Il contatto tra il cacao e gli europei fu quasi immediato; già nel 1502 Cristoforo Colombo durante il suo quarto e ultimo viaggio in America sbarcò in Honduras dove a quanto pare ebbe l’occasione di assaggiare una bevanda a base di cacao; al ritorno, portò con sé alcuni semi di cacao da mostrare a Ferdinando e Isabella di Spagna, ma non diede alcuna importanza alla scoperta, probabilmente non particolarmente colpito dal gusto amaro della bevanda.

Per assistere all’effettivo arrivo del cacao in Europa bisogna attendere l’entrata in scena di Hernán Cortés, che nel 1528 portò in Spagna alcuni semi di cacao, portandoli in dono a Carlo V. Cortés, di ritorno dalla sua incredibile e travolgente conquista dell’Impero Azteco, portò in Spagna i semi del cacao, ma soprattutto portò la tecnica per preparare la bevanda, che i conquistadores avevano appreso nei dieci anni precedenti.

La svolta commerciale

Al di là dei primi contatti, che possiamo considerare di tipo esclusivamente culturale e gastronomico, pare che il primo vero carico documentato di cioccolato a scopo commerciale verso l’Europa sia avvenuto nel 1565, con un mercantile partito da Veracruz e diretto a Siviglia. Come è noto a Siviglia aveva sede il Reale Consiglio delle Indie, attraverso cui la corona spagnola controllava tutti i traffici commerciali, l'amministrazione, gli aspetti militari e religiosi delle proprie colonie d'oltreoceano.

Proprio la concentrazione in un unico porto di tutte le merci coloniali, favorì un cambiamento epocale nel modo di consumare il cioccolato, vale a dire l’aggiunta dello zucchero. Questo felice incontro tradizionalmente viene attribuito a Carlo V, che in questo modo riuscì ad ottenere una bevanda non soltanto appetibile per lui, ma in prospettiva assolutamente squisita per tutti gli europei. Quando arrivò il cacao, lo zucchero di canna era già disponibile in Europa da secoli, per chi se lo poteva permettere. Ammesso che sia stato davvero lui, quando Carlo V li mescolò insieme ottenne una bevanda incredibilmente costosa, che alla corte spagnola divenne immediatamente una vera e propria mania. Forse proprio per il suo alto costo e non solo per il gusto. A dimostrazione di questo, va notato come alla corte del cristianissimo Carlo la pasta di cacao venisse mescolata anche con vaniglia, cannella, noce moscata, pistacchio e persino muschio, chiodi di garofano, pepe di Giamaica e anice.

L’ulteriore evoluzione spagnola riguardò la modalità di consumo. Nei primi anni, infatti, la cioccolata veniva apprezzata densa e fredda, ripetendo in questo la tradizione azteca, ma dopo poco tempo divenne in voga servirla calda, iniziando così una nuova tradizione che è sopravvissuta fino ai giorni nostri. La cioccolata veniva versata da una brocca, simile a un bricco da caffè, ma dotata di “moliné”, una bacchetta per rimestare e amalgamare il composto prima di servirlo nelle singole tazze; queste ultime, a loro volta, erano più alte e stette di quelle usate per il caffè o per il tè.

La diffusione

Tutte queste novità e in generale il consumo di cioccolata, fino alla fine del XVI secolo rimasero segreti gelosamente custoditi nel regno di Spagna. Non era solo la corte asburgica a volere conservare questa grande esclusiva, ma anche ambienti vicini alla corona, come la chiesa spagnola si impegnarono in questa impresa. I monaci spagnoli, infatti, si ingegnarono per migliorare le tecniche di tostatura dei semi provenienti dal Messico o dalle piantagioni che nel frattempo proprio i gesuiti avevano fondato nelle indie occidentali o sulle coste africane.

Il fatto che il cioccolato sia rimasto sconosciuto a gran parte degli europei, esclusi gli spagnoli e forse gli italiani, per quasi un secolo provocò una situazione paradossale che si protrasse per alcuni decenni. Quando iniziò la guerra di corsa dei cosiddetti “Sea Dogs” i famosi corsari elisabettiani come Walter Raleigh e Francis Drake, più o meno intorno al 1560, la frequente presenza dei semi di cacao nelle stive dei galeoni spagnoli che venivano attaccati, lasciava del tutto indifferenti i corsari, che non avevano la minima idea di cosa fossero quegli strani chicchi a forma di mandorla.

La paura

Le cose andarono ancora peggio quando agli inglesi si aggiunsero anche i corsari olandesi, come Piet Pieterszoon e Jan Hanszoon, i quali non solo ignoravano i semi di cacao, ma addirittura se li vedevano li gettavano in mare, temendo che potessero essere pericolosi non solo se ingeriti, ma anche per il semplice contatto. Se solo i rispettivi sovrani avessero saputo il danno economico che stavano facendo, forse sarebbero stati meno prodighi nel distribuire premi e prebende a questi loro spregiudicati sudditi.

Il segreto spagnolo durò fino alla fine del ‘500, quindi per almeno quarant’anni olandesi e i inglesi, che ormai imperversavano nelle rotte tra America ed Europa, sottoponendo i galeoni spagnoli a una continua pressione, non furono in grado di comprendere l’opportunità economica rappresentata dal cacao. Toccò ai monaci spagnoli diffonderne la conoscenza e dissipare i dubbi sulla pericolosità di questa bevanda.

© Riproduzione riservata