- «Siamo liberi come il sole, non abbiamo nessun contratto o vincolo con chicchessia. È la libertà che, vivaddio, questi ultimi sette anni ci hanno permesso. E di questo siamo felici»
- Per fare buon cinema la sincerità conta quanto il talento, e in Bassifondi, di cui i fratelli D’Innocenzo firmano la sceneggiatura e che sarà in sala dal 15 giugno, è un film sincero (oltre che libero)
- «La curiosità con cui» Trash Secco «al suo primo film, ha deciso di fare qualcosa di non allineato al sistema farà breccia tra chi cerca sentimenti diversi, e a volte li trova», dice Fabio D’Innocenzo
«Siamo liberi come il sole, non abbiamo nessun contratto o vincolo con chicchessia. È la libertà che, vivaddio, questi ultimi sette anni ci hanno permesso. E di questo siamo felici». Non sono poi molto cambiati “i gemelli”, termine che per convenzione comune identifica Damiano e Fabio D’Innocenzo, da quel 2018 in cui La Terra dell’Abbastanza si impose come un’opera prima epocale. Restano quegli affabulatori ipnotici, anche a voce, che dopo il primo lungo incontro con loro mi fecero scrivere, e non per piaggeria: «È nata una stella, anzi due». L’ultimo loro film, America Latina, in concorso a Venezia, non è stato esattamente un successo, neanche di critica.
Ma basta vedere questo Bassifondi, di cui firmano la sceneggiatura e che sarà in sala dal 15 giugno, per capire che talento e sincerità sono illesi. E per fare buon cinema la sincerità conta quanto il talento. Diretto da Trash Secco (pseudonimo di Francesco Pividori, artista multimediale finora specializzato in videoclip), Bassifondi è un altro esordio da albo d’oro, coraggioso, folgorante, imperdibile. Nel diagramma piatto dell’industria ordinaria nostrana le eccezioni brillano come fari, e di norma scoraggiano gli esercenti. Il passaparola diventa la nostra missione di spettatori.
Callisto e Romeo sono due senzatetto, simbiotici per solitudine e per bisogno. Appartengono alla fauna selvatica che popola le sponde urbane del Tevere, come topi, nutrie, piccioni, gabbiani, asini e cani randagi. Gli animali non sono una metafora, sono un’equazione emotiva. «C’è una comunione di occhi tra loro e i due protagonisti – dice Damiano – occhi che non hanno sovrastrutture. E i due barboni si rispecchiano in quelle creature loro pari, con la stessa pietas, senza gerarchie di valore».
È vita sotterranea di superficie: accattonando per uno “spiccetto”, tra autolesionismo e nichilismo, questi “brutti, sporchi e cattivi” (ma non cattivi davvero, proprio come gli eroi di Ettore Scola), schifati dai passanti quando Callisto defeca sfrontato sotto il monumento trasteverino al Belli, dividono fraternamente tutto, dal latte avariato al gelo sotto i ponti notturni.
Oltraggioso e sboccato, Callisto è il leader “dionisiaco”, Romeo il gregario passivo e lo zimbello “borghese”: piange, deriso, una famiglia e dei figli che hanno tagliato i ponti con lui. La Roma del “mondo di sotto” è laidume e bellezza, magia di regista. Come pura bellezza è la deriva di amore, di cure, di consolazione che rimpiazza i bisticci quando Romeo perde la vista e la forza di vivere. L’empatia però forse non scatterebbe senza due interpreti eccezionali come Romano Talevi (Callisto) e Gabriele Silli (Romeo). È il tipo di cinema che dovrebbe riempire le sale, secondo i gemelli, in un mondo più giusto. Aggiungo: è il tipo di cinema che l’Italia dovrebbe mandare agli Oscar.
Non allineati
Fabio: «Viviamo il paradosso di una cultura – quando è cultura – che si avviluppa su sé stessa, che continua a inseguire la convenzione pretendendo allo stesso tempo che ci sia qualcos’altro, nuovo e diverso. E quando arriva viene ignorato. Credo che la curiosità con cui Francesco, al suo primo film, ha deciso di fare qualcosa di non allineato al sistema farà breccia tra chi cerca sentimenti diversi, e a volte li trova, nel cinema però di altri paesi. In un racconto breve di Salinger c’è un personaggio che in una dedica d’amore dice: “Quell’amore è squallore”. In Bassifondi c’è lo stesso sentimento».
Damiano: «All’inizio Francesco ci ha detto: “Datemi voce a questi due barboni: non vi chiedo nient’altro”. Questa è la libertà che abbiamo avuto. Saremmo stati dei completi delinquenti a fornirgli un copione che non offrisse a lui la stessa libertà. Non ci voleva un copione schematico, freddo, ma ruvido, che vivesse della vitale contraddizione che esiste quando ami qualcosa di cui hai paura, e che ti fa chiedere tra te e te se è la solitudine che ti fa amare quella persona, e se saresti in grado di amarla anche se fosse la causa principale della tua solitudine.
Davanti a me c’è Fabio, mio fratello gemello, che è causa dei ricordi più belli della mia vita come dei dispiaceri e dei sensi di colpa più grandi. Questo dolore e questa felicità come possono non essere la stessa cosa? L’ombra su muro dietro di te non è sempre te?
Non può esserci contraddizione nemmeno in un copione cinematografico che smentisce gli appuntamenti che per regola ogni storia d’amore richiede. Se rispetti le regole viene meno il cinema, che è fatto di sorprese, di emozioni, di incontri. Al cinema ormai non si incontra più nulla, il regista “esegue” una visione, che non è neanche sua. Conta essere pulitini e inattaccabili, non fare cose che ti scuotono, magari ti maldispongono anche, ma che rendono vivo chi le fa e chi le guarda».
Sembra un ossimoro ma c’è uno sguardo di pura bellezza anche sul lerciume e sul degrado estremo degli “invisibili”, molesti come i ratti per chi va di fretta nelle strade e nei bar. E la bellezza si dilata, si evolve in fiaba nera, struggente e onirica, nel loro finale.
Commenta Fabio: «Sono d’accordo con te sulla bellezza, che è opera di Francesco come del lavoro straordinario di Valentina Belli, direttrice della fotografia. Ma per me è soprattutto nei volti scelti, volti sfuggenti che sembrano usciti da un quadro di Francis Bacon.
Sulla marginalità e su quello che non vogliamo vedere, anche nella mia vita di tutti i giorni – ed è per questo che dico che il cinema riesce ad elevarci – ho più compassione e interesse per gli ultimi. Però anch’io a volte tendo, per vecchia abitudine, e forse addirittura ancora più adesso, a voltare la testa quando qualche disperato chiede. Anche perché ho già una disperazione mia che mi basta.
Ricordo un film di Alberto Grifi, Anna, un documento meraviglioso sui tossici, categoria sempre vista con repulsione. Ricordo lo sguardo di Grifi, la comprensione e la compassione, perché sai che potresti essere tra queste persone e che la distanza è effimera. Sembrano essere distanti da te anni luce ma basta tendere la mano, senza ritrarsi. È grazie a quel film che posso affrontare esperienze che non avrei fatto mai nella vita».
Dostoevskij e l’America
Questa intervista è un’esclusiva, ma scucire a forza confidenze da scoop non è mai stato negli intenti di questo giornale. Sui progetti futuri dei gemelli però circolano voci avvolte nel buio fitto, in primis quello di un misterioso film da girare in America.
Dice Damiano: «Adesso stiamo montando Dostoevskji, la nostra prima serie, in sei episodi, che si vedrà nel 2024. Le riprese sono state lunghe e adesso siamo al processo creativo più sofferto. Al montaggio ci stiamo felicemente smarrendo, in senso positivo. È il momento in cui ci si sente più inutili rispetto a quello che si è girato, e la cosa bella è lavorare di nuovo con un montatore che stimiamo moltissimo, Walter Fasano. Come noi è molto più interessato alla sensibilità e agli apparati umani che al resto. Del montaggio, montando, non parliamo mai. Parliamo di come provare a stare al mondo e di quanto può essere tutto più complesso di quanto si creda».
Fabio: «Circolano leggende metropolitane meravigliose su quanto tempo abbiamo girato, tipo cinquanta giorni a episodio, sui feriti sul set o su come abbiamo fatto a ricostruire la Russia attorno a Roma. Siamo felici di queste leggende, e questa confusione ci diverte: non è un film storico in costume, è la storia contemporanea di un poliziotto, che è Filippo Timi. Dostoevskji c’entra anche per via della scrittura fluviale, da romanzo. Vedendolo si capirà il titolo, e anche come ci ha influenzato Delitto e Castigo».
La regia deI film “americano” è rinviata al 2024. Ma intanto devono finire di scriverlo. E non è detto che sarà girato negli Usa: «Lo decideremo a seconda di come verrà la sceneggiatura, in che mondo ambientare la storia, se in Italia o in America. Non siamo esterofili, non ne vedo il motivo. Siamo liberi».
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