Può persino darsi che per conoscere lo stato di salute di un corpo, non ci sia cosa migliore da fare che conoscere i farmaci che abitualmente quel corpo assume o di cui abusa.

Perciò perché non considerare L’impero del dolore, il maestoso libro appena pubblicato da Mondadori in cui Patrick Radden Keefe indaga sulla famiglia che nell’ultimo secolo ha dettato la linea farmaceutica degli americani, innanzitutto come la biografia di una nazione a partire dal suo stato di salute, considerato che dei medicinali venduti dall’azienda dai Sackler centinaia di migliaia di cittadini statunitensi ne sono diventati dipendenti.

L’indagine di Radden Keefe

Ed ecco dunque a voi, in questo capolavoro di giornalismo investigativo, lo strano caso di un’incredibile famiglia americana che fino a qualche anno fa, pur avendo il proprio nome sbalzato sul marmo dei grattacieli più prestigiosi del mondo, istoriato nelle sale dei maggiori musei e dipinto sulle vetrate dei palazzi più influenti dell’occidente, era pressoché riuscita a tenere chiunque all’oscuro di cosa ci fosse all’origine della sua strabiliante ricchezza.

L’autore dell’eccellente, meticoloso e avvincente racconto della storia della famiglia Sackler è Patrick Radden Keefe, scrittore e giornalista che collabora abitualmente con The New Yorker, The New York Times Magazine e The New York Review of Books. Ora è il segreto di Pulcinella, ma per diversi decenni il patriarca della famiglia Sackler è riuscito a tenere nascoste le sue attività commerciali, nate da inappropriate almeno quanto ingegnose sinergie tra scienza farmaceutica e commercio, e perciò in pochi erano al corrente del fatto che fossero loro a produrre l’OxyContin, un antidolorifico due volte più forte della morfina, responsabile di un’epidemia di abuso di oppioidi grande quanto l’intero paese.

Patrimonio misterioso

AP Photo/Carolyn Kaster

Quando Arthur Sackler l’acquistò, la Purdue era nota per un tonico generico a base di sherry che si diceva fosse andato «a gonfie vele durante il proibizionismo», per un rimedio per sciogliere il cerume e per un buon lassativo. Come poi sarebbe diventata l’azienda farmaceutica dei 35 miliardi di dollari guadagnati unicamente con l’OxyContin, be’, quella è tutta farina del sacco di Arthur e del nipote Richard.

Cosa sia riuscito a fare Radden Keefe con il suo L’impero del dolore è facile a dirsi esattamente come è palese che si sia trattato di un’avventura complessa e durata anni: non solo ha scritto la biografia di una dinastia tra le più importanti della storia recente degli Stati Uniti, ma ha anche posato il suo sguardo acuto sull’intero paese perché le vicende professionali, imprenditoriali e giudiziarie dei membri della famiglia Sackler hanno cambiato la vita a diverse generazioni di individui. È raro incontrare una ricostruzione tanto dettagliata e particolareggiata dell’ultimo secolo della storia americana ed è raro che un intero secolo possa essere attraversato seguendo il cammino di un solo uomo.

Il patriarca, Arthur Sackler, è stato un individuo ambizioso, avido, geniale e perfido al pari di pochissimi suoi simili. L’accuratezza minuziosa dell’indagine giornalistica va di pari passo con la sua suspense: Radden Keefe dà costantemente prova di sapere qualunque cosa che sia relativa ai Sackler, alle loro vite private, alle loro finanze, alla loro grandeur da scienziati misti a imprenditori, e il lettore non vuole essere da meno.

Qualche anno fa il loro patrimonio era stimato in circa 14 miliardi. Forbes li indicava tra le 20 famiglie più ricche degli Stati Uniti. Allora, per via della generosità e della munificenza delle loro donazioni, il direttore di un museo li paragonò ai Medici. Eppure, anche tra chi li frequentava abitualmente, negli Hamptons o in qualche isola dei Caraibi, c’era chi si interrogava sulla loro spropositata ricchezza. Com’è che facevano tanti soldi, i Sackler?

Benefattori

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Non nascondevano per niente le loro ingenti disponibilità finanziarie, ma non era facile individuare in quale commercio fossero dediti dagli inizi del Novecento. Si sapeva però che, dacché Arthur si era invaghito dell’arte antica cinese e aveva iniziato a collezionare sete e bronzi rarissimi, l’intera famiglia prese a donare considerevoli somme ai musei di tutto il mondo. E si sapeva che in cambio di quelle donazioni i Sackler esigessero che il loro nome, quel nome altrimenti lontano dai riflettori, apparisse in bella vista.

Qualche esempio: al Louvre e alla Royal Academy ci sono sale intitolate alla famiglia; le università di Harvard e Pechino hanno interi musei con quel cognome, che compare anche alla Serpentine e ad Oxford; il Guggenheim di New York ha un Sackler Center e l’American Museum of Natural History un Sackler Educational Lab. Hanno anche una “scala firmata” al Museo Ebraico di Berlino.

Nel 1974 Arthur e i suoi fratelli donarono al Metropolitan tre milioni e mezzo di dollari per erigere il Tempio di Dendur, un santuario di arenaria dell’antico Egitto, stabilendo che tutta la segnaletica del museo e le voci del catalogo includessero i nomi di tutti e tre i fratelli Sackler. E quando il Met iniziò ad affittare il tempio egizio per ospitare feste, tra le quali una cena in onore dello stilista Valentino, che Arthur Sackler definì “disgustoso”, la famiglia ruppe ogni accordo con il Met e offrì le parti migliori della sua collezione allo Smithsonian di Washington. I Sackler vantano anche una varietà di rosa che prende il nome da loro, così come persino un asteroide.

Un resoconto completo

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Eppure, fino a qualche anno fa, in molti non sapevano che quei miliardi di dollari venivano dalla Purdue Pharma, l’azienda farmaceutica che aveva immesso nel mercato l’OxyContin assuefacendo milioni di americani. Più che riservato, Arthur Sackler aveva sempre avuto «una propensione alla segretezza» e così anche i suoi famigliari. Anche quando ebbe il ruolo di «imbonitore strapagato» nella reclamizzazione del Valium, e contribuì a inondare gli Stati Uniti di quella benzodiazepina commercializzata da Roche, Arthur era stato capace di arricchirsi restando nell’ombra.

Perciò è ancora più stimabile il libro di Patrick Radden Keefe che illumina una volta per tutte quelle ombre. Nel 2006 Einaudi aveva pubblicato il suo primo libro in Italia, Intercettare il mondo, che era dedicato a Echelon, il sistema di intercettazione adoperato dai servizi segreti britannici e americani. Radden Keefe visitò le gigantesche parabole satellitari nascoste nelle campagne inglesi e le basi abbandonate dell’intelligence Usa sulle montagne del North Carolina per realizzare la sua indagine sugli inquietanti sistemi di ascolto nell’era della comunicazione globale.

Ora, la spia in azione, a braccare ogni testimonianza e ogni traiettoria di denaro utile a capirci qualcosa di più sull’ascesa imperiosa e anonima dei Sackler, è lui, Patrick Radden Keefe. E che non gli sia sfuggito nulla è cosa certa. Si può star sicuri che ha orecchiato tutto ciò che ci fosse da orecchiare.

Qualche giorno fa la 79esima edizione della mostra del cinema di Venezia ha premiato con il Leone d’oro All the beauty and the bloodshed di Laura Poitras, un documentario sulla fotografa Nan Goldin, che negli ultimi anni si era dedicata a una campagna pubblica per denunciare le centinaia di migliaia di morti per overdose da oppiacei legali negli Usa e per spingere i musei a rifiutare i fondi della famiglia Sackler.

Ed è così che le cose stanno andando. Recentemente la Sackler Wing nella National Gallery di Londra ha smesso di chiamarsi a quel modo e anche al Louvre hanno cancellato quel cognome dalle loro pareti. I Sackler hanno sempre desiderato associare il loro nome all’arte: ora il destino vuole che mentre la loro famiglia esce dai musei in qualità di generosa benefattrice, entri solennemente tra i divi del cinema nella veste dei criminali da perseguire.

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