Quest’anno, dopo 13 anni che vivo da sola, ho comprato un’asse da stiro con il preciso intento di usarla. Non è che prima le facessi resistenza per motivi particolarmente ideologici: sono sempre stata in case piccole, dove preferivo evitare l’inestetismo di un mollettone floreale a vista. «Basta stendere bene, non c’è bisogno di stirare» dicevo, prima di procedere nel mondo con i vestiti masticati. Poi con l’età adulta e il riscaldamento globale sono arrivati nella mia vita i pantaloni di lino, che basta pensare di indossarli e loro già si spiegazzano.

Così in un sabato di ormoni pazzi sono entrata a passo di carica nel negozio di casalinghi del mio quartiere da ricchi, dove di solito mi rifornisco di un’essenza per il bucato da 19 euro – tanto inutile quanto imprescindibile – e ho comprato un’asse estetica e sobria e piuttosto costosa, ma dal mollettone di un color panna perfettamente mimetizzabile con le porte del mio appartamento. Sono tornata a casa brandendola come uno scudo medievale e, a 32 anni, ho iniziato a stirare.

La sorpresa più grande è che mi è piaciuto. È un’attività perfetta per una come me, che passa la vita a schivare conflitti: appianare le pieghe è come risolvere una crisi, mi dà un senso di appagamento e pace interiore che non so descrivere. Mi piace l’odore che fanno i panni caldi e il rumore del ferro che esala mentre, per quanto non possa mettere fine alla guerra in Medio Oriente, riesce quantomeno a risolvere il piccolo problema dei pantaloni di lino immettibili.

Un dubbio e un’influencer

Mentre per la prima volta nella mia vita stiravo i tovaglioli di stoffa sentendomi all’improvviso Csaba dalla Zorza, insieme a questa nuova frontiera del piacere sessuale sentivo insinuarsi in me anche un nuovo dubbio strisciante: non è che dovevo fare la casalinga? Vuoi vedere che abbiamo fatto tutta sta fatica e alla fine mi piace più inamidare le camicie del mio fidanzato che avere un lavoro? Poi ho pensato all’uomo che da anni mi nutre a pranzo e cena, le camicie stese bene ma stirate no, e mi sono detta che forse è andata meglio così.

Non è la risposta che si è data Hannah Neeleman, conosciuta con il profilo social di Ballerina Farm, di cui in questi giorni si è parlato molto in seguito a un lungo profilo uscito su di lei sul Times.

Influencer e reginetta di bellezza da più di nove milioni di follower, Neeleman ha trentaquattro anni, un marito, otto figli e un’azienda agricola da 130 ettari da qualche parte nello Utah.

Con questi elementi si può già indovinare che segue valori mormoni (ricordo il bellissimo e terrificante libro di Tara Westover, L’educazione) e impariamo dal lungo articolo del Times che effettivamente tutte le volte che ha chiesto a Dio se fosse arrivato il momento di portare un nuovo essere umano nel mondo lui non le ha mai risposto di no, e quindi lei e il marito non usano contraccettivi da quando si sono sposati 13 anni fa (ma questo non le ha impedito di partecipare a un concorso di bellezza 12 giorni dopo il suo ultimo parto).

Prima di diventare la contadina più attraente che sia mai esistita, Needelman è stata ballerina allieva della Julliard di New York, il sogno di tutte noi millennial cresciute con Save the Last Dance.

Forse anche per questo ci risulta incomprensibile la sua scelta di ritirarsi nelle campagne a mungere le vacche e farsi mungere a propria volta da una mandria di bambini, forse siamo attratte e respinte dal suo stile di vita così bello da vedere – i capelli biondi, i vestiti di cotone, i panetti di burro salato che produce con le mani – e così fuori dal tempo per molte ragioni.

Il fascino 

Dall’articolo, da cui Needelman pochi giorni fa ha preso le distanze sostenendo che sia stato scritto con dei preconcetti sopravvissuti alla giornata passata in compagnia della giornalista inglese, si evince che il marito è una presenza ingombrante e vagamente oppressiva, che parla al posto suo e che, invece del viaggio in Grecia che lei sognava, per il compleanno le ha regalato un grembiule per raccogliere le uova delle loro galline (oltre ad essere un hamburger su gambe con lo sguardo più scemo che vedrete questa settimana).

Ma soprattutto si racconta una vita infernale, di una donna talmente assorbita dai figli e dal lavoro domestico che a volte si ritrova a passare intere settimane a letto per esaurimento. A me l’esaurimento stava venendo anche solo a guardare i suoi video, dove Needelman passa dal pollaio alla cucina al trattore, sempre con almeno un neonato in braccio e varie creature rumorose appresso, sempre inspiegabilmente bellissima.

Needelman ha risposto al Times con un reel in cui, con voce monocorde, certifica la propria felicità e l’amore che la unisce all’ hamburger su gambe, ricordandoci che le sue priorità sono Dio e la famiglia e che non hanno finito di riprodursi.

Mi sono chiesta se la sua popolarità ha davvero a che fare con il fallimento del femminismo, come tante hanno sostenuto, o se non sia piuttosto una classica questione di relativismo culturale: non metteremmo il burqa, non faremmo il burro se lo possiamo comprare. In questo caso facciamo solo più fatica a misurare la distanza perché stiamo parlando di una donna bianca occidentale, che ci somiglia (magari) ma ha fatto una scelta radicale.

Non penso che si corra il rischio di vendere il suo modo di vivere come desiderabile, quella vita la desidera solo chi ha già certi valori. Noialtre la osserviamo da lontano, avvolte dal rassicurante abbraccio dei nostri vestiti ciancicati.

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