Il citatissimo incipit di Anna Karenina: sostituendo la parola “famiglie” con la parola “paesi” diventerebbe forse ancora più evidente quanto Tolstoj si sbagliasse. A guardarsi attorno parrebbe, infatti, piuttosto il contrario, e cioè che a somigliarsi siano le famiglie infelici e che, invece, sono forse addirittura infiniti i modi di trovare la felicità vivendo insieme.

Il primo che mi viene in mente è quello de La famiglia Aubrey in cui, leggendo il libro, avrei voluto poter crescere, nonostante la loro povertà. La felicità, penso, è una questione anche di fantasia, di propensione alla sperimentazione e all’avventura.

L’infelicità è, invece, una formula con dati costanti, ripetitivi e che messi insieme danno un risultato noto e prevedibile.

Allucinazioni?

Per esempio, una famiglia infelice è un luogo in cui una ragazzina di sedici anni, orfana di madre e con un padre alcolizzato benché affettuoso, si deve sforzare per non farsi sogni. Sta parlando di un nuovo, ipotetico lavoro del padre che gli permetterebbe di comperare, per una volta, l’albero di Natale, cosa a cui la sorellina tiene moltissimo, ma potrebbe parlare di qualsiasi altro sogno. In case come la sua, è meglio non mettersi strane idee in testa.

Ma tutto questo la sorellina Ronja, che ha la metà dei suoi anni e un bisogno di sognare per arrivare alla fine del giorno, non lo sa, e perciò chiede a Melissa: «Dài, solo un po’. Un sogno piccolo piccolo». I sogni sono insidie.

Melissa lo sa. Ronja lo ignora al punto da aggrapparsi, tra tutte le storie, alla Piccola fiammiferaia, la «più triste del mondo», prova a farla desistere la sorella. «Però ti ricordi dell’albero? Che lei sta fuori al freddo e vede l’albero nella stanza?», insiste Ronja. I sogni sono manipolazioni. Melissa lo sa: «È un’allucinazione, perché ha la febbre». I sogni sono allucinazioni. Lo sono anche i racconti di Natale?

Me lo chiedo da quando ho finito di leggere La porta delle stelle, una favola classica contemporanea di Ingvild Rishøi, nata nel 1978, una delle scrittrici norvegesi più importanti e premiate, «che guarda ai margini della società e alle meraviglie della vita quotidiana» tra Astrid Lindgren, H.C. Andersen e Charles Dickens, come informa la quarta di copertina del libro appena pubblicato in Italia da Iperborea nella traduzione di Maria Valeria D’Avino.

Le costanti

So abbastanza dell’infelicità infantile per provare a isolarne alcune costanti: prima ancora degli abusi, di cui è ovvio intuire le conseguenze, al primo posto metterei l’incuria. Se un cucciolo d’uomo non si sente protetto, accudito, guardato, difficilmente potrà sviluppare quel che è necessario per sentirsi abbastanza a proprio agio nel mondo. «La luce ci ha illuminati uno a uno. E la gente in sala ha cominciato a sussurrare i nomi di tutti i bambini».

Quasi tutti i bambini. «La luce è arrivata su Meron e io ho sentito la voce di sua madre, la luce è arrivata su Mussi e su Stella» e lì per loro ci sono il padre di lui e la madre e i gemelli di lei, «poi la luce è arrivata su di me». Punto. Fine del capitolo. Non c’è nessuno lì per Ronja. Nessun consanguineo. C’è un vicino di casa. «È vero che lei è il nonno di Ronja?».

Le bugie, quelle che non fanno male a nessuno e tanto bene a qualcun altro, sono imparentate con i sogni. E “nonno” può anche essere soltanto una parola per indicare un uomo a cui sta a cuore qualcuno che ha molti anni meno di lui. A chi serve un albero genealogico veritiero quando c’è da sopravvivere alla recita natalizia della scuola senza aver voglia di scomparire, visto che «il mondo resta quel che è» e anche i bulli? «Una volta sono stata a casa di Stella, e ho visto tutto quello che ha. Una grande casa di legno, due verande, tre gatti» e la cura: una madre che «la viene a prendere tutti i giorni alle due con i gemelli, ognuno con il coniglietto di pelouche, e tutti vogliono guardare nella carrozzina, e allora perché io non potevo avere almeno un nonno?»

La classifica

Finisco sul sito della Commissione europea a leggere un articolo che commenta il primato della Finlandia Paese più felice del mondo. Si parla di un docente universitario finlandese, Frank Martela, psicologo che studia le basi della felicità, secondo cui la prima cosa da evitare per essere felici è il paragone con gli altri. Ecco. Ma tutto questo Ronja non lo sa (e neanche i ragazzini che trascorrono il tempo sui social network e neanche i loro genitori, se è per questo).

Un cucciolo d’uomo ha bisogno di essere visto per desiderare di stare al mondo. O gli costerà molta fatica riuscire a farlo nel corso della vita e, senza un po’ di fortuna, potrebbe non farcela mai. A meno di un miracolo. «”I miracoli capitano”, diceva sempre il custode della scuola di Ronja. “A volte non c’è altra via d’uscita, e allora capita un miracolo”». E i miracoli – mi chiedo – non sono forse fantasia e sperimentazione? Il custode, chissà, la pensava allo stesso modo. Del resto, lui «aveva capito tutto». Anche perché, come confessa più avanti nella storia, è l’uomo più malinconico dei Balcani. E la malinconia, a mio parere, è imparentata con l’immaginazione e persino con la capacità di vedere nel futuro.

In quella classifica della felicità, la Norvegia è al settimo posto. Prima, si diceva, e nel 2024 per il settimo anno consecutivo, e perciò imprendibile come un Usain Bolt, c’è la Finlandia. Penso che, morto Arto Paasilinna (leggere, per credere – e ridere – il suo Piccoli suicidi tra amici), un finlandese a cui chiederei un commento di questo exploit è il regista Aki Kaurismäki, in particolare per via della trilogia dedicata al suo paese: Nuvole in viaggio, L’uomo senza passato, Le luci della sera. (Non erano ancora gli anni della Finlandia della felicità certificata, è vero, ma si racconta pur sempre di finlandesi che provano a strappare la gioia ai giorni futuri, come scriveva Vladimir Majakovskij, non molto distante da lì nello spazio e assai più nel tempo).

E a seguire, dal secondo posto in giù, i paesi più felici sono: Danimarca, Islanda, Svezia, Israele e i Paesi Bassi (ed ecco completato il dream team del Nord Europa). Non male, il settimo posto – l’Italia, per dire, è quarantunesima – ma c’è sempre qualcuno che resta fuori dalle statistiche. O in fondo. O ai margini.

Sotto i rami

Soprattutto qualcuno di piccolo come una bambina che in un racconto di Natale può avere bisogno di nascondersi sotto i rami del più bell’abete di fiordo. Dopo giorni inconsueti in cui si è fatta distrarre dai sogni. Insidie. Manipolazioni. Allucinazioni. Perché «ecco come succede. Vivi felice i tuoi giorni. Felice, al caldo e con la pancia piena. E abbassi la guardia. Nelle fiabe non succede, ma nella realtà sì». E non è mai una buona idea. Nemmeno in un paese statisticamente molto felice.

Il libro finisce – tranquilli, non è uno spoiler – con un sogno. E con un paio di occhiali da sole che, trattandosi della Norvegia, capite bene che sono frutto della fantasia. Di cui quelli che non vuole nessuno hanno sempre bisogno. Forse vi ricordate il finale di Miracolo a Milano.

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