Venerdì prende il via l’appuntamento sportivo più lungo che esista: la Coppa del mondo di rugby dura più del doppio di un’Olimpiade, tre settimane oltre un Mondiale di calcio. Cinquanta giorni di dure battaglie, sino al 28 ottobre. Con l’alfa e l’omega a Saint-Denis, una fermata di treno suburbano dalla Gare du Nord, e con un match inaugurale che ha qualche chance di essere anche quello finale. Francia-Nuova Zelanda.

Venticinque anni fa, proprio a Saint-Denis, i francesi coronarono il sogno di diventare campioni del mondo di calcio. Ora, nel 200° anniversario della nascita del gioco e alla decima edizione del trofeo intitolato al leggendario inventore William Webb Elllis, provano l’assalto all’altra dimensione amata, quella ovale: in tre occasioni sono arrivati sino in fondo, in tre occasioni qualcuno (due volte la Nuova Zelanda, una l’Australia) ha spennato i Galletti.

La potenza fisica degli avanti dei Bleus affianca le capacità di improvvisazione dei centri (Dupont, Penaud, Fickou), depositari di uno stile che ha lasciato segni e disseminato la storia di vittime illustri, cominciando proprio dagli All Blacks, sconfitti nel 1999 nella memorabile semifinale della vertiginosa rimonta.

Per una volta la Nuova Zelanda non ha i favori del pronostico e l’ultima partita di “riscaldamento” (un rovinoso 35-7 con il Sudafrica, la più pesante sconfitta nella storia dei Tutti Neri) ha contributo a un calo delle percentuali e un’ondata di critiche degne dell’Italia calcofila.

Mai ai quarti

Aver formato il tabellone con le classifiche di due anni fa ha creato una parte alta con quelle che oggi guidano il ranking (Irlanda, Francia, Sudafrica, Nuova Zelanda, Scozia) e una bassa che garantisce il passaggio della fase a gironi all’Argentina e possibilità di cammino anche a chi (Galles, Australia, Inghilterra) sta vivendo una crisi tecnica e di identità.

L’Italia non è mai arrivata ai quarti di finale. Ci andò vicina proprio in Francia nel 2007, sconfitta 18-16 dalla Scozia in quello che si era trasformato in uno spareggio. All’apparenza, gli azzurri si trovano alle prese – etichetta molto usata – con una missione impossibile. Siamo nel girone A con la malleabile Namibia, con l’Uruguay e soprattutto con Nuova Zelanda e Francia, da incontrare in quest’ordine da sabato al 6 ottobre.

Kieran Crowley, commissario tecnico in scadenza (andrà in Giappone), pensa che gli azzurri finiranno per essere la rivelazione e ha un attimo di autocompiacimento quando duce: «Lascio una squadra più forte di quanto l’avevo trovata». C’è una forte dose di verità: la squadra ha interrotto una disastrosa catena dell’infelicità che nel Sei nazioni è andata avanti per 36 partite e soprattutto ha messo in mostra un nuovo spirito e capacità offensive esaltate dall’intraprendenza e dalla fantasia di Ange Capuozzo, estremo e ala di scuola francese, approdato all’aristocratica Tolosa.

La vittoria sull’Australia nell’autunno scorso, una prima assoluta, e un torneo chiuso con il più dolce dei cucchiai di legno (cinque sconfitte, mai mai una resa senza condzioni e Francia messa in imbarazzo) sono le fondamenta di un ottimismo sparso dal presidente Marzio Innocenti: «Possiamo battere una delle due». Le due sono la Nuova Zelanda tre volte campione e la Francia padrona di casa. Il compito minimo – terzo posto nel girone per qualificarsi al 2027 – è un obiettivo che non basta più. Almeno, questo è quanto scritto sulla facciata di Azzurra.

Rimane da capire quale rugby verrà espresso e quale avrà la meglio. Da almeno due stagioni l’organizzazione di gioco dell’Irlanda ha dominato in Europa e nel tour in Nuova Zelanda. Il possesso e l’avanzamento sono i canoni determinanti, scanditi da un pack ricco di forza e di dinamismo, capace di creare gli spazi e gli intervalli giusti per chi sa attaccare palla in mano.

Il Sudafrica, tre volte a segno come gli All Blacks e campione uscente, getterà in campo tutta la sua potenza, la sua capacità asfissiante di pressione, sin dal duro girone contro Irlanda e Scozia. Una mischia vicina alla tonnellata e l’imprevedibilità di due attaccanti con le ali ai piedi come Arendse e Kolbe rendono gli Springboks una fortezza poco espugnabile. E aver demolito due settimane fa gli storici rivali neozelandesi ha fatto schizzare in alto l’indice del morale.

Gioco duro

Sarà un Mondiale sottoposto a una sempre più rigorosa attenzione sul gioco duro e il Tmo, Television Match Officer, avrà da lavorare, sollecitato dall’arbitro di campo: placcaggi alti, contatti che interessano il viso, la testa, daranno vita a un florilegio di cartellini gialli (dieci minuti in inferiorità numerica) e rossi e alla nuova regola etichettata bunker (un giallo che può diventare rosso dopo una rapida “istruttoria” a cura dell’ennesimo aiutante dell’arbitro).

«La salute degli atleti è il nostro primo obiettivo», dicono dai piani alti di World Rugby. Senza sottolineare che in meno di trent’anni di professionismo i giocatori sono alti in media dieci centimetri in più e più pesanti una quindicina di chili. E che tutto si svolge a una velocità in costante crescita.

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