Dopo una violenza sessuale subita nel 2018, la scrittrice aveva deciso di svanire, prendendosi la libertà di scrivere altro e di fare nuove amicizie con lo pseudonimo di Barbara Genova. Dal 29 ottobre è di nuovo in libreria con il suo nome e con Electra, ricostruzione e rielaborazione della scissione. «C’è la realistica possibilità che ora ci sia una terza persona»
C’è stato un momento in cui Violetta Bellocchio ha realizzato di essere diventata quello che desiderava: puro lavoro. «Non sono mai stata più felice di quando ero solo un body of work, un portfolio», racconta a Domani. (Che italiano e inglese si mescolino nelle sue frasi è abbastanza comune: si capirà).
In un’epoca in cui dalle generazioni più giovani arriva forte la rivendicazione di una personalità distaccata dalla produttività, distaccata dal mestiere, può sembrare una provocazione, ma qui si sta parlando puramente di scrittura: «Dipende dal lavoro che fai, chiaro. Ma quando sei un autore, un artista, è bello venire identificato con la tua opera, invece di “Vediamo com’è fatta la tua stanza”».
Per riuscirci, Bellocchio è dovuta scomparire. La storia della sua scomparsa è raccontata oggi in Electra (il Saggiatore).
Prima e dopo
Nel 2018 è uscito il suo libro La festa nera, per Chiarelettere. Giri promozionali, presentazioni, tutto quello che segue la pubblicazione di un romanzo. È successa un’altra cosa, poco prima: mentre tornava verso piazza Vetra, in una sera milanese di fine aprile, in un passaggio deviato per dei lavori in corso, un uomo l’ha aggredita. Più di un’aggressione: è una violenza sessuale. Sarà al momento della denuncia alla stazione di polizia che i fatti, ordinati e riportati nella loro interezza, le daranno la definizione di quello che ha appena vissuto. «È una delle primissime cose che ho fissato nero su bianco. Mi sono detta: se non riesci a fermare su pagina, se non riesci a scrivere queste cose, scordati di scrivere il libro intero», ricorda Bellocchio.
Le settimane, i mesi successivi sono stati frenetici: la promozione della Festa nera, le puntate tra polizia e ospedale per tutti gli accertamenti necessari. «C’è stata una forma di dissociazione, perché la tua vita deve continuare. Ho portato in giro il libro in uno stato sopra le righe, perché era successa questa cosa, ma è vero che quando c’è un evento scardinante il resto non si ferma. Avevo un ufficio stampa con cui lavorare, dicevo “Parliamo pure di questo impegno, magari non questa settimana che vado in ospedale, però parliamone”», dice Bellocchio. Le parole plasmano la realtà, e la prima parte del libro è concreta: il fatto, la sequenza degli avvenimenti. Le parola della polizia, la clinica e il «corridoio dello stupro», dove speri non ti chiamino con il nome a voce alta prima di essere visitata.
Poi, nel 2020, succede che effettivamente il mondo intorno si ferma. Le persone isolate, i contatti che si sfilacciano. Nel 2021, la vita pubblica di Violetta Bellocchio finisce. Nelle riviste estere, iniziano a comparire poesie ed essay di Barbara Genova. Di lei esiste solo una foto, di schiena, un ciuffo di capelli biondi. Barbara Genova scrive in inglese, nella sua biografia dice di vivere da qualche parte nell’Europa centrale. Stringe amicizia con diverse persone sparse per il globo. Non c’è un passato, non c’è una storia familiare da ricostruire, non c’è più una pagina Wikipedia a cui fare riferimento: ci sono solo i suoi versi, le analisi che scrive. E le parole qui ricostruiscono un’altra realtà: il libro diventa quasi un intrigo internazionale, la protagonista è una penna che scrive, che a un certo punto si ritrova pure a collaborare con «una rivista di nazi», mentre gira di residenza in residenza. È, per l’appunto, un corpus letterario e nient’altro.
Nascondersi
Gli uomini nel libro si avvicinano, quando è ancora Violetta, per brillare di fama riflessa. Per lei, invece, è soffocante essere riconosciuta, e dopo la violenza diventa anche inquietante: «Un autore che traduco mi diceva che di solito gli scrittori non vengono fermati per strada. La mia esperienza è stata un pochino diversa, ecco. È capitato che mi fermassero al supermercato, dicendomi “Ti ho vista in tv». La fama può essere un privilegio, soprattutto può essere un riscatto («Ho conosciuto persone per cui il nome e cognome in copertina è stato un grande momento di rivalsa rispetto al loro ambiente di partenza», puntualizza), ma la seconda possibilità che si è data durante la pandemia, mentre tanti altri artisti lanciavano nuovi progetti, è stata quella di depurare il proprio lavoro dalla persona pubblica. «Se dovessi dire quale mia opera mi assomiglia di più adesso, è proprio Electra».
Il bisogno di identificarsi con la propria opera ritorna anche in altre autrici, basti pensare a Sally Rooney, che dal suo esordio Parlarne tra amici è stata bollata come «la voce dei millennial». Due romanzi diventati serie di successo, una campagna promozionale impressionante per i successivi due tra pop-up store, gadget e file nelle librerie come ai tempi di Harry Potter (Intermezzo, l’ultimo, uscirà per Einaudi il 21 novembre): Rooney non ha mai fatto mistero di non apprezzare tutta questa popolarità, per quanto sia consapevole che fa parte del gioco. In un’intervista al Guardian del 2021, si é collegata su Zoom con uno sfondo completamente bianco, senza un mobile, un soprammobile, un angolino di un quadro in vista, e ha raccontato di come il rumore che si è creato intorno all’uscita della serie di Normal people (Persone normali, il suo secondo romanzo) l’abbia messa profondamente a disagio.
Restando in casa, da anni abbiamo sotto gli occhi l’esempio di Elena Ferrante, che ha rifiutato l’accostamento di una biografia precisa alla sua scrittura. E proprio la tetralogia dell’Amica geniale si apre con una vera scomparsa: mentre Elena cerca di richiamare a sé, con la memoria, l’amica Lila, questa ha deciso di cancellarsi del tutto.
Mettere in scena la scomparsa è l’ultima parola che abbiamo su noi stesse? «Questo non lo so. Non me ne sono andata del tutto, mi sono costruita questa vita parallela da scrittore “vero”. Quello che ho fatto io è stato smantellare l’immagine pubblica», riflette Bellocchio.
Il ritorno
Alla fine, dopo qualche anno, Violetta è tornata. «È successo quando ho iniziato a lavorare su Electra. Non c’era un contratto, un anticipo. Mi sono detta: vediamo se ci entra, al massimo posso sempre tornare a essere Barbara. Ho messo in pausa il mio alter ego e ho iniziato a scrivere». C’è stato il momento divertente in cui ha dovuto dire alle persone conosciute quando era Barbara qual era il suo vero nome. «Il mio migliore amico mi chiama ancora Barbara, e ha detto che continuerà così. Tutti sapevano che era uno pseudonimo, ma non si sono fatti tante domande. Un altro amico è rimasto sconvolto che avessi una pagina Wikipedia».
Bellocchio abita due lingue, l’italiano e l’inglese, che si mescolano ancora nella scrittura, a volte nemmeno come parole, ma come costruzione della frase; e abita due mondi, quello fisico e quello virtuale, dove naviga tra teorie del complotto, chat di poeti, conversazioni tra fusi orari diversi. «Negli ultimi due mesi ho scritto un racconto in italiano e poi mi sono ritrovata a tradurlo in inglese, e ho pensato: “Sono ancora spaccata a metà”. Però quando ho registrato l’audiolibro a settembre mi sentivo completamente corporea, ed ero felice di leggere in italiano». Per tornare alle parole che plasmano la realtà, come viene ripetuto spesso in Electra, quelle che adesso formano la sua sono “Calendario” e “Produzione”: gli impegni, le interviste, le cose da fare. Che però la fanno stare bene: «Mi chiedono di essere presente, mi danno ordine alle giornate». Su chi sia tornata davvero però da questo strano viaggio, se Violetta o Barbara, ragiona: «C’è la realistica possibilità che ci sia una terza persona».
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