazione scientifica che qualità umane e morali. Allora, un errore nella selezione dei talenti avrebbe pregiudicato il progetto […]».
E aggiunge: «Le persone devono essere pagate bene. Chi è impegnato nel lavoro scientifico non deve avere preoccupazioni economiche. Cercavamo di capire il loro reale interesse a venire da noi e se il lavoro proposto corrispondeva a una vocazione. Prima del denaro era nostra intenzione offrir loro una sfida, la possibilità di partecipare con entusiasmo e motivazione a un’impresa innovativa con spirito di avventura e l’aspirazione a conquistare qualcosa di nuovo. Non potevamo promettere ai giovani laureati garanzie, ma solo incertezze».
Roberto Olivetti si sofferma anche sul modello imprenditoriale di leadership: «Io ero il responsabile politico; Tchou il responsabile tecnico e Beccio il responsabile delle risorse umane. Avevamo piena e totale fiducia dell’azienda a cui riferivamo sui progressi del progetto».
La nascita della Sgs
Tchou si era lamentato della mancanza di una azienda nazionale produttrice di componenti allo stato solido. Adriano Olivetti invita il figlio a trovare una soluzione. Virgilio Floriani, fondatore della Telettra, impresa milanese di apparati per le telecomunicazioni, ha scritto: «Ricevetti la visita di due giovani, Roberto Olivetti e Mario Tchou. Dopo una visita a Ivrea dove conobbi Adriano Olivetti […], decidemmo di dar vita a una nuova azienda con la partecipazione paritaria Olivetti-Telettra». Nel 1957 nasce ad Agrate Brianza la Società generale semiconduttori, Sgs, che nel 1987, assieme alla francese Thomson, darà vita alla StMicroelectronics.
Tra pmi e grande impresa
Continua Floriani: «Telettra era qualcosa di mezzo tra un laboratorio di ricerca applicata e un’industria padronale. Nei contatti con i dirigenti Olivetti […] le mie orecchie percepirono parole nuove come controllo di gestione, tempi e metodi, ricerca motivazionale, relazioni umane, budget, direzioni per obbiettivi e così via. L’ing. Adriano, il figlio Roberto e l’ing. Mario Tchou furono generosi: quegli incontri mi permisero di trasformare la Telettra in un’industria strutturata con caratteri moderni. La politica del buon padre di famiglia non era più efficiente». E infine la chiosa: «L’ingegner Tchou lo stimavo come la persona forse più intelligente che avessi avuto l’avventura di incontrare» [il corsivo è nostro].
La meccatronica italiana
Nel 1960 nasce una delle pagine più importanti, purtroppo dimenticata, della Olivetti. Joe Ebling, ingegnere canadese, giunge a Borgolombardo per incontrare un amico che lavorava nel Laboratorio; questi lo presenta a Tchou il quale, dopo aver conversato con l’ospite, lo invita a lavorare per la Olivetti. La replica di Ebling è una sfida: «Grazie, ma non sono interessato. Sarei invece disponibile ad avviare un progetto per trasferire l’elettronica alle macchine utensili». Tchou, consapevole dell’inaspettata opportunità, si rivolge all’amico Roberto. In pochi mesi a Ivrea nasce la Olivetti controllo numerico (Ocn), destinata a diventare una delle imprese leader a livello internazionale nella meccatronica e nella robotica.
La Macchina Zero
In occasione del sessantesimo anniversario dell’incidente che ha sottratto Mario Tchou alla famiglia e alla Olivetti, Ciaj Rocchi e Matteo Demonte – illustratori e videomaker – hanno pubblicato la graphic novel La Macchina Zero. Mario Tchou e il primo computer Olivetti. Il lavoro esplora, oltre alla storia dell’Elea, aspetti inediti della famiglia Tchou.
Il padre Yin nel 1915 giunge in Europa per apprendere le nuove tecniche per la lavorazione della seta che «per 3.000 anni era stata un’esclusiva cinese»; nel 1918 diventa terzo segretario presso l’Ambasciata della Repubblica di Cina a Roma. La madre Evelyn, che aveva studiato in Inghilterra – dove aveva partecipato al movimento delle Suffragette – nel 1921 giunge in Italia per unirsi al promesso sposo. Mario nascerà nel 1924, dopo Maria e prima di Memè.
La Macchina Zero è un libro importante per il nostro tempo, caratterizzato da pregiudizi, intolleranze e persino dal ritorno dei venti della Guerra fredda. I testi e le immagini grafiche raccontano la ricchezza derivante dalle contaminazioni fra le culture e illustrano la complessità e la fecondità delle relazioni tra Europa e Cina.
Ciaj Rocchi e Matteo Demonte sono autori del libro: “La Macchina Zero. Mario Tchou e il primo computer Olivetti”, edito da Solferino
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