- Guy Trebay è style reporter e chief men’s wear critic del New York Times.
- L’intervista è parte di una serie di interviste condotte dal critico Carlo Antonelli contenute nello speciale DopoDomani dedicato alla moda, in edicola e in digitale sabato 18 dicembre.
- Leggi qui tutte le interviste.
Guy Trebay è style reporter e chief men’s wear critic del New York Times. L’intervista è parte di una serie di interviste condotte dal critico Carlo Antonelli contenute nello speciale DopoDomani dedicato alla moda, in edicola e in digitale sabato 18 dicembre. Leggi qui tutte le interviste in aggiornamento.
Carlo Antonelli: A che punto è lo stile maschile oggi? Dal punto di vista tecnico, metaforico, geografico.
Guy Trebay: L’abbigliamento sembra ben robusto come sempre, se si considera come le trasformazioni della mascolinità tradizionale abbiano spostato i confini (l’attore Hatty Style con vestiti “femminili” per Gucci), spronato ogni trasformazione formale (vedi qualunque cosa che si è vista in una qualunque sfilata di Rick Owens) ed energizzato il discorso intorno a temi che pochi fuori dal mondo della moda avrebbero affrontato. Se ti metti a guardare i forum online, subito salteranno fuori persone appassionate e ossessionate dal vestire maschile tanto quanto quelle che popolano le conversazioni sugli sport. E grazie ai social media la conversazione è meno parrocchiale e meno eurocentrica di prima.
Antonelli: Chi sono le menti (e le mani, e i cuori) che hanno intuito, venti anni o dieci anni fa, cosa sarebbe stato lo stile del momento?
Trebay: Un tempo il laboratorio vero veniva dalla strada. Ma da quando lo streetwear è stato formalizzato come categoria e come mercato, ha cessato di essere vero. Io continuo ad avere fiducia nei designer (sono troppi per fare qualche nome). Sono i soli a salvarci dal dominio corrente di corporation che fanno passare le loro strategie di marketing come fossero lo Zeitgeist, lo spirito del momento.
Antonelli: La pandemia e i cambianti demografici hanno definitivamente accelerato l’erosione dello stile classico? È finalmente finito il Novecento?
Trebay: Dal momento che il completo (giacca e pantaloni) è durato, in un modo o in un altro, per qualche secolo, scrivere un necrologio per il cosiddetto stile “classico” mi sembra prematuro. Anzi, in modo sporadico, osservo invece un appetito ritrovato per l’adozione di antichi codici d’abbigliamento da parte delle generazioni che sono cresciute con felpe col cappuccio e che quindi li trovano affascinanti ed esotici. E, premettendo che la tragedia di questa pandemia rimarrà con noi ancora per lungo tempo, ho il sentore che la gente si è stancata di vestirsi per fare degli Zoom. Alla fin fine sono pronti a farla finita con lo stare in mutande tutto il giorno.
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