Le passioni sono – come i valori – storiche, relative, transitorie, in tutto e per tutto umane. Non ci sono passioni che rimangano invariate nel tempo e nello spazio: ciò che oggi ci muove a vergogna non è quanto motivava la lettera scarlatta; ciò che oggi ci muove a pietà (un animale maltrattato, ad esempio), pochi decenni fa poteva non essere percepito come lesivo di un qualche criterio di compassione; ciò che oggi muove ancora molti di noi a disgusto (uno snack a base di formiche), in altri paesi è del tutto apprezzato.

Regolatore di passioni

Il “regolatore passionale” che sintonizza percezioni, reazioni e comportamenti è il senso comune – una sfuggente forma di sapere e di sentire che la Cultura ha spesso bistrattato, come sapere degradato, semplicistico, “folklore della filosofia” (così nelle parole di Gramsci) e che oggi però ogni tanto reclamano i politici, in una disperata ricerca di consenso. Fra le passioni sociali su cui il senso comune ha influenza c’è lo sdegno – una forma di reazione stizzita che nasce dalla percezione di uno scandalo: uno scandalo etico. Lo sdegno ha a che fare con la morale, con ciò che viene ritenuto giusto e sbagliato, e per questo è particolarmente condizionato e dipendente dal senso comune: ciò per cui ci si sdegna spesso non è l’infrazione di una regola scritta (non ci sdegniamo se una persona infrange il codice della strada parcheggiando in divieto di sosta) ma l’infrazione di un principio non scritto: un valore.

Anche lo sdegno subisce la variabilità, dunque, della Storia: se ieri ci sdegnavamo nel vedere un giovane che non mostrasse rispetto e deferenza per un anziano, oggi questo tipo di comportamento nemmeno lo notiamo. In compenso ci sdegniamo per molte altre cose. Forse troppe.

Oggi lo sdegno, sui social, è diventato moneta corrente. Cosa è successo? Perché è successo?

Più che sulle cause contingenti è opportuno ragionare sulle grammatiche dei media e sui comportamenti che predispongono e facilitano lo sdegno. Certamente i social sollecitano reazioni: chiedono like e dislike, che non sono reazioni qualsiasi ma un tipo particolare di reazioni giudicanti: sanzioni. E sollecitano risposte rapide, brevi, non argomentate: reazioni tutte emotive. Ci si trova così facilmente, sui social, a giudicare rapidamente, sbrigativamente, attraverso poche parole di sdegno…

Ma c’è un altro aspetto che sta cambiando radicalmente le modalità dello sdegno: la dimensione impersonale. Oggi lo sdegno è sempre più spersonalizzato; anche quando chi scrive un post sdegnato ha nome e cognome, quella identità si diluisce nella cascata delle condivisioni e delle risposte.

Lo sdegno on line è virale e condiviso, non personale e singolare; e nella condivisione virale è de-responsabilizzato: ci si sdegna, sì, ma rapidamente: la violenza sta nella catena virale, più che nel singolo atto di sdegno personale.

Quello di internet è un tribunale collettivo, popolare, non è il tribunale di un giudice preposto a quel ruolo; e questo lo rende molto più incontrollato e molto meno perseguibile.

Ho accennato a questi aspetti solo per gettare una rapida luce sul fatto che le passioni cambiano anche perché cambiano i mezzi in cui trovano espressione: la pubblica piazza di una gogna era un posto tutto sommato per pochi; la pubblica piazza della gogna mediale è un luogo in cui tutto è amplificato; e così gli effetti dello sdegno sono diversi.

La gogna pubblica

La risonanza dello sdegno in internet diventa in qualche modo smisurata. E lo sdegno, da passione morale, nel perdere il senso della misura, rischia di venir meno proprio alla sua vocazione etica.

Per questo serve tornare a riflettere sul senso comune: perché è il senso comune a dare il senso della misura, a creare un sentire condiviso che diventa regolatore dei comportamenti di un gruppo sociale.

Il senso comune definisce i limiti del dicibile (dove iniziano le offese?), i limiti del visibile (fin dove si può arrivare nella esibizione della violenza?

Il caso dello stupro

Ne abbiamo visto un caso recente: è mostrabile uno stupro, con il volto riconoscibile della vittima?), i limiti dell’udibile (quando inizia uno schiamazzo? Chiunque viva in un condominio sa che questi problemi condizionano le convivenze), i limiti dell’edibile (perché mangiamo le lumache ma le formiche ci fanno ancora impressione?).

Non fissa questi limiti con editti o regolamenti, ma li fissa nella convergenza di una prassi, e nella scommessa (nella kantiana pretesa) di una condivisione universale. Sono questi limiti a definire il perimetro della socialità, e dunque a creare comunità; sono questi limiti a definire i confini della ragionevolezza; sono questi stessi limiti a giustificare l’espressione dello sdegno, se infranti.

 

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